Uffici giudiziari vaticani / ZENIT - SC, CC BY-NC-SA

Vatileaks 2. In attesa della sentenza, le lacrime di Francesca Immacolata Chaouqui

Dichiarazione spontanea della pr in cui ribadisce la sua innocenza e chiede scusa ai giudici per il suo comportamento. Poi aggiunge: “Se l’Italia eseguisse la sentenza io e mio figlio in galera nei suoi primi anni di vita”

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Una dichiarazione bagnata di lacrime quella resa spontaneamente stamane ai giudici da Francesca Immacolata Chaouqui, nell’ultima udienza del processo Vatikeaks 2. In attesa del verdetto che verrà pronunciato nel primo pomeriggio di oggi, mentre il Collegio giudicante è già riunito in Camera di Consiglio, la pr calabrese ha ripercorso la vicenda che l’ha vista, in otto mesi, imputata nel Tribunale vaticano insieme a mons. Vallejo Balda e al suo collaboratore Nicola Maio e ai giornalisti Nuzzi e Fittipaldi.

Nessuno di questi ha voluto rilasciare dichiarazioni al Tribunale, tranne la donna che – accompagnata dal bel figlioletto Pietro e dal marito Corrado Lanino, rimasti fuori dall’aula – ha ribadito di non aver mai passato documenti ai giornalisti né di aver mai minacciato il prelato.

Chaouqui, che si è detta “triste” ai giornalisti fuori dall’aula, ha esordito porgendo le proprie “scuse” alla Corte per aver espresso, a volte, “un pensiero che dovevo tacere”. “Purtroppo è uno dei miei difetti: parlare quando dovrei tacere. Sono orgogliosa, rabbiosa, commetto tanti errori, ma ho stima di questa Corte e di questo Stato. Per questo sono sempre stata presente al processo, nonostante la gravidanza, nonostante le mie condizioni di salute”.

Con la voce rotta dal pianto, la giovane madre ha detto al presidente della Corte Giuseppe Dalla Torre: “Mi è stata data la pena più alta (3 anni e 9 mesi) come se avessi costruito tutto da sola, il promotore di Giustizia non ha mai distinto i tempi e ha parlato di un disegno criminoso anche prima della Cosea. Io non sono quella persona che è emersa…”. “Se la Corte – ha aggiunto – dovesse chiedere all’Italia di eseguire la sentenza io e mio figlio passeremmo i suoi primi anni di vita in galera”.

L’unica imputata donna ha voluto poi giustificare il suo “atteggiamento processuale” che – ha sottolineato – “è sempre stato di partecipazione e di difesa”. “Se ho parlato con la stampa, sono andata sui tv e sui giornali – ha detto alla Corte – è perché non avevo scelta. Dovevo difendere la mia immagine di donna, madre, professionista, essere umano”. Anche perché “le bugie di Balda hanno rischiato di distruggere la mia famiglia”.

Il riferimento è soprattutto all’articolo piazzato in prima pagina su Repubblica in cui la Chaouqui veniva definita “l’amante di Balda” nel memoriale stilato dal monsignore. “Ho provato una grandissima rabbia – ha detto la donna – la stessa che provo ora per cui non riesco a trattenere le lacrime. Non è da me…”.

La stessa rabbia che l’ha spinta a inviare quell’sms scurrile letto nelle scorse udienze dall’avvocato difensore di Balda, Emanuela Bellardini. “Un messaggio squallido” l’ha definito la stessa Chaouqui, inviato mentre era in vacanza in Cambogia, l’8 agosto 2015, e sul suo telefono si vide recapitare un file audio in cui sentiva l’ex segretario della Prefettura parlar male di lei durante una cena con i suoi amici.

Perché Balda, ha evidenziato, “ha fatto tutto con i miei contatti, con i miei amici, ai quali chiedeva informazioni su di me e cercava di denigrarmi”. “Io – ha soggiunto – non potevo immaginare che presentandogli i due giornalisti avrebbe fatto quello che ha fatto: parlare, consegnare tutto l’archivio… È una cosa totalmente lontana dal mio pensiero”.

L’unico errore che la Chaouqui si riconosce è “di non aver mai riferito ai superiori quello che faceva Vallejo. Ho sbagliato a non andare dalla Gendarmeria, ho solo consigliato alla dottoressa di visitarlo”. Il clima, all’epoca, era comunque “complicato”, si attendeva la nomina del Revisore generale. “Non nego – ha aggiunto – che quello che è successo (la chiusura della Cosea ndr) mi ha ferito come persona”. Tuttavia “ho voluto sempre agire nell’interesse della Santa Sede. Quando mi hanno chiamato quella sera pensavo che mi chiedessero di collaborare coi gendarmi. Invece sono stata arrestata e si è dato per scontato che avessi passato documenti”.

“Sono venuta qui 7/8 volte e ho consegnato ai gendarmi 4/5 verbali che non sono confluiti però negli atti processuali”, ha aggiunto, “ho pensato potesse essere utile riferire tutto quello di cui ero a conoscenza”. E di cose, Francesca Immacolata Chaouqui, ne sapeva parecchie: scandali e affari illeciti pubblicati poi nei libri, o la stessa bagarre sull’attico del cardinale Bertone di cui era a conoscenza da “due anni”. “Ma non ho detto nulla. Se avessi voluto avrei potuto parlare, avrei potuto consegnare i documenti in mio possesso semplicemente invitando i giornalisti a casa, senza pressioni su Balda”.

Documenti che, tra l’altro, la pr – come scriveva anche su Facebook stamane – custodisce nella cassaforte di casa sua. “Potrei darli qui fuori a chi voglio”, ha detto a Dalla Torre, “ma non lo farò”.

Si è conclusa così ‘l’arringa’ di una donna che continua a ribadire la sua innocenza e a dire che qualsiasi errore commesso è stato fatto “per salvaguardare la mia immagine da cui dipende il mio lavoro”. Per lei questi mesi sono stati “un calvario”, ha affermato, e “qualsiasi pena non sarà mai più grande di quella che ho affrontato finora”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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