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Italia: la famiglia resiste. Ma fino a quando?

Uno studio testimonia che in Italia languono misure strutturali. Ma resta forte la rete di solidarietà familiare e alto è il desiderio di genitorialità dei giovani, che merita attenzione politica

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In Italia la famiglia è supportata da risorse adeguate? Basterebbe dare uno sguardo all’impietoso dato sulle nascite per capire che la domanda è retorica. Nel 2015 – nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia – i nuovi nati sono stati appena 488 mila. Il tasso di natalità di 1,38 figli per donna non assicura il ricambio generazionale.
A confermare che il Belpaese, al di là dei suoi poetici appellativi, poco si cura delle famiglie, lo testimonia ora anche uno studio. Si tratta dell’Indice globale indipendente sulla famiglia (Igif), elaborato nel primo “Rapporto sul diritto alla famiglia nel mondo” realizzato dalla Fondazione Novae Terrae insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Obiettivo del documento, che sarà presentato a breve, è di analizzare le caratteristiche della famiglia per cogliere se le sue relazioni interne ed esterne stanno cambiando, nonché di verificare in diversi contesti geografici e culturali quanto l’istituto familiare sia salvaguardato.
I Paesi analizzati sono 46, principalmente europei, ma anche degli altri continenti del pianeta. Partendo dal presupposto che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 ha riconosciuto la famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, quale nucleo naturale e fondante della società, il documento individua 19 criteri per valutare se i singoli Stati assicurano a tale nucleo un adeguato sostegno.
Pessimo il posizionamento in classifica dell’Italia. È 39esima, dietro di lei soltanto Serbia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Perù, Croazia e Macedonia. Sul podio si presentano Danimarca, Nuova Zelanda e Svezia, subito a seguire Norvegia, Israele, Germania e Svizzera.
Si evince pertanto che i Paesi del Nord Europa trionfano in quanto a risorse di natura economica su cui la famiglia può contare e possibilità di conciliare famiglia e lavoro. Da sottolineare tuttavia che non bastano soltanto i servizi da parte delle Istituzioni a garantire la formazione di nuove famiglie e la proliferazione di figli.
Ad esempio in Germania, modello europeo di politiche familiari, nel 2014 i neonati sono stati meno di 700 mila per una popolazione che supera gli 80 milioni di abitanti. Dato che fa del Paese teutonico uno dei meno prolifici del Vecchio Continente (tasso di natalità all’8,4%).
Gli autori del documento posizionano i Paesi che guidano la classifica in un gruppo dall’originale nome “potrei ma non voglio”, ossia quei luoghi in cui la generosità con cui lo Stato elargisce risorse per le giovani coppie e per i genitori non coincide esattamente con un indice di natalità altrettanto disinvolto.
Non c’è dunque una diretta corrispondenza tra i maggiori servizi e la propensione a metter su famiglia e a fare figli.
Propensione che tradizionalmente era patrimonio dei Paesi che si ritrovano oggi in fondo a questa classifica. Ecco allora che gli autori hanno coniato per loro l’appellativo di Paesi del “vorrei ma non posso”. In Italia, Serbia, Polonia, Perù, Slovacchia e Croazia, fanalini di coda in quanto a politiche familiari, si vive il paradosso per cui la famiglia resta una struttura più solida rispetto a Paesi in cui è presente un welfare specifico per questo istituto.
Ne deriva che, se lo Stato fosse più attento attuando politiche familiari strutturali, l’indice di natalità salirebbe notevolmente. In Italia qualche misura è stata intrapresa nei confronti di chi si trova sotto determinati tetti di reddito, ma siamo ancora nel campo delle piccole elargizioni, le quali non  rappresentano uno stimolo alla natalità.
C’è un elemento che appare eloquente. Gli autori dello studio hanno usato l’indicatore della percezione. Hanno analizzato anche ricerche sociologiche internazionali sulla percezione che le famiglie e le persone hanno del proprio contesto. Un dato soggettivo, quindi, che se fosse stato espunto, la classifica avrebbe registrato qualche lieve ma significativa modifica.
L’Italia si sarebbe posizionata ancora più in basso, passando dal 39esimo al 43esimo posto, ovvero quartultima in classifica. Ciò dimostra che i cittadini percepiscono il nostro Paese, malgrado l’inadempienza della politica, un luogo positivo per la famiglia.
Il che è dovuto, a una rete di solidarietà inter-generazionale in famiglia, con nonni che aiutano i nipoti e viceversa, con genitori che sostengono anche economicamente l’esigenza dei figli di emanciparsi magari sposandosi e facendo prole. Senza dimenticare, poi, la presenza in Italia di realtà associative e di cooperazione sociale che aiutano e promuovono le relazioni.
La vivacità dei corpi sociali intermedi, tuttavia, da sola non basta a sorreggere l’istituto familiare sotto il peso della crisi economica. Nonostante i mutamenti culturali in corso, uno studio dell’Istituto don Toniolo rivela che il 94% dei giovani italiani ha il desiderio di fare famiglia e generare figli. È ora che la politica dia una risposta concreta a questa aspirazione. Perché senza famiglia, non c’è futuro.

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Federico Cenci

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