Sono in una pausa tra un consiglio di classe e l’altro ed il mio cellulare mi segnala un messaggio privato arrivato sulla mia pagina facebook “In te mi rifugio”.
Apro per distrarmi… per curiosità… per “staccare”.
Ma una volta lette, da quelle parole non mi “staccherò” più.
Federica non scrive; grida “aiuto!”. Federica non racconta; piange. Ogni frase è carica di sofferenza.
“Buonasera, scrivo perché ho bisogno di una parola di conforto. Io e mio marito desideriamo un figlio che, per tanti problemi, non arriva.
Siamo disperati…
Prego dalla mattina alla sera ma il mio cuore non trova mai pace…
Non riesco a trovare una via di uscita…”
Il destino ha voluto che questo grido di aiuto mi arrivasse proprio nella stessa settimana in cui, una coppia a me molto cara, mi ha comunicato: “Abbiamo perso il bambino che aspettavamo”.
Mi è sembrata una coincidenza per spingermi, ancora di più, ad aprirmi al dolore di Federica. La sento sull’orlo della disperazione.
È un dolore che mi racconta tanto dell’essenza di cui siamo fatti. Un’essenza che reclama e cerca vita, dappertutto. Siamo esseri perennemente in crisi di astinenza di vita. Non ci basta mai e il profondo, radicato e fortissimo desiderio di avere dei figli, ne è una prova lampante.
In fondo, se pensassimo solo razionalmente a questa faccenda, ne usciremmo tutti con un più crudo pragmatismo. “Volevo un figlio. Non mi è venuto? Pace”. Più tempo libero, più soldi, più divertimenti… Meno preoccupazioni, meno problemi economici, meno stress… Un figlio, poi, è sempre un rischio che dura per tutta la vita. Che ne sappiamo come verrà? Simpatico o antipatico? Affettuoso o ribelle? Bravo o delinquente? Sano o malato? Bello o brutto? Sarà la nostra soddisfazione o la nostra disperazione?
Eppure, nonostante la consapevolezza di tutto questo, in ogni essere umano c’è voglia di vita e di regalare altra vita.
I sacrifici ed i rischi vengono totalmente annullati dalla voglia di futuro che ci portiamo dentro.
I problemi e le responsabilità diventano piccoli contrattempi da pagare, per acquistare il senso profondo della nostra esistenza: amare e dare la vita.
Ogni donna, già da piccola, ha fantasie di gravidanza nei suoi giochi infantili. È un sogno che sembra nascere con la femminilità stessa. Un sogno che, quando diventa irrealizzabile, lascia tracce indelebili di una “mancanza”.
Qualche donna, per tutta la vita, porta nel suo cuore un bambino piccolo piccolo, mai nato al mondo ma sempre presente nella sua anima.
Le reazioni a questo piccola, grande, assenza? Una sensazione di vuoto, depressione, ansia, crisi esistenziale della coppia, sensazione di vergogna e fallimento.
Ci si sente esclusi da quell’ordine universale e naturale che ci rende capaci di generare altri esseri viventi. “Tutti possono, perché noi no?”
Spesso il senso di colpa si affaccia prepotentemente, rendendoci cercatori ossessivi dell’origine di quella colpa. Gli incontri sessuali del passato? La trascuratezza verso il proprio corpo? Un castigo di Dio? La decisione di fare figli quando oramai era troppo tardi? Il destino avverso?
In questo turbinio interiore, il passare del tempo è avvertito con dolore; come fosse un’inarrestabile avvicinamento ad una vecchiaia solitaria e senza senso.
Cara Federica, ho scritto tutto questo perché nessuno, leggendo, sia troppo frettoloso nel giudicarti o nel darti consigli a buon mercato.
Immagino che tu abbia già fatto tante strade mediche e psicologiche per cercare possibili soluzioni al tuo desiderio di maternità. Quindi non starò a ripeterti cose che, sicuramente, hai già ascoltato e valutato.
So solo che la fatica emotiva e spirituale delle coppie che cercano bambini, è spesso sottovalutata dal mondo circostante. Così la solitudine e l’isolamento aggravano ancora di più il dolore.
Però so anche un’altra cosa: quando soffriamo, dobbiamo drogarci di vita. Dobbiamo diventare obesi di vita. Dobbiamo lasciarci intrappolare dalla vita, obbedendo alle sue esigenze. Abbiamo tutto da vincere e niente da perdere.
Cara Federica, fai tutto quel che ti è necessario per sfogarti (crisi di pianto e rabbia, compresi) e poi rielabora il tutto con l’aiuto di una persona fidata (puoi anche chiedere a Dio di farti trovare un bravo counselor; Lui li conosce tutti!).
Resisti dalla ricerca spasmodica del capro espiatorio: tu, tuo marito o Dio, siete fuori posto sulla sedia di “imputato”.
Nessuno vuole fermare la vita.
Anzi.
A questo punto dovrei dirti di cacciare via lo stress e di stare più tranquilla perché anche l’ansia allontana la fertilità. Ma chissà quante volte te lo sarai sentito porgere questo consiglio (spesso neanche cercato, ma buttato là con quelle frasi fastidiose del tipo: “Ma fatevi un bel viaggetto! Rilassatevi! Vedrai che, quando meno te l’aspetti, il bambino verrà”).
Però, siccome sono convinta che dobbiamo vivere con i piedi per terra ed abitare col cuore in Cielo, provo ad alzare lo sguardo insieme a te. Perché se non sogniamo, siamo già in pensione.
Dio, amante della vita, non permette mai un problema, senza vederci una possibile soluzione. E le soluzioni di Dio hanno sempre lo stesso fine: renderci santi con un sovradosaggio di amore e fede.
Iniziamo con un sovradosaggio di fede. I miracoli esistono. Accadono. Dio è sempre sintonizzato con il nostro dolore e lo ascolta, contando ogni lacrima versata. Per convincerci di questo, ogni tanto manda degli angeli sulla terra perché ci confortino e facciano miracoli nel suo nome. Lo sapevi che a Napoli, nei quartieri spagnoli, c’è santa Maria Francesca, considerata la santa delle mamme, che continua a fare miracoli in situazioni di infertilità?
E riesci ad immaginarti come la mamma di un bambino già nato in qualche parte del mondo, ma non ancora abbracciato da nessuna madre?
Qui ci vuole sul serio un sovradosaggio di amore!
Cara Federica, sono talmente belle queste due prospettive, che ti ci dedicherò un secondo post. A parte. Un approfondimento. Una specie di full immersion nelle vie “diverse ed originali” di maternità, che il mondo difficilmente prende in considerazione.
A presto con buone notizie dal Cielo!
[Fonte: www.intemirifugio.it]
Desperate girl - Pixabay (Counselling)
Quel figlio che non arriva…
Spesso il senso di colpa si affaccia prepotentemente, rendendoci cercatori ossessivi dell’origine di quella colpa