Sangue e martirio, pace e dialogo ecumenico, memoria e speranza, secolarizzazione e crisi della famiglia. Sono i punti cardinali che costellano la Dichiarazione comune firmata da Papa Francesco con il Catholicos Karekin II nel Palazzo Apostolico di Etchmiadzin, nelle ultime battute del viaggio apostolico in Armenia.
Prima di recarsi al Monastero di Khor Virap, uno dei luoghi più sacri della Chiesa armena al confine con la Turchia, Francesco – come all’epoca Giovanni Paolo II – suggella nel centro spirituale di tutti gli Armeni quel patto di fraternità stipulato da decenni dalla Chiesa di Roma con la Chiesa armena apostolica.
Un legame che si rinvigorisce in viste delle sfide che presenta il mondo odierno, “lacerato da conflitti e desideroso di conforto e speranza”, davanti alle quali viene confermato un impegno congiunto. A partire dalla netta opposizione contro ogni “forma di discriminazione e violenza” per cui Papa e Catholicos implorano “i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani che hanno urgente bisogno di pane, non di armi”.
Oggi, si legge nella Dichiarazione comune, “siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo”. Ne consegue “che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana”.
La memoria non può che tornare al “Grande Male” che ha segnato per sempre il popolo armeno. Rispunta quindi la definizione tanto rigettata dal governo turco di “genocidio” perché nel testo viene rievocato uno dei passaggi più significativi della Dichiarazione Comune di Giovanni Paolo II Karekin II; ovvero quello in cui si indicava come “il primo genocidio del XX secolo” lo “sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni”.
Bergoglio e Karekin voltano pagina e, insieme, affermano: “I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo”. La preghiera che sale a Dio da entrambe le parti è dunque “per un cambiamento del cuore in tutti quelli che commettono tali crimini e in coloro che sono in condizione di fermare la violenza”.
“Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi”, si legge. “Purtroppo assistiamo a una presentazione della religione e dei valori religiosi in un modo fondamentalistico, che viene usato per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza”.
Secondo le due autorità religiose, è “inaccettabile” la “giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose”, perché “Dio non è un Dio di disordine, ma di pace”. Inoltre, è scritto nel documento, “il rispetto per le differenze religiose è la condizione necessaria per la pacifica convivenza di diverse comunità etniche e religiose. Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace”.
Nella dichiarazione congiunta non manca un appello comune per la pace in Nagorno Karabakh, l’enclave cristiana dell’Azerbaigian che chiede di unirsi all’Armenia, dove da quasi 30 anni è in atto un conflitto strisciante, tornato a infiammarsi lo scorso aprile: “Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno Karabakh”.
Il Papa e il Catholicos riconoscono poi il lavoro compiuto finora, ma davanti ai drammi moderni chiedono uno sforzo ulteriore, soprattutto “da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale” al fine di “assicurare il diritto di tutti a vivere in pace e sicurezza, per sostenere lo stato di diritto, per proteggere le minoranze religiose ed etniche, per combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani”.
Nella Dichiarazione si parla anche della secolarizzazione che investe “ampi settori della società”: “La sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana”, si legge. A tal riguardo viene espressa la reciproca preoccupazione “per la crisi della famiglia in molti Paesi” e si sottolinea chiaramente che “la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna”.
In conclusione si guarda alle relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica entrate, “con successo”, negli ultimi decenni, “in una nuova fase, fortificate dalle nostre preghiere reciproche e dal nostro comune impegno nel superare le sfide attuali”.
“Oggi – dicono i firmatari – siamo convinti dell’importanza cruciale di sviluppare queste relazioni, intraprendendo una profonda e più decisiva collaborazione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a livello delle comunità locali, nella prospettiva di condividere una piena comunione ed espressioni concrete di unità”. Di qui l’invito ai fedeli “a lavorare in armonia per promuovere nella società i valori cristiani, che contribuiscono efficacemente alla costruzione di una civiltà di giustizia, di pace e di solidarietà umana”. Perché “la via della riconciliazione e della fraternità è aperta davanti a noi”.