Crocifissione / Pixabay CC0 - lautaro_028, Public Domain

La debolezza del mondo che ha paura del Crocifisso

Una esistenza vissuta nella Parola non è solo per la propria salvezza, ma soprattutto per quella degli altri

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La vita nelle sue dinamiche è spesso tutto un inganno. Si ferma alle apparenze; alle percezioni di gruppo; ai convenevoli di rito; alla partecipazione di massa, dove ogni cosa assume un contorno di emotività, quasi sempre falsato dal clima predominante in quel dato contesto. Le grandi moltitudini di gente hanno contribuito a smuovere la storia. Ma quante volte esse stesse sono state coscienti della strada intrapresa o del risultato sperato, nonché di quello ottenuto? L’identica folla che inneggia al Messia per le strade di Gerusalemme, sventolando rami d’ulivo, qualche giorno dopo, influenzata dai farisei del Tempio, chiede la croce per il Figlio dell’Uomo.
Si legge in Marco: “Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?”. Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. Ma Pilato diceva loro: “Che male ha fatto?”. Allora essi gridarono più forte: “Crocifiggilo!”. Qui il popolo non sa quello che fa. Così quando invoca la liberazione di Barabba e non di colui che aveva appena osannato quale Figlio di Dio.
Sempre in Marco: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!”. Sappiamo come è andata a finire. Lo sa il mondo intero, ma una buona parte di esso evita il Crocifisso o comunque lo assume a simbolo di una tradizione religiosa e nulla più. Perché tutto questo? Cosa potrebbe cambiare nella vita di un uomo; di una comunità; di un periodo storico; di una struttura del potere ufficiale o nelle relazioni personali e di gruppo, se si riuscisse a guardare nel modo giusto un tale “vincolante” simbolo sacro?
La risposta, come sempre, la offre sul “piatto” della fede il teologo mons. Costantino Di Bruno, rivolgendosi a noi tutti: “Ricordatevi che la storia dell’Umanità cambia quando un uomo inizia a vedere in un modo diverso, secondo verità, Cristo Crocifisso”. L’uomo, precisa ancora in una omelia il religioso, deve sapere, come ci insegna l’apostolo Giovanni, che in esso è possibile per ognuno rigenerarsi e purificarsi. È nel Crocifisso la fonte perenne di salvezza come già, nel IV secolo a.C., faceva intravedere nelle sue visioni messianiche il profeta Zaccaria.
Anche se viviamo in una società dove tutto sembra a portata di click, bisogna riprendersi la libertà e la qualità celeste della preghiera, per supportare la capacità personale di vedere Gesù inchiodato in un modo nuovo. Lo fece Paolo sulla via di Damasco. Il Crocifisso si identificò con la sua Chiesa Crocifissa e lui cambiò completamente la sua vita, la sua esistenza, la sua storia. Lo stesso centurione, anche se pagano, quando vede Cristo Crocifisso che muore da santo, confessa che costui è veramente il Figlio di Dio. Lo stare di Cristo in croce nella più grande santità, apre il suo cuore alla fede. La preghiera va allora riscoperta nella sua fonte originaria, unico strumento in grado di permetterci di chiedere alla luce eterna la saggezza dello Spirito.
San Paolo, scrivendo agli Efesini, si augura che il Signore conceda loro uno spirito di sapienza e di intelligenza, per assumere dentro di sé Cristo Crocifisso. È questa ultima immagine, ormai sepolta negli scantinati polverosi degli edifici pubblici, che rivela all’uomo tutta la potenza del Suo amore e tutta la forza della Sua grazia. Una “lezione” di vita permanente che insegna nel quotidiano le grandi cose da dovere realizzare, mettendo in campo la determinazione dell’amore individuale; spesso annunziato, cantato, romanzato, poeticizzato, twittato, ma poco incisivo nella vita reale ed effettiva di ogni giorno. Un cristiano dovrebbe sempre ricordarsi di “essere titolare” della grazia che gli permette di ricevere il Redentore in croce nella eucaristia.
Se non si dovesse credere veramente in questa soprannaturale verità, sarebbe fuori luogo, nonché una perdita di tempo, partecipare alla celebrazione della santa comunione. Si tratterebbe di una vera e propria azione insignificante, in un rito abituale e senza alcuna profondità spirituale. Una cerimonia di routine, priva del suo vero significato e divenuta altro, in questo caso, rispetto all’istituzione sacramentale, ma anche un inganno a se stessi e al prossimo che cerca in chi gli sta accanto un’ancora di salvezza. Ognuno dovrebbe comunque utilizzare parte del tempo a sua disposizione, speso di solito in cose inutili, per inginocchiarsi in preghiera e chiedere al Signore di dargli la capacità di poterlo guardare con occhi diversi.
Uno sguardo vicino a quello del Padre, ma anche a quello di Maria e di Giovanni, mentre, sotto la croce, accompagnavano il Messia nel suo ultimo respiro. Un gesto estremo di amore puro, offerto all’umanità per redimere un mondo perduto. Non esiste sulla terra cosa più grande, nonostante la inutile indifferenza da più parti manifestata! Rigenerarsi nel Crocifisso significa leggere la storia da un’altra angolazione, accentando di essere in prima persona “movimento apostolico”, a cui è stato demandato dal cielo il compito di ricordare la Parola del vangelo, ormai dimenticata. Va cambiata perciò la visione di Cristo Crocifisso.
È in questo salto di “qualità interiore”, facile a dirsi, ma difficile a farsi in un tempo che guarda altrove, la chiave di lettura di quel cambiamento che oggi è legato solo ad un sistema empirico di governo della cosa pubblica; dell’economia e del comportamento sociale privato o collettivo, ignorando più volte le leggi naturali e il valore sapienziale della Parola. Forte e “provocatorio” l’ultimo messaggio di mons. Di Bruno: “Il mondo ha paura del Crocifisso, perché esso è l’unica reale differenza tra tutto questo mare di pensieri, di filosofie, di religioni, di idee, di antropologie. Se l’uomo guarderà il Crocifisso cambierà la sua vita”.
Il sacerdote fa la diagnosi ed offre anche la terapia. Un messaggio che riguarda tutti e che invita chiunque ad avere una nuova percezione di una immagine così atroce: Dal capo di Stato, all’ultimo amministratore; dall’economista mondiale, al contabile locale; dal Santo Padre, al diacono appena ordinato; dal padrone di un impero economico, alla persona più povera conosciuta o meno, ecc. Non a caso lo stesso teologo, che registra con sofferenza un atteggiamento di chiusura del mondo, è nello stesso tempo cristianamente convinto che la società nel suo insieme abbia bisogno del Crocifisso. Non è una contraddizione. È la vita nel suo mistero più grande, in cui gli atti di santità di un credente possono far emergere le ragioni di un modo di essere in apparenza inspiegabile.
Il prossimo, anche se chiuso al valore del cielo, è pronto a misurare il suo cuore dinnanzi alla percezione di un amore o di un segno concreto che superi il limite umano, quantunque le sue miriadi di risultati straordinari ottenuti. Una esistenza vissuta nella Parola non è solo perciò per la propria salvezza, ma soprattutto per quella degli altri. Se oggi c’è un mondo debole che respinge il Crocifisso, fino ad averne paura, è anche vero che si è intiepidita la capacità di ogni credente di interrogarsi con serietà sulla carenza di santità personale. Da qui si riparte! È questa la strada maestra per rilanciare la propria missione salvifica nel storia e condurla a pieno compimento, passando da una giusta e nuova visione di Cristo in croce.
Chi volesse contattare l’autore può scrivere al seguente indirizzo email: egidiochiarella@gmail.com. Sito personale: www.egidiochiarella.it. Per seguire la sua rubrica su Tele Padre Pio: https://www.facebook.com/troppaterraepococielo

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Egidio Chiarella

Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, ha fatto parte dell'Ufficio Legislativo e rapporti con il Parlamento del Ministero dell'Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo "La nuova primavera dei giovani" e del saggio “Sui Sentieri del vecchio Gesù”, nato su ZENIT e base ideale per incontri e dibattiti in ambienti laici e religiosi. L'ultimo suo lavoro editoriale si intitola "Luci di verità In rete" Editrice Tau - Analisi di tweet sapienziali del teologo mons. Costantino Di Bruno. Conduce su Tele Padre Pio la rubrica culturale - religiosa "Troppa terra e poco cielo".

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