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“Cari armeni, le vostre sofferenze ci appartengono, ricordarle è doveroso”

All’Incontro Ecumenico a Yerevan, Francesco ricorda che il cammino verso l’unità dei cristiani non è un “vantaggio strategico”, né uno “scambio di idee” ma uno “scambio di doni”. Nuovo appello alla pace con i turchi e nel Nagorno Karabakh

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Un popolo dalla “fede rocciosa” e con una storia di “sofferenza immane”. Con queste parole papa Francesco è tornato ad elogiare gli armeni, in occasione dell’Incontro Ecumenico svoltosi oggi pomeriggio nella piazza della Repubblica di Yerevan.
La visita pastorale del pontefice argentino, ormai giunta a metà del cammino, pone quindi il sigillo ad un “abbraccio fraterno” che l’intera Chiesa Cattolica da anni sta tendendo alla tribolata comunità armena, attraverso incontri “cordiali e spesso memorabili”, come quello con San Giovanni Paolo II, primo papa della storia a recarsi in Armenia nel 2001.
Il suo successore Francesco ha pertanto ringraziato i fedeli armeni per la loro “fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile per tutti i cristiani”. Ci si ritrova oggi, dunque, non per uno “scambio di idee” ma per uno “scambio di doni”, raccogliendo “quello che lo Spirito ha seminato in noi, come un dono per ciascuno”, nella speranza che il cammino ecumenico possa un giorno trovare tutti i cristiani “uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica”.
Cattolici e non cattolici, ha sottolineato il Santo Padre, sono uniti dal martirio di tanti loro fratelli, “che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo”: essi “sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena”. Tra i padri della chiesa armena, Bergoglio ha ricordato il “santo Catholicos Nerses Shnorhali”, uomo dotato di “un amore straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni” e, al tempo stesso, proteso verso la “ricerca dell’unità” con le altre chiese.
“L’unità non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo”, ha aggiunto il Papa.
San Nerses è stato quindi indicato dal vescovo di Roma come un esempio di sequela di Cristo e noi, come lui, “siamo chiamati ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile”, di una “dolcezza d’amore” in grado di ammorbidire “la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati su sé stessi e sui propri tornaconti”.
Un pensiero è stato poi rivolto dal Vescovo di Roma all’attuale drammatico scenario internazionale ed in particolare alle “tragiche conseguenze delle guerre”, specie “in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa”.
Le sofferenze patite dal popolo armeno per il “Grande Male” del genocidio, ha ribadito Francesco, “ci appartengono” e “ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!”.
Il sacrificio salvifico di Cristo in Croce, “di cui gli Armeni sono araldi e testimoni”, può tuttavia “diventare un seme di pace per il futuro”. Se “attraversata dall’amore”, la memoria diventa infatti “capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione”, dove viene sconfitta la “forza ingannatrice della vendetta” e non ci si stanca mai di “creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata”.
Ai giovani armeni, il Pontefice ha chiesto di fare tesoro della “grande saggezza” dei loro anziani, diventando non dei “notai dello status quo” ma dei “costruttori di pace” e dei “promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione”, in particolare “tra il popolo armeno e quello turco”, con l’auspicio che “la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”.
In conclusione, il Santo Padre ha menzionato “un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek”, che lui stesso ha proclamato dottore della Chiesa. Gregorio fu artefice della “costituzione spirituale del popolo armeno”, manifestando una “solidarietà universale con l’umanità”, che si pone come “un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti”.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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