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Alta tensione nel Golfo Persico: l'Iran minaccia il Bahrein

La revoca della cittadinanza all’imam sciita Qassim da parte della monarchia bahreinita provoca Teheran, che invoca una “sanguinosa intifada”

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Nonostante il clima incandescente che ha sempre caratterizzato il Medio Oriente contemporaneo, l’estate scorsa si è assistito ad un evento di portata storica, in grado di accendere molte speranze circa il raggiungimento di un nuovo equilibrio nella regione. Protagonisti della svolta sono stati l’Iran ed il gruppo dei 5+1 (composto da Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania), che nel luglio 2015 hanno stipulato un accordo di massima rilevanza, il quale prevede, da un lato, un rallentamento di circa un decennio sul programma nucleare iraniano e, dall’altro, l’eliminazione progressiva delle sanzioni economiche contro Teheran.
Quella che si è dimostrata una delle mosse più significative dell’amministrazione Obama mirava al reinserimento internazionale del Paese degli Ayatollah ed alla costituzione di un nuovo equilibrio regionale tra le principali potenze locali (innanzitutto Iran, Turchia, Israele ed Arabia Saudita). La strategia a lungo termine di Washington, tuttavia, si è scontrata con le resistenze dei paesi iranofobi, Israele ed Arabia Saudita su tutti, che hanno visto nella revoca delle sanzioni il grimaldello di Teheran per potenziarsi nei numerosi teatri di crisi in cui, direttamente o indirettamente, è coinvolta. Non è certo un caso che uno dei più accaniti oppositori della politica estera di Obama sia proprio il primo ministro israeliano Netanyahu.
Nel Levante le faglie di tensione tra l’Iran ed i suoi nemici sono numerosissime: dall’Iraq, dove le truppe iraniane appoggiano il governo di Baghdad contro lo Stato islamico, al Libano, in cui Teheran è il principale sponsor di Hezbollah, passando per l’appoggio ad Assad in Siria ed il sodalizio con Hamas in Palestina. Per non parlare del supporto (sempre negato a livello ufficiale) che i persiani forniscono in Yemen ai ribelli Huthi, almeno stando a quanto denunciano i sauditi. La proiezione di Teheran sulla Mezzaluna fertile sembra quindi essere in ulteriore ascesa, rovinando i sonni dei suoi detrattori, specialmente quelli, come l’Arabia Saudita, che stanno assistendo ad un calo di potenza, collegato ad un disimpegno americano dall’area e al crollo del prezzo degli idrocarburi.
L’acredine tra le monarchie del Golfo e la Repubblica Islamica è aumentata nel corso degli ultimi mesi: la denuncia iraniana che dietro l’attentato di Chabahar del dicembre scorso, nel quale due terroristi sunniti hanno ucciso 50 persone facendosi saltare in aria, ci fossero manovratori occidentali fa comprendere a pieno il livello di diffidenza tra le parti. Non solo, a gennaio le autorità saudite hanno fatto pubblicamente giustiziare 47 sciiti, causando l’ira di Teheran. Inoltre, appena tre giorni fa, il 20 giugno, l’intelligence persiana ha sgominato una cellula terroristica sunnita pronta a colpire obiettivi sciiti.
È in questa atmosfera esplosiva che si colloca l’ennesimo affronto tra le parti. Questa volta protagonista è il Bahrain, che ha deciso di revocare la cittadinanza allo sceicco Isa Amed Qassim, il più influente esponente sciita del Paese. Una misura provocatoria avvenuta in un Paese a maggioranza sciita il cui potere è però detenuto da una minoranza sunnita.  Il caso del Bahrain è indicativo dell’instabilità dell’area, basti pensare agli effetti su questo piccolo Stato delle primavere arabe: nel 2011 il grosso della popolazione sciita era scesa in piazza per protestare contro re Al Khalifa, divenendo vittima di un’aspra repressione condotta dalle autorità con l’aiuto delle truppe delle altre monarchie del Golfo. Un potere mantenuto quindi contro la volontà della maggioranza della popolazione.
La misura ai danni di Qassim non è però passata sotto traccia, causando le immediate dichiarazioni di Teheran, nella persona del generale Qassem Soleimani, al comando della “Quds Force”, unità speciale dei celebri pasdaran. Ha affermato Soleimani: “Pronti a scatenare una sanguinosa Intifada con conseguenze che ricadranno su coloro che legittimano l’arroganza dei governanti del Bahrain. Il rovesciamento del regime passerà dalla resistenza armata”.
Qualsiasi offesa verso Qassim sarà considerata dagli iraniani poco meno di un atto di guerra e, almeno a giudicare dalle parole di Soleimani, riceverà una risposta uguale e contraria. Il vento del Golfo non porta buone notizie.

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Marco Valerio Solia

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