"Via Dolorosa", Gerusalemme / Wikimedia Commons - Ian & Wendy Sewell, CC-BY-SA-2.5

La sequela di Gesù è un esodo d’amore

Commento al Vangelo della XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) — 26 giugno 2016

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L’amore autentico desidera il bene dell’amato, per questo conosce il dolore del rifiuto. Per «compiersi» ed «elevare» al Cielo ciò che sta marcendo sotto terra, l’amore di Dio deve farsi pellegrino e scendere nell’abisso del male che incatena il cuore. Con il «volto saldo», pronto per ricevere insulti, sputi e bestemmie, Gesù si reca a Gerusalemme, la Città della Pace che uccide i profeti, la santa e prostituta nella quale si riflette la contraddizione che caratterizza ogni uomo: amato come un figlio, è condannato a vivere come un orfano. Passo dopo passo, villaggio dopo villaggio, rifiuto dopo rifiuto, Gesù si reca pellegrino a Gerusalemme come al cuore malato di ciascuno di noi, dove salire sulla Croce e «compiere» la Pasqua, il passaggio dalla schiavitù alla libertà per ogni uomo.
Secondo la tradizione ebraica, la Pasqua esigeva «preparativi» accurati e lunghi, quanto il cammino di Gesù verso Gerusalemme, e «messaggeri» scelti per realizzarli. Essi, come i membri di uno staff che conosce intimamente il presidente e ne condivide la missione, sono inviati per bonificare e preparare la visita. Anche noi, «angeli inviati davanti al volto» di Gesù, ci «incamminiamo» ogni giorno verso il «villaggio dei samaritani» eretici che rifiutavano scandalizzati il Tempio di Gerusalemme. Siamo inviati in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque la Croce sia di scandalo, per prepararvi la Pasqua del Signore, bonificando la menzogna con l’annuncio del Vangelo caricandoci del rifiuto. E questo non ci piace, piuttosto vorremmo bruciare peccati e peccatori, fraintendendo il fuoco di Elia che incendiò l’idolatria per mostrarne l’inganno e così annunciare la Verità. Ma non è questa la missione di Gesù, e il suo sguardo che ci ha sempre perdonato ce lo ricorda. Siamo inviati a cercare hametz, il lievito vecchio dell’ipocrisia che rifiuta la verità, e a prenderlo su di noi, perché Gesù possa compiere la sua Pasqua.
E non vi è altro modo per rinvenire e smascherare l’ipocrisia che “seguire” Gesù; seguire significa innanzi tutto consegnare la propria vita a un altro. Nello scalare una montagna è fondamentale avere fiducia del capocordata. Seguire Gesù è rinunciare ad aprire il cammino, a decidere strategie e rotte: è fidarsi e seguire le orme, fissare le sue spalle, il segno dell’amore che ci ha chiamati caricando la Croce. Seguire Gesù è affidargli la vita sul concreto legno della Croce che ci accompagna ogni giorno, rinunciando a se stessi in ogni relazione per vivere la sua vita.
Ma questo è possibile solo se si ama. Non si è discepoli in virtù di una propria scelta, neanche di un desiderio, per sublime che sia, come nessuno decide se, quando e dove innamorarsi. E’ un’elezione gratuita per “vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente» (Maria Zambrano). La sequela di Gesù è un esodo d’amore alla ricerca della libertà, come fu per il Popolo d’Israele. Nessun merito, nessun requisito se non quello di essere il più insignificante e testardo della terra, e, per questo, amato gratuitamente.
Il “discepolo” è l’uomo della Pasqua, si nutre del pane della fretta, non ha luogo dove riposare; è attratto in un esodo che lo strappa alla schiavitù insieme a un popolo che mostrerà al mondo il destino di libertà preparato per ogni uomo. Per questo si lascia alle spalle gli Egiziani, il mondo, non ha tempo per guardarsi indietro e salutare e seppellire il passato di catene e schiavitù, i legami di carne destinati a corrompersi. Non perde tempo cercando di ricomporre le relazioni morbose, idolatriche, carnali: le seppellirà Dio affogandole nel mare per non rivederle mai più… Il discepolo di Gesù è un innamorato, immerso in un amore che lo ha raggiunto senza vedersi porre condizioni, laddove egli si trovava, come Matteo, come Zaccheo, senza il tempo di riordinare, di farsi belli, piacevoli, attraenti. Come Israele, sposa infedele raggiunta, amata e perdonata dal Signore.
Lo stesso amore di Dio che “dei due fa una cosa sola” è la sorgente della sequela: ogni vocazione è un sacramento, una Parola di Dio che crea una novità celeste nella carne e nella storia degli uomini. Così il matrimonio, il presbiterato, la vita religiosa, la vita missionaria e itinerante, tutto scaturisce dalla stessa Parola creatrice: solo in essa un uomo e una donna possono lasciare suo padre e sua madre. Non si può seguire Cristo rimanendo con cuore, mente e carne nella propria casa, cercando sempre negli affetti e negli idoli mondani un “luogo dove reclinare il capo”.
Così come chi, pur sposandosi, non abbandona mai la propria casa di origine, e cerca di farne una replica. Seguire Cristo è lanciarsi in un’avventura di cui non si conosce nulla, se non l’amore che ci ha raggiunti, salvati e liberati. Un amore infinito presuppone spazi, prospettive, esiti senza limiti. Seguire Gesù, non è altro che essere cercati, ritrovati, amati e caricati sulle spalle dal Buon Pastore, e imparare, ogni giorno, a posare lo sguardo esattamente dove lo posa Lui, perché “amarsi non vuol dire guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione” (Antoine de Saint-Exupéry).

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Antonello Iapicca

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