Qualcosa di straordinario sta accadendo a Roma. Non solo il primo Pontefice che ha preso il nome di Francesco viene dall’America Latina, ma per la prima volta nella storia una donna, la professoressa Mary Milone delle Suore Francescane Angeline, è stata nominata magnifico rettore della Università Pontificia Antonianum. Poi c’è fra Dinh Anh Nhue Nguyen, il primo vietnamita nominato preside della Facoltà Teologica San Bonaventura – Seraphicum.
Segni dei tempi? Sarà che il carisma di San Francesco D’Assisi si coniuga bene con il pontificato di Papa Francesco? Sarà che la Chiesa universale sta diventando sempre più rappresentativa? ZENIT lo ha chiesto direttamente a fra Dinh Anh Nhue Nguyen. Il nuovo preside, 46 anni, è professore straordinario ed ha insegnato e insegna in diverse realtà accademiche: oltre che al Seraphicum, il Catholic Theological College – University of Divinity a Melbourne in Australia, dal 2008 docente alla Pontificia Università Gregoriana e dall’anno corrente alla Pontificia Università Urbaniana. Tra i riconoscimenti che ha ricevuto spicca anche il primo premio al “Martini International Award”, ottenuto nel 2014 nella sezione Bibbia e cultura per la ricerca e “The Bible and Asian Culture. Reading the Word of God in Its Cultural Background and in the Vietnamese Context”.
***
Stimatissimo in Cristo padre Dinh Anh Nhue Nguyen, ci racconti un po’ di lei, come mai un ingegnere elettronico di grande talento ha deciso di farsi frate francescano?
Beh, forse è esagerato dire “di grande talento”. Riguardo alla scelta di farmi frate francescano, il Signore mi ha condotto tra le varie vicende della vita. Per farla breve, volevo dedicare la mia vita al Signore già nei primi anni dell’adolescenza, sognando di diventare sacerdote sull’esempio di un prete redentorista che si occupava di noi, bambini e giovani, nella parrocchia. Tuttavia, non era ancora possibile per me in quel tempo di inseguire quel sogno a causa di varie difficoltà. I miei genitori allora mi consigliarono di continuare a studiare e di arrivare il più avanti possibile negli studi. Dicevano: “poi si vedrà: quello che apprendi ora, ti sarà utile anche se diventerai sacerdote”. Il Signore poi mi ha guidato nel cammino scolastico e accademico. Dopo il liceo, ho superato gli esami per entrare all’Università e ho avuto la possibilità di studiare all’estero, in Russia. Durante gli studi universitari, il Signore mi ha fatto conoscere i frati francescani e dopo, ricordandomi del mio “sogno” da bambino ed ispirato dal loro esempio di fraternità e missionarietà, ho chiesto loro di poter cominciare il cammino di formazione sacerdotale nell’Ordine dei frati minori conventuali.
Anche il suo percorso geografico è singolare: dal Vietnam alla Russia alla Polonia e poi l’Italia. Come mai questo pellegrinaggio?
In tutto c’era la mano potente del Signore. Posso affermare questo a distanza di tempo. Non pensavo mai a un tale percorso. Dalla Russia, i frati mi mandarono in Polonia per la formazione religiosa iniziale. È seguito il postulantato, il noviziato e tre anni di seminario maggiore, poi il trasferimento a Roma per completare gli studi teologici. Così, finito il baccellierato, ho conseguito la licenza e il dottorato, e poi ho avuto l’incarico di docente alla Facoltà. Ed ecco, sono qui.
Lei è Vietnamita, un bellissimo paese, dove però i cattolici sono stati visti per decenni con ostilità. Lei è nato cattolico o ha incontrato il cristianesimo nel corso della sua vita?
Sono nato in una famiglia cattolica, di terza generazione, se ricordo bene. Fui battezzato quando avevo un mese e tre giorni. E porto in me il cristianesimo vissuto in Vietnam, arricchito dal contatto personale con il cristianesimo in Polonia e poi in varie regioni d’Italia. Ringrazio sempre il Signore per tutte queste esperienze di fede. Per dirla con san Paolo, grazie a Dio e alla sua misericordia, sono ora quel che sono.
Lei è il primo vietnamita che arriva alla guida di una Facoltà Pontificia romana. Una grande novità. Come può essere spiegata?
Forse si può vedere in questa scelta la voglia di continuità da parte dei superiori, in quanto prima ho ricoperto la carica di vice preside. Ma, effettivamente, è forse un mistero come del resto tutta la nostra vita.
Si tratta del segno dei tempi? Del nuovo che avanza? Dei cristiani asiatici che arrivano a Roma? Della grande qualità e bontà di una generazioni di sacerdoti asiatici? Ci aiuti a capire…
Non so se si tratta del segno dei tempi. Il punto che vedo chiaro e che vorrei sottolineare è questo: in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni nazione, Dio chiama e prepara sempre uomini e donne a suo servizio, donando loro la grazia necessaria per svolgere il compito affidato.
Come stanno i cristiani in Vietnam oggi? Ed i francescani in Asia? E quali sono i contributi che il Preside del Seraphicum può portare al Vietnam, all’Asia ed alla Chiesa universale?
I cristiani in Vietnam stanno sempre meglio, anche se si può ancora migliorare. Anche i francescani ora stanno molto bene. Grazie a Dio, le vocazioni ci sono e perciò, tutti noi siamo una realtà molto dinamica nella società, come del resto tutta la Chiesa in Vietnam. Per quanto riguarda i possibili contributi del Seraphicum, come Pontificia Facoltà Teologica possiamo fare molte cose nell’ambito della formazione e della nuova evangelizzazione, a partire dalle nostre due specializzazioni accademiche: la cristologia e il francescanesimo contemporaneo. In particolare, il discorso approfondito su Cristo è fortemente attuale in Asia, dove ci sono le altre tradizioni religiose non cristiane e quindi, esiste ancora molta confusione e incomprensione sulla figura di Gesù Cristo in quanto Figlio di Dio e unico salvatore del mondo. Una sfida è su come si possa aggiornare e inculturare l’annuncio di Cristo e il messaggio cristiano nei nuovi contesti. Per questo, abbiamo fondato l’Istituto di studi asiatici FIATS – Franciscan Institute for Asian Theological Studies. Credo che tutto ciò valga non solo in Asia, ma anche in tutto il mondo, perché oramai siamo in un villaggio globale.
Si può immaginare che saranno molti di più gli asiatici che frequenteranno il Seraphicum, o sbaglio?
Questo dipende da molti fattori. Studiare a Roma non è così semplice per un frate dell’Asia, tanto meno per un laico, anche se molti vorrebbero farlo. Non è secondario il fattore economico: stare a Roma per studiare è costoso. Perciò, la nostra Facoltà sta cercando fondi e benefattori per aiutare quei giovani religiosi asiatici e, più in generale, non europei, che desiderano intraprendere qui gli studi ma che non hanno mezzi, affinché possano venire a studiare e ad approfondire il discorso francescano e cristologico, per trasmettere poi questi valori cristiani e francescani nel loro Paese d’origine.
Qual è il sogno che vorrebbe realizzare?
Vogliamo offrire a tutti un servizio sempre più qualificato nella formazione teologica, cristologica e francescana, per la Chiesa e per il mondo. In questi mesi dopo la nomina, ho potuto parlare con molti professori della nostra Facoltà e ho visto un diffuso e ardente desiderio di offrire qui al Seraphicum una formazione non solo intellettuale accademica, ma anche e soprattutto la formazione integrale dei futuri sacerdoti e teologi/cristologi, quella fondata sulla roccia che è Cristo. Con un nuovo stile di fare teologia insieme nella comunità, cerchiamo di promuovere con più entusiasmo e coraggio gli studi di cristologia e francescanesimo contemporaneo, affidatici dalla Chiesa.
Ma, al di là dello sviluppo specificatamente accademico, sogno una Facoltà in cui ogni membro, indipendentemente che sia professore o studente, indipendentemente dall’attività che svolge, si impegni per Cristo, viva di Cristo per trasmettere agli altri non qualche idea astratta ma il Cristo vivente, e ciò con l’amore e con lo zelo che san Francesco aveva per Cristo.
Di fronte al mondo di oggi, più che mai possiamo e dobbiamo gridare di nuovo con san Francesco: l’Amore non è amato. Sì, quell’Amore di Dio incarnato che è Gesù Cristo, rimane paradossalmente ancora poco conosciuto e quindi poco amato. Per dirla con un vescovo francescano, annunciare Cristo, farlo conoscere ed amare a tutti attraverso ogni attività della vita, inclusa quella accademica, questa è la vocazione dei francescani di ogni tempo. È quindi la vocazione della nostra Facoltà, la vocazione di ciascuno di noi oggi. E vogliamo ora gridare di nuovo al mondo con san Giovanni Paolo II e con tutta la Chiesa: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”.
Come si coniugano i suoi progetti con la grande rivoluzione che Papa Francesco sta operando nella Chiesa di Roma?
Ci troviamo in sintonia con il Papa ed impariamo ad operare nel suo spirito in tutto. Mi limito qui a menzionare tre punti fondamentali. Anzitutto, l’attenzione particolare ai poveri e agli emarginati, ai quali la Chiesa cerca di offrire, accanto all’aiuto materiale necessario, il pane della vita che è Cristo. Secondo, il Papa sottolinea sempre il ruolo positivo delle periferie nella visione di fede e nella riflessione teologica. Ebbene, noi siamo proprio nelle periferie di Roma, trovandoci nel quartiere Eur, vicino all’Abbazia delle Tre Fontane. Anche la dimensione della nostra Facoltà risulta, per così dire, “periferica” rispetto ai grandi centri accademici di Roma. Tutto ciò però è il nostro vantaggio: essere nelle periferie del centro! Siamo quindi, da un lato, in comunione stretta con il centro, ma, dall’altro, grazie al posizionamento e alla dimensione “periferica” possiamo riflettere con più calma e mettere meglio a fuoco le tematiche fondamentali della fede cristiana ma anche della nostra società. Infine, l’importanza dell’educazione/formazione integrale della vocazione religiosa e cristiana. Non formiamo qui un club di intellettuali autoreferenziali, ma cerchiamo di pensare ed approfondire la perla della fede cristiana a partire dalla vita concreta e in funzione di una fede vissuta che richiede sempre maggiore comprensione.
Si chiude per voi un altro anno accademico. Come guarda all’anno prossimo? Quali sono le sfide che la Facoltà dovrà affrontare?
Sì, chiudiamo un anno accademico intenso per il quale ringraziamo il Signore. Ringrazio il preside uscente p. Domenico Paoletti, i professori, gli studenti, e i nostri sostenitori e benefattori che ricordiamo nella preghiera. Ora, come dice san Paolo, dimenticato il passato, siamo protesi verso il futuro con fiducia incrollabile che il Signore di nuovo ci guiderà. Ci saranno non poche sfide, accenno solo ad una, quella forse più grande ed affascinante: il cammino dei centri accademici francescani verso l’unica Università francescana a Roma. In questo processo, molti dettagli sono ancora da riflettere e da stabilire, ma una cosa è certa: ci arricchiamo a vicenda e uniamo le forze per servire ancora meglio la Chiesa e il mondo. Colgo anche l’occasione per ringraziare lo staff e i lettori di ZENIT per il vostro sostegno fraterno e chiedo umilmente una Ave Maria per questa Facoltà piccola e periferica, affinché possiamo compiere fedelmente la sua vocazione e l’impegno affidatoci.
Preside Seraphicum
Un vietnamita a Roma: da ingegnere a frate francescano
Fra Dinh Anh Nhue Nguyen racconta la sua vicenda religiosa e i progetti della Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” di cui è preside da pochi mesi