“Papa Francesco va in Armenia soprattutto per incoraggiare la comunità cattolica armena ed esprimere tutto il suo sostegno a questo popolo che, 100 anni fa, fu “scartato” e quasi eliminato del tutto – per questo si parla di genocidio – per motivi etnici e religiosi. Ciò sarà ricordato nella sosta di sabato sera 25 giugno nella “Fortezza delle rondini” (luogo del memoriale del genocidio armeno) ove incontrerà dieci dei discendenti scampati dal genocidio e con loro pregherà e reciterà il Padre Nostro”.
È quanto dichiara don Flavio Peloso, già superiore generale degli orionini e direttore della rivista di studi I messaggi di Don Orione che ha studiato della questione armena grazie anche ai documenti conservati nell’archivio centrale della Congregazione orionina.
“Questo evento – aggiunge don Peloso – coinvolge anche la nostra Congregazione orionina perché in anni lontani, ma non dimenticati, nel 1925, una settantina di orfani armeni, salvati dal “Metz Yeghern”, furono accolti da Don Orione nell’Istituto di Rodi. Otto di quegli orfani seguirono Don Orione come chierici e due – Giovanni Dellalian e Pietro Chamlian – divennero sacerdoti.
“Personalmente – prosegue don Peloso – vivo la visita con attualizzazione affettiva di quelle vicende ravvivata dalla relazione con la figlia Katerina di uno di quegli otto giovani chierici armeni: Bergi Benliyan. Conobbi Katerina 7 anni fa e fu grande la sua e mia emozione nel riannodare insieme ricordi e documenti di una bella vicenda umana e religiosa. In occasione della celebrazione del centenario dell’inizio del genocidio armeno, il 12 aprile, abbiamo condiviso il ricordo di quei tragici eventi e anche la parabola di umanità scritta da Don Orione nella quale entrò anche il papà Bergi.
“Mio padre si chiama Bergi Benliyan era nato il 15 agosto del 1914 a Varna – informa Katerina -. Viveva a Costantinopoli, nel momento più tragico direi. So che mia nonna vestiva mio padre da bambina per salvarlo, ma ad un certo punto, quando il bambino, il quale frequentava la chiesa cattolica, era in età per essere preso dai turchi e portato nei loro collegi, arrivò il momento di prendere una decisione drastica. In questo Don Orione ebbe un ruolo importante… un certo numero di bambini furono portati dai sacerdoti in Italia”.
“Bergi Benliyan – precisa don Peloso – partì nel settembre 1925 da Costantinopoli per Rodi, e fu nell’Istituto orionino di Acandia, diretto da Don Sante Gemelli. Il 29 giugno 1928, con un gruppetto di giovani aspiranti, partì in nave da Rodi, con soste a Corfù e Brindisi, per giungere a Roma il 3 luglio, accolto da Don Orione. Il 4 aprile 1929, fece la vestizione con altri 6 chierici armeni (l’ottavo si unirà più tardi). Dall’ottobre 1929, passò al Probandato di Voghera. Qui ebbe problemi di salute e ritornò a Rodi, ove poi si sposò ed ebbe i figli Ilario e Katerina. Morì a Roma nel 1983”.
“I racconti di mio padre di quel tempo erano molti. Rimase sempre legato a tutti voi di Don Orione”. Katerina mi mostra una foto in cui appaiono Bergi ragazzo di 13 anni, la mamma, la nonna e la sorellina. “Il padre di Bergi era uscito di casa e non ne fece più ritorno. Dietro la foto c’è scritto dalla mamma, in armeno: Settembre 1925, domani mio figlio parte per l’Italia ed io non so se lo rivedrò più. Di fatto non lo rivide più. Il giorno dopo Bergi partì per l’Istituto di Rodi, poi andò in Italia con Don Orione”.
“Tra i tanti sentimenti e considerazioni – conclude don Peloso – che la visita di Papa Francesco in Armenia susciterà a livello mondiale, giova unire anche una storia come quella della solidarietà e carità di Don Orione vissuta negli anni Venti, che, durante un’udienza del maggio 1929, presentando a Pio XI i suoi chierici armeni, gli fece dire: “Padre santo, in questo momento sono anch’io armeno”. Ed il Papa a lui: “Eh, lo sò: Don Orione omnibus omnia factus ed ora s’è fatto anche armeno”. Questa è la Chiesa e la fede cristiana”.
Sette giovani chierici armeni che si unirono a Don Orione in Italia - © Archivio Don Orione
Armenia: la testimonianza degli Orionini
Il santo fondatore ebbe il merito di accogliere una settantina di orfani scampati al genocidio