Di fronte alle 366 bare di migranti morti durante il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa “ho avuto una grossa crisi di fede, che ancora mi segna”. Lo ha confidato, davanti a un’Aula Magna gremita di studenti, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, durante il colloquio sulle migrazioni organizzato ieri sera dal Centro Astalli alla Pontificia Università Gregoriana.
“Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito – ha raccontato il porporato, secondo quanto riferito dal Sir -. Stare sul molo di Lampedusa e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede; non solo ho sentito Dio lontano ma non l’ho proprio sentito. Poi ho visto un poliziotto piangere come un bambino. Quella sera stessa ho scritto al Papa, dicendogli la mia difficoltà, come vescovo che avrebbe dovuto aiutare gli altri e che invece si è ritrovato con il cuore spento”.
Quanto sta accadendo oggi in Europa, ha proseguito, è “una storia pesante che non possiamo mettere sotto la voce ‘carità’ ma dobbiamo mettere sotto la voce ‘giustizia’. Il problema non è la migrazione ma l’ingiustizia nel mondo e il mondo si regge su questa ingiustizia. Se non cominciamo a combattere l’ingiustizia le soluzioni non si trovano”.
“Noi – ha affermato Montenegro – ci siamo lavati le mani ma continuiamo a stare sugli spalti come al Colosseo, e con il pollice in alto o in basso decidiamo la sorte di chi può vivere o morire”. Al contrario, “dobbiamo cominciare a vivere la cultura dell’accoglienza, che è la capacità di guardare l’altro negli occhi, e l’altro è contento perché vede riconosciuta la sua dignità di uomo”.
“Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito – ha raccontato il porporato, secondo quanto riferito dal Sir -. Stare sul molo di Lampedusa e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede; non solo ho sentito Dio lontano ma non l’ho proprio sentito. Poi ho visto un poliziotto piangere come un bambino. Quella sera stessa ho scritto al Papa, dicendogli la mia difficoltà, come vescovo che avrebbe dovuto aiutare gli altri e che invece si è ritrovato con il cuore spento”.
Quanto sta accadendo oggi in Europa, ha proseguito, è “una storia pesante che non possiamo mettere sotto la voce ‘carità’ ma dobbiamo mettere sotto la voce ‘giustizia’. Il problema non è la migrazione ma l’ingiustizia nel mondo e il mondo si regge su questa ingiustizia. Se non cominciamo a combattere l’ingiustizia le soluzioni non si trovano”.
“Noi – ha affermato Montenegro – ci siamo lavati le mani ma continuiamo a stare sugli spalti come al Colosseo, e con il pollice in alto o in basso decidiamo la sorte di chi può vivere o morire”. Al contrario, “dobbiamo cominciare a vivere la cultura dell’accoglienza, che è la capacità di guardare l’altro negli occhi, e l’altro è contento perché vede riconosciuta la sua dignità di uomo”.