Abu Abkr al-Baghdadi, famigerato capo dell’Isis, sarebbe rimasto ucciso in un raid aereo della coalizione internazionale guidata dagli Usa, a Raqqa, capitale dell’autoproclamato Califfato. Se confermata, la notizia sarebbe l’ennesima dimostrazione, simbolicamente la più importante, della parabola discendente dell’Isis.
Del resto le milizie curde, gli eserciti della coalizione internazionale e le forze governative stanno ormai premendo alle porte del Califfato, pronti a sfondare i bastioni in cui sventola la bandiera nera. Mosul, Falluja e Raqqa sono ormai accerchiate dai militari, vicine a una capitolazione che ancora un anno fa sembrava un miraggio.
Chi già da tempo, attraverso degli articoli su Il Fatto Quotidiano on-line, prevedeva il collasso del Califfato, è il prof. Franco Rizzi, storico e docente universitario, fondatore e segretario generale dell’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo).
“La perdita dei territori comporterà inevitabilmente la caduta definitiva dell’Isis – sostiene il prof. Rizzi a ZENIT – perché a differenza di al-Qaida, lo Stato islamico si fonda sull’occupazione di uno spazio geografico”.
L’opinione di Rizzi è che la fine dell’Isis non dipenda soltanto dalle sconfitte militari, ma anche da una sbagliata strategia di dominio da parte di al-Baghdadi. “Costui ha costruito la sua posizione sulla violenza e la crudeltà, ha diffuso un clima di terrore e di sospetto che ha esasperato la popolazione: una società di questo tipo non può che implodere prima o poi”.
Un metodo di governo impulsivo – secondo Rizzi – “che ha trascurato le alleanze con le monarchie del Golfo, le quali avrebbero visto di buon occhio la costituzione di uno Stato sunnita una volta cadute le frontiere siro-irachene”.
L’abbattimento del patto Sykes-Picot, che sottoscrissero nel 1916 Regno Unito e Francia per ridisegnare i confini dell’area secondo i propri interessi, è stato anche l’anelito che ha spinto tanti giovani mediorientali ad arruolarsi tra le fila dell’Isis.
“Tanti ragazzi – spiega Rizzi – sono stati attratti da un messaggio millenaristico da parte del Califfato: abbattere le attuali frontiere imposte dagli occidentali per ricostituire la grande Umma (la nazione, ndr) dei musulmani”.
E ora che quel sogno si sta sgretolando sotto i colpi d’artiglieria degli eserciti nemici? Il prof. Rizzi prevede un’emorragia di questi giovani combattenti verso altri territori. Tesi, la sua, che nelle ultime ore è stata confermata dalla polizia francese, la quale ha lanciato l’allarme: gruppi di jihadisti stanno lasciando la Siria per dirigersi in Francia e Belgio a compiere attentati.
“È inevitabile che ciò avvenga – commenta il professore -: una volta che questi giovani hanno perso l’obiettivo per cui erano andati in quei territori, ossia la costituzione di uno Stato, cosa fanno? A parte delle eccezioni, non si può certo pensare che tornino nei loro Paesi d’origine per rifarsi una vita da probi cittadini. Piuttosto, cercheranno di trasferire la guerra altrove”.
Quest’ultima affermazione fa correre immediatamente il pensiero agli attentati in Europa. Ieri il premier francese, Manuel Valls, ha avvertito che bisognerà avere a che fare con il terrorismo per almeno “una generazione” e che sicuramente ci saranno altre vittime innocenti.
Scenari che fanno paura. E che Rizzi prova ad analizzare. Egli è dell’opinione che “il limite delle polizie, in genere, sia quello di considerare le biografie solo dal punto di vista carcerario, andando a scrutare la fedina penale”. Secondo lui, invece, “è importante integrare i dati con delle analisi sulle motivazioni che spingono una persona a delinquere, nella fattispecie un giovane ad abbracciare il terrorismo”.
Al tema del fanatismo il prof. Rizzi ha dedicato un romanzo – Storia di un jihadista (ed. Castelvecchi, 2015) – che sviscera il malessere psicologico, anziché la disperazione sociale, di chi decide di imbracciare le armi. “Più delle grandi questioni geopolitiche – ammette – a me interessa la realtà umana dei singoli, le piccole storie, i bagagli culturali dei popoli che, come una partita a scacchi, finiscono per far scaturire i grandi scenari”.
Proprio la miopia degli Stati Uniti rispetto a queste realtà è stata, secondo Rizzi, la causa del disordine in Medio Oriente. Nel marzo scorso un articolo apparso sul quotidiano francese Le Monde, faceva riferimento a delle informative giunte alla Cia e al Pentagono, di camionette dell’Isis dirette verso Palmira, poco prima che la città siriana venisse occupata dal Califfato.
Eppure, malgrado questo, gli Usa non intervennero con dei raid aerei per bloccare l’avanzata dei jihadisti. “A quel tempo – l’interpretazione di Rizzi – gli americani pensavano ancora di potersi servire di questa forza terrorista, contro la Siria di Assad e per controllare il Governo di Bagdad”.
Una lettura cinica, quella di Washington, ma anche miope. “Quando compiono operazioni militari – prosegue Rizzi – gli Usa sottovalutano gli elementi costitutivi del tessuto sociale, snobbano le civiltà, le storie dei popoli, convinti erroneamente di poter imporre a chiunque il proprio stile di vita”.
La protervia rischia però di ritorcersi contro, innescando il terrorismo in Occidente e trasformando in esplosive ed ingestibili quelle aree. Una volta caduto l’Isis, il Medio Oriente sarà lungi da una pacificazione. “In Iraq – prevede Rizzi – si aprirà un contenzioso tra Bagdad e le autorità curde irachene per il controllo dei territori attualmente in mano al Califfato, mentre in Siria le vittorie ottenute contro l’Isis non risparmieranno ad Assad un nuovo conflitto tribale”.
Peshmerga throw away the ISIS flag and hang up the Kurdish flag - flickr
Isis verso la sconfitta. Quali scenari futuri?
I miliziani del Califfato sono accerchiati, circola voce che il leader al-Baghdadi sia stato ucciso. La parabola discendente dell’Isis spiegata dal prof. Rizzi, che prevede cosa avverrà ora