Prima un appello: “De-naturalizzare la miseria. De-burocratizzare il dolore della gente”. Poi la denuncia di un uno strano e paradossale fenomeno: “Mentre gli aiuti e i piani di sviluppo sono ostacolati da intricate e incomprensibili decisioni politiche, da fuorvianti visioni ideologiche o da insormontabili barriere doganali, le armi no: non importa la loro provenienza, esse circolano con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo. E in questo modo, a nutrirsi sono le guerre e non le persone. In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra”.
Tocca un nervo scoperto il Papa nella suo lungo discorso ai membri del Programma alimentare mondiale – World Food Program, incontrati oggi nella sede di Roma (è la prima volta nella storia di un Pontefice). Ovvero il dramma della “fame che patiscono tanti nostri fratelli”, davanti alla quale spesso rimaniamo immuni considerandola come qualcosa di “naturale”.
Per questo Francesco invita a ricordare anzitutto i “volti” e le “storie” delle persone quando si parla di guerre, violenze, migrazioni, mancanza di cibo. L’obiettivo è quello perseguito da sempre dal PAM, “fame zero”, per cui tante persone appartenenti all’organismo si sono battuti fino a perdere la loro stessa vita. Bergoglio li ha ricordati sia nel suo discorso, sia pregando al ‘Muro della memoria’ dove sono incisi i nomi di tutti coloro che si sono sacrificati “perché, anche in mezzo a complesse vicende, agli affamati non mancasse il pane”.
Questa memoria – sottolinea il Papa – va conservata “per continuare a lottare, con lo stesso vigore” e “per intraprendere attività sempre più efficaci”. Anche perché, osserva, “nel mondo interconnesso e iper-comunicativo in cui viviamo, le distanze geografiche sembrano abbreviarsi”. “Abbiamo la possibilità di prendere contatto quasi simultaneo con quanto sta accadendo dall’altra parte del pianeta” anche alle “situazioni dolorose”, osserva il Pontefice, “tali mezzi possono aiutare (e hanno aiutato) a mobilitare gesti di compassione e di solidarietà”. Tuttavia questa apparente vicinanza creata dall’informazione sembra paradossalmente “incrinarsi ogni giorno di più”, visto che “l’eccesso di informazione di cui disponiamo genera gradualmente la ‘naturalizzazione’ della miseria”.
“Sono così tante le immagini che ci raggiungono che noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono”, afferma il Vescovo di Roma.
Davanti a tale tendenza o “tentazione” va fatto un passo avanti per lo scenario globale, soprattutto da parte delle istituzioni. “Oggi – dice Papa Francesco – non possiamo considerarci soddisfatti solo per il fatto di conoscere la situazione di molti nostri fratelli. Le statistiche non ci saziano. Non basta elaborare lunghe riflessioni o sprofondarci in interminabili discussioni su di esse, ripetendo continuamente argomenti già conosciuti da tutti”.
I fatti prima delle parole. È necessario, anzitutto, “‘de-naturalizzare’ la miseria e smettere di considerarla come un dato della realtà tra i tanti”, avendo ben presente che “la miseria ha un volto”: di un bambino, di una famiglia, di giovani e di anziani. “Ha il volto – sottolinea Bergoglio – della mancanza di opportunità e di lavoro di tante persone, ha il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte”.
Non si può “naturalizzare” la fame di tante persone. “Non ci è lecito – afferma il Papa – dire che la loro situazione è frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo fare nulla”. E “quando la miseria cessa di avere un volto, possiamo cadere nella tentazione di iniziare a parlare e a discutere su ‘la fame’, ‘l’alimentazione’, ‘la violenza’, lasciando da parte il soggetto concreto, reale, che oggi ancora bussa alle nostre porte”. Al contempo, si cade nel rischio di “burocratizzare” il dolore degli altri. “Le burocrazie si occupano di pratiche”, mentre “la compassione” – che non è la “pena” – “si mette in gioco per le persone”.
“De-naturalizzare” e “de-burocratizzare” la miseria e la fame dei nostri fratelli è dunque il mandato che consegna il Papa al PAM. Anche perché “sia chiaro” – dice – “la mancanza di alimenti non è qualcosa di naturale, non è un dato né ovvio né evidente”. Il fatto che “oggi, in pieno secolo ventunesimo, molte persone patiscano questo flagello, è dovuto ad una egoista e cattiva distribuzione delle risorse, a una ‘mercantilizzazione’ degli alimenti”, chiosa il Pontefice.
E, ancora una volta, fa suo il grido della terra “maltrattata e sfruttata” che “in molte parti del mondo continua a darci i suoi frutti, continua ad offrirci il meglio di sé stessa”. Noi, invece, gli restituiamo “volti affamati” che ricordano come siano stati “stravolti i suoi fini”. “Un dono, che ha finalità universale, lo abbiamo reso un privilegio di pochi”, è l’amara riflessione del Santo Padre.
Ci farà bene, allora, “ricordare che il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero, di colui che ha fame”. Per risolvere questo dramma “dobbiamo dirlo con sincerità: ci sono questioni che sono burocratizzate, che sono come ‘imbottigliate’”. In più “negli ultimi tempi sono le guerre e le minacce di conflitti ciò che predomina nei nostri interessi e dibattiti”. E così, rileva il Papa, “di fronte alla diversa gamma di conflitti esistenti, sembra che le armi abbiano acquistato una preponderanza inusitata, in modo tale da accantonare totalmente altre maniere di risolvere le questioni oggetto di contrasto”.
Una preferenza, questa, “ormai così radicata e accettata che impedisce la distribuzione degli alimenti in zone di guerra, arrivando anche alla violazione dei principi e delle direttive più basilari del diritto internazionale, la cui vigenza risale a molti secoli fa”. “La fame stessa viene usata come arma di guerra”, denuncia il Vescovo di Roma, e “le vittime si moltiplicano, perché il numero delle persone che muoiono di fame e sfinimento si aggiunge a quello dei combattenti che muoiono sul campo di battaglia e a quello dei molti civili caduti negli scontri e negli attentati”.
“Siamo pienamente coscienti di questo, però lasciamo che la nostra coscienza si anestetizzi”, è il monito di Francesco. Sottolinea pertanto che “urge de-burocratizzare tutto ciò che impedisce che i piani di aiuti umanitari realizzino i loro obiettivi”, . In questo il Programma alimentare mondiale ha un ruolo fondamentale, perché “abbiamo bisogno di veri eroi capaci di aprire strade, gettare ponti, snellire procedure che pongano l’accento sul volto di chi soffre. A tale meta devono essere ugualmente orientate le iniziative della comunità internazionale”.
Non si tratta – aggiunge – “di armonizzare interessi che rimangono ancorati a visioni nazionali centripete o a egoismi inconfessabili. Si tratta piuttosto che gli Stati membri incrementino in modo decisivo la loro reale volontà di cooperare per questi fini”. In quest’ottica, “il PAM è un valido esempio di come si possa lavorare in tutto il mondo per sradicare la fame attraverso una migliore assegnazione delle risorse umane e materiali, rafforzando la comunità locale”.
“Vi incoraggio ad andare avanti”, esorta infatti il Santo Padre, “non lasciatevi vincere dalla fatica, che è molta, né permettete che le difficoltà vi facciano desistere. Credete in quello che fate e continuate a mettervi entusiasmo, che è il modo in cui il seme della generosità può germinare con forza. Concedetevi il lusso di sognare. Abbiamo bisogno di sognatori che spingano questi progetti”.