Simona Atzori

Simona Atzori

Simona Atzori: l'amore e la danza, "come un prodigio"

La ballerina è stata protagonista della festa annuale delle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe

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“Come un prodigio” è stato il tema della festa del 2 giugno promossa dalla Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe presso il Cenacolo Mariano di Borgonuovo (BO). Una iniziativa che quest’anno ha avuto anche un obiettivo solidale, il progetto missionario “Laboratorio di danza” del Centro Sociale Massimiliano Kolbe di Riacho Grande, periferia di San Paolo, Brasile.
Numerosa la partecipazione, diverse le provenienze: Emilia Romagna, Veneto, Marche, Lombardia, tante le persone che  hanno voluto assistere allo spettacolo e ascoltare la testimonianza di Simona Atzori, l’arte nel dna, ballerina, pittrice, scrittrice, capace sempre di stupire, affascinare, arricchire con la sua testimonianza di vita. E, come lei ama ripetere, “non importa la grandezza del palco sul quale ci si esibisce, perché ciò che conta veramente è il cuore delle persone, e spesso lo trovi dove c’è più semplicità. Tutto così diventa più bello, tutto ha senso”.
L’Auditorium si riempie in fretta, sfumano le luci, musica, passi di danza. Con lei altre due ballerine, Maria Cristina e Beatrice, da subito interagiscono con movimenti sicuri, armonici, sulle note del Magnificat di mons. Frisina. Veramente, “la danza è la forma d’arte che più si avvicina all’amore”.
Poi la testimonianza, una voce che arriva direttamente al cuore, suscita emozioni, commuove.
E quel punto interrogativo che spiazza: “Vi siete chiesti perché siamo qui? È una domanda che ci facciamo spesso quando dobbiamo prendere delle grandi decisioni. Allora davanti a un bivio diciamo: ma dove andiamo? A volte la paura ci paralizza. Già dalla mia nascita ho dovuto affrontare questa domanda: perché sono qui, cosa ci sto a fare, ho lasciato un po’ di pezzi in giro… ci sarà un senso! È un caso, una disgrazia, una sfortuna?”.
Simona si toglie le scarpe, si siede, i suoi piedi diventano le sue mani, gesticola, legge, ci racconta che una volta una bambina di dieci anni le disse che non era vero che lei non avesse le mani, solo aveva le mani in basso; è stata la definizione che in assoluto le è piaciuta di più.
E poi la sua storia, unica: la sua nascita, un primo smarrimento dei genitori, in sala parto, e subito uno sguardo di complicità e la loro stretta di mano: “Io in quel momento sono diventata loro figlia, non per un diritto di sangue ma per una scelta concreta d’amore. Se mia mamma e mio papà non avessero guardato in quel momento quella nascita attraverso gli occhi dell’amore, forse la mia sarebbe stata un’altra storia”.
Il racconto dei primi anni, l’amore della mamma, il “dopo di lei”, le lotte, il riconoscere a ogni costo quello che si ha e non quello che manca, le conquiste, i riconoscimenti, i suoi incontri importanti ma soprattutto, prima di tutto, caparbiamente la voglia, il desiderio di amare: “L’amore è semplice, ed è proprio nella sua semplicità che c’è tutta la sua dignità”.
C’è grande silenzio in sala, i bambini in prima fila immobili, tante persone con la bocca aperta, con gli occhi velati di lacrime, un pubblico conquistato, affascinato, arricchito dentro. Standing ovation e applausi senza fine.
Infine il dialogo, tante domande, strette di mano come solo lei sa dare, con le sue “mani in basso”, con il sorriso sincero. Il tempo passa ma nessuno se ne accorge. Una sorpresa, il video con il saluto a Simona dei bambini del corso di danza di Riacho Grande, quelli che verranno aiutati con il progetto solidale, ai quali le missionarie avevano fatto vedere alcuni suoi video: “Obrigada! Simona, grazie, complimenti per quello che fai, anch’io voglio fare come te, che non hai rinunciato al tuo sogno”, dice una bambina. Commozione pura. Le persone escono dalla sala diverse da come sono entrate, una gioia percepibile dalle espressioni dei volti e dalla fraternità nata dall’essere stati partecipi e aver condiviso un evento straordinario. Nel parco la lunghissima fila per la dedica nei suoi libri, nomi da scrivere, storie da ascoltare, la richiesta di un semplice autografo per far vedere che “io c’ero”, tanti abbracci.
La festa continua. Nel pomeriggio la Celebrazione Eucaristica presieduta da padre Francesco Lenti, frate minore conventuale di Assisi, un grande grazie liturgico rivolto al Signore per i tanti doni ricevuti, e in particolare per la testimonianza di Simona Atzori, un prodigio di Dio. Durante la Messa, il ricordo del martirio di san Massimiliano Kolbe nel suo 75° anniversario e l’invio missionario a nove giovani che partiranno presto per un’esperienza di volontariato in Brasile.
“Cosa vi manca per essere felici?”, chiedeva Simona. Basta una giornata così per cambiare prospettiva, per valorizzare ciò che si ha, per sentirsi benedetti, amati, sempre, per non perdere il sorriso anche nelle difficoltà e nelle prove, per ripetere ogni giorno con gioia il nostro grazie al Signore della vita.

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Agata Pinkosz

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