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Poesie per dar voce agli invisibili

Con il libro “Censimento degli invisibili”, Cesare Cavoni prova a colorare con la poesia la dura realtà dei migranti

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Il risveglio della poesia che parla anche della realtà è il viaggio proposto dal giornalista e poeta Cesare Davide Cavoni nel volume dal titolo “Censimento degli invisibili” edito da ‘Fuorilinea’nella collana di poesia “Rosso Sospeso.
Cesare Cavoni è noto per essere tra i conduttori della trasmissione televisiva TGtg di TV2000, che non a caso, si conclude sempre con la lettura di una poesia.
Un viaggio che prende spunto dalla tragedia dei migranti e dalle piccole e grandi storie di persone considerate invisibili, tra guerre, conflitti interiori e la nostra condizioni di Ulisse di periferia.
Chi può predisporsi, se non la poesia, ad un censimento di tutto ciò, cose e persone, che pur viaggiandoci accanto sembrano invisibili.
E’ in questa nebbia che si muovono figure familiari e nello stesso tempo lontanissime. Così questi versi si nutrono di storie e scendono in strada, nella guerra e nel fango per andarsele a prendere. Figure e storie che entrano tutte in un gigantesco museo dell’inquietudine.
Gli ultimi, coloro che vivono in eterne periferie, dell’anima e dello spazio, ai margini della storia; quelli di cui ci si ricorda solo attraverso statistiche e numeri. Sono loro i protagonisti di questo libro.
Sono loro le persone che attraversano i giorni alla maniera di gironi infernali senza che nessuno se ne accorga. Sono gli invisibili. Lo sono oggi, in un presunto tempo di pace, così come altri lo sono stati in un lontano tempo di guerra, quando in molti si giravano dall’altra parte per non vedere i forti infierire sui deboli.
È questo un duplice viaggio, reale e immaginario, che si snoda lungo due distinti versanti narrativi; da una parte gli invisibili che affiorano dalla realtà, fino a farsi cronaca: malati, migranti, vittime di guerre e regimi; dall’altra il simbolo di un altro viaggio, in apparenza più personale, ma che rispecchia la ricerca di senso di ogni persona e che attraversa il dolore come una smemorata radiografia di cartapesta.
È qui che trova posto il cammino di un Ulisse di periferia, che sogna il mare aperto verso casa ma che in realtà è già così intrappolato in essa, da non riuscire a salpare se non in un ristretto specchio d’acqua all’idroscalo.
In una civiltà dedicata al mito di Ulisse e al suo perduto desiderio di tornare, oggi i migranti rappresentano forse il devastante contrappasso di quel viaggio centripeto.
Da qui muove i suoi versi questa raccolta, da una delle tragedie più devastanti di questi anni: 3200 migranti morti nel 2015, tra cui oltre 700 bambini.
La speranza della fuga che finisce nella disfatta della morte. Elementi che fanno riaffiorare alla memoria come in Emigrazione 1884-2013, i primi del ‘900 allorché centinaia di migliaia di italiani tentarono la fortuna in terre straniere, spesso accolti a cannonate e coperti da insulti d’ogni tipo.
Ma i versi tornano indietro nel tempo a ricordare anche conflitti da poco passati le cui macerie ancora ci interrogano (Paesaggio senza vittoria a Mostar).
Con agile passo narrativo, senza mancare però delle note più accorate e liriche, questa raccolta cerca di ridare dignità ad una realtà che di solito la poesia non si fa carico di raccontare così presa nelle sue modulazioni autoreferenziali.
È un viaggio che si dipana attraverso un linguaggio che abbandona il barocchismo di tanta tradizione per attingere invece ad un ritmo più piano, disteso e comprensibile.
Dunque, ad una prima sezione impigliata nel reale, addirittura nella cronaca dei giorni nostri, fa da contraltare una seconda sezione il cui titolo è già un programma poetico: Ulisse all’idroscalo si pone infatti come il diario personale di un viaggio che partendo dal cuore dell’Europa, arriva alle radici universali dell’umano. Il calvario di Ulisse è quello di ognuno di noi.
Tutto sommato, siamo tanti Ulisse, anche se all’idroscalo. E meritiamo almeno ritorni più confortevoli visto che non riusciamo ad avere il coraggio di Abramo per partire con biglietto di sola andata.
Insomma, accanto a questa sorta di richiamo civile, si affianca una parte più introspettiva di questa raccolta ma sempre e comunque inserita nei racconti e resoconti di vite, con una tensione a volte più surreale e fantastica, come il viaggio di Volo pindarico che capovolge i luoghi comuni  che spesso avvolgono la disabilità.
Tutto questo serve anche ad innestare nella raccolta altri due elementi significativi: il disincanto e l’ironia che vengono utilizzati per riscattare la retorica; quella dei ricordi e quella delle distanze, ma anche quella del ripiegamento su se stessi e quella della dolorosa commiserazione, malgrado tra gli invisibili vi siano anche i capitoli della malattia e della morte, vissute come sfide all’assoluto e con in mano una valigia piena di dubbi che sembrano rimettere in gioco perfino l’esistenza di Dio. (Hospice)
E il disincanto non risparmia neppure la Chiamata ad una “piccola” creazione come quella della poesia.
È proprio in questo rimettere in discussione tutto che si colloca lo spiraglio dal quale penetra lo sguardo dubbioso verso il trascendente che si trasforma in uno squarcio con Preghiera al contrario e che marca il senso del limite umano con Veni Creator Spiritus attraverso la sua innocente richiesta di Grazia.
Queste poesie inseguono storie, le vogliono raccontare e nel farlo intendono dare senso e nome alla realtà. Ecco allora una riflessione sulla fine in Fuga da Parigi così come in Pena di morte a cui si accosta l’assurdità del vivere de Il museo della vita.
Allo stesso modo uno sguardo pietoso cade sulle rovine di Roma che perse nella disfatta del presente rimandano ad una ricerca di Dio che dia senso anche alle pietre con cui, alla fine, ci specchieremo (Ultima fermata).
E nell’inversione di significati del nostro tempo, perfino il valore della vita esige di essere nuovamente ridefinito perché rimesso in dubbio dal presuntuoso ed egoista agire umano (Difendere la vita).
Anche la poesia dell’amore (Parole d’amore, Nuove mappe, Parole) trova il suo doppio nella disgrazia del conflitto che trasforma le parole in proiettili (Duello degli amanti stanchi).
Ecco chi sono gli invisibili. Certo, non è possibile censirli, ma la poesia ne autentica il grido, ne ricompone l’assenza. Colma un teatro vuoto con il loro canto.
 

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ZENIT Staff

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