«Credo che avere la Terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare». Andy Warhol, uno che di arte e quadri se ne intendeva, così dipingeva il mondo ideale. Un orizzonte al quale richiama anche la giornata odierna, come ogni 5 di giugno sin dal 1972 dedicata dall’Onu in tutto il mondo all’ambiente.
Un evento di cui c’è un bisogno disperato per riflettere e, se possibile, agire al meglio. Ciò che ci circonda, in effetti, è un dono del quale, ormai, l’uomo è sempre meno capace di riconoscere ed ammirare il valore, né tantomeno di comprenderne il prezzo, ideale e materiale, certamente superiore a quello di tante cose non indispensabili che il demone del consumismo propone e induce ad acquistare.
Il segno evidente del disprezzo per il Creato, del resto, è ben visibile nell’inquinamento e nella devastazione ambientale, come pure nell’incapacità di valutarne la preziosità unica e irripetibile.
Quel che è peggio, se possibile, è che la rovina dell’ambiente, lo squallore urbano, le ferite ecologiche altro non sono che il riflesso e l’effetto di una desertificazione interiore. E il ritratto dei deserti spirituali è così nitido e variegato che in esso si ritrovano le distese delle steppe dell’umanità di ogni tempo, ma in particolare di quello presente, con le sue varie regioni: povertà, miseria, solitudine, crisi della coscienza e della fede.
Nella tradizione musulmana s’immagina che Dio lasci cadere dal cielo un granello di sabbia ad ogni peccato umano: È un modo di spiegare l’avanzata del deserto che inghiotte il prato verde della vita. Ogni delitto, insomma, non si riduce al privato, ma ha ripercussioni sulla società.
È inevitabile: un giorno a chi abita il pianeta sarà presentato il conto per la luce del sole e lo stormire delle fronde, per la neve e il vento, per l’aria respirata e le sere e le notti. E quel conto andrà pagato. Per questo, allora, è importante inquadrare la sostenibilità nell’orizzonte più vasto della dignità e dell’etica umana, sociale e religiosa.
Non a caso, è proprio ciò che viene ribadito a più riprese nell’enciclica Laudato si’, in cui per almeno una dozzina di volta ricorre il concetto di sostenibilità. Papa Francesco lo richiama partendo dalla Carta della Terra promulgata all’Aja il 29 giugno del 2000: «Come mai prima d’ora nella storia, il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio.
Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, e per la gioiosa celebrazione della vita». E aggiunge: «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale».
Un impegno da non trascurare perché, come scriveva già anche Albert Einstein, «la modernità ha fallito: bisogna costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva».
La Terra, un dono da custodire
È importante inquadrare la sostenibilità nell’orizzonte più vasto della dignità e dell’etica umana, sociale e religiosa. Un giorno a chi abita il pianeta sarà presentato il conto