3. Meditazione -- San Paolo fuori le Mura, 2 giugno 2016 /

San Paolo. Il Papa: “La gente perdona molti difetti ai preti, salvo l’essere attaccati al denaro”

Nella terza meditazione del Giubileo dei sacerdoti, Francesco mette in guardia dai “piani pastorali” dove non trovi spazio la misericordia. E ai confessori raccomanda: “Non siate come dei funzionari e non siate ‘curiosi’ verso i penitenti”

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Le opere di misericordia sono notevolmente legate ai “sensi spirituali” e noi, pregando, possiamo chiedere la grazia “sentire e gustare” il Vangelo, in modo che ci renda “sensibili per la vita”. Lo ha detto papa Francesco durante la terza e ultima meditazione, in occasione del Giubileo dei sacerdoti.
Trasferitosi alla basilica di San Paolo fuori le Mura, dopo aver tenuto le prime due catechesi a San Giovanni in Laterano e a Santa Maria Maggiore, il Pontefice ha indicato come punto di partenza della sua riflessione giubilare, l’episodio evangelico delle nozze di Cana (Gv 2,2-12): è Maria, con i suoi “occhi misericordiosi” a incoraggiarci a “fare tutto quello che Gesù ci dirà” e a compiere i miracoli di cui il popolo ha bisogno.
Ad ogni opera di misericordia, dunque, è legato un senso: l’udito nel caso delle “grida di Bartimeo” il cieco; il tatto nel caso dell’emorroissa, con il con il suo “tocco timido ma deciso” sul mantello del Signore; l’olfatto, ogniqualvolta chiediamo “la grazia di gustare con Lui sulla croce il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per sentire così l’odore forte della miseria – in ospedali da campo, in treni e barconi pieni di gente –; quell’odore che l’olio della misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli una speranza”.
È ancora l’olfatto a manifestarsi nella vita di molti santi: è il caso di Santa Rosa da Lima, la quale, rimproverata dalla madre di accogliere in casa i poveri e gli infermi, le rispose: “Quando serviamo i poveri e i malati, siamo buon odore di Cristo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2449).
Dio “preferisce i poveri”
Verso i poveri, gli oppressi e i sofferenti, ha ricordato il Papa, la Chiesa ha sempre rivolto uno speciale “amore di preferenza”, che permette di glorificare il Padre. E la gente apprezza sempre “il prete che si prende cura dei poveri, dei malati, che perdona i peccatori, che insegna e corregge con pazienza”.
Il popolo di Dio, ha aggiunto Francesco, “perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro”, in primo luogo perché “il denaro ci fa perdere la ricchezza della misericordia”, trasformando il pastore in un “funzionario o, peggio, in un mercenario”. Attentare contro la misericordia, dunque, è una “contraddizione principale”, che pregiudica finanche il “dinamismo della salvezza”.
In definitiva, la misericordia non è qualcosa di ‘settoriale’, rivolta, ad esempio, ad un “bisognoso”; al contrario, “essere misericordioso non è solo un modo di essere, ma il modo di essere – ha puntualizzato il Pontefice -. Non c’è altra possibilità di essere sacerdote”.
Nessun progetto funziona se non c’è misericordia
La misericordia è anche il parametro con il quale possiamo valutare la benedizione di Dio sulle nostre opere: se la misericordia è presente nelle nostre intenzioni, allora “siamo sempre benedetti da Dio”.
Se un nostro progetto – sia esso anche un “piano pastorale – è privo di misericordia, “non funziona” e “non è benedetto”. Per misericordia, ha ribadito il Papa, si intende qualcosa che “appartiene più a un ospedale da campo che a una clinica di lusso”; misericordia è apprezzare nell’altro “qualcosa di buono”, preparandole, così, il terreno ad un “futuro incontro della persona con Dio invece di allontanarla con una critica puntuale”.
A tal proposito, Bergoglio ha citato l’episodio evangelico del perdono dell’adultera (Gv 8,3-11). Il “va’ e da ora non peccare più” non è qualcosa di ovvio”, né qualcosa che riguarda solo l’“aspetto morale” ma concerne “un tipo di peccato che non la lascia fare la sua vita”. Allo stesso modo, Gesù aveva detto “non peccare più” al paralitico di Betsaida, per “farlo uscire dalla sua paralisi”. Egli vuole che ogni peccatore pentito “cammini umilmente” e “nella carità” alla Sua presenza.
Ai confessori: “non siate autoreferenziali”
Seconda parte della meditazione è stata riservata al ruolo del “confessionale”, come “luogo in cui la verità ci rende liberi per un incontro”. Il confessore, quindi, è “segno e strumento” di questo incontro con “Dio misericordioso”; egli non può essere “autoreferenziale”: “nessuno si ferma a guardare il cacciavite o il martello, ma guarda il quadro che è stato ben fissato”, ha spiegato Francesco, a mo’ di metafora.
I confessori devono avere la caratteristica della “disponibilità” ed essere dei “mediatori”, facilitando le cose e non ponendo “impedimenti”. Chi si avvicina al confessionale è perché “c’è già pentimento” o “desiderio di cambiare”, ha proseguito il Pontefice, raccomandando ai confessori di usare “delicatezza con i peccatori” e ricordando che “la completezza della confessione non è una questione matematica”, anche perché le situazioni personali dei penitenti sono spesso “un miscuglio di cose, di malattia, di peccato e di condizionamenti impossibili da superare”.
Apparentemente paradossale è quindi l’esempio, citato da Bergoglio, di un cappuccino da lui conosciuto a Buenos Aires, che un giorno gli confidò: “Vado davanti al tabernacolo, guardo il Signore, e gli dico: Signore, perdonami, oggi ho perdonato molto. Ma che sia chiaro: la colpa è tua perché mi hai dato il cattivo esempio!”. E il Papa ha commentato: “La misericordia la migliorava con più misericordia”.
Due sono i consigli rivolti dal Santo Padre ai confessori: 1) non avere mai “lo sguardo del funzionario, di quello che vede solo ‘casi’ e se li scrolla di dosso”; 2) non essere “curiosi” nei confronti dei peccati riferiti, poiché è proprio della misericordia “coprire con il suo manto” il peccato per non “ferire la dignità”, come fanno i figli di Noè di fronte alla nudità del padre ubriaco (cfr. Gen 9,23).
Le opere di misericordia sono “artigianali” e possono moltiplicarsi a dismisura
Parlando, infine della natura delle opere di misericordia, il Pontefice ha ricordato quanto esse non si limitino soltanto alle “sette corporali” e alle “sette spirituali”: queste ultime possono essere definite le “materie prime”, in grado di trasformare la misericordia in una “opera artigianale”, che “si moltiplica come il pane nelle ceste, che cresce a dismisura come il seme di senape”, in quanto è “feconda e inclusiva”.
Oggetto della misericordia è infatti “la vita umana stessa e nella sua totalità”. È innanzitutto in famiglia che le opere di misericordia si praticano “in maniera così adatta e disinteressata” ma “basta che in una famiglia con bambini piccoli manchi la mamma perché tutto vada in miseria” e “la miseria più assoluta e crudelissima è quella di un bambino per la strada, senza genitori, in balia degli avvoltoi”.
Dopo aver chiesto la grazia di essere “segno e strumento”, dobbiamo “istituzionalizzare” e “creare una cultura della misericordia”. In questo, lo Spirito Santo sembrerebbe davvero scegliere “gli strumenti più poveri, quelli più umili e insignificanti, che hanno loro stessi più bisogno di quel primo raggio della misericordia divina”.
Sono proprio i “servi inutili” che il Signore benedice “con la fecondità della sua grazia, e che Lui stesso in persona fa sedere alla sua mensa e ai quali offre l’Eucaristia”: ciò è “una conferma che si sta lavorando nelle sue opere di misericordia”.
Al “popolo fedele” piace radunarsi intorno alle opere di misericordia, ha aggiunto Francesco, facendo riferimento alla “presenza massiccia” di fedeli ai santuari e nei pellegrinaggi, dando vita a “tante opere solidali”, degne “di attenzione, di apprezzamento e di promozione da parte nostra”, sebbene tutto questo non sempre sia riconosciuto ed apprezzato, “malgrado falliscano tanti altri piani pastorali centrati su dinamiche più astratte”.
La meditazione si è conclusa con il canto dell’Anima Christi, definita dal Santo Padre “una bella preghiera per chiedere misericordia al Signore venuto nella carne, che ci usa misericordia con i suoi stessi Corpo e Anima”.
Lettera di un parroco di montagna con l’‘odore delle pecore’
Prima di congedare i rappresentanti del clero presenti, papa Francesco ha ammesso di essere talvolta propenso a “bastonare” i sacerdoti per le loro manchevolezze ma di essere comunque rimasto spesso edificato dall’esempio di “tanti bravi e santi sacerdoti” che svolgono il loro impegno pastorale nella discrezione e nel nascondimento.
Ha quindi letto pubblicamente la lettera di un parroco di una regione montana del Sud Italia, che ringraziava il Papa di tutti i suoi insegnamenti, suggerimenti e correzioni fraterne ed in particolare dell’esortazione ai sacerdoti ad essere meno ‘funzionari’. “Vivo in montagna e so cosa vuol dire ‘avere l’odore delle pecore’”, ha scritto il parroco.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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