Rito Romano – Anno C – 29 maggio 2016
Gen 14,18-20; Sal 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17 – Ss. Corpo e Sangue di Cristo
Rito Ambrosiano
Sir 18,1-12; Sal 135; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33
II Domenica dopo Pentecoste
1) Moltiplicare il pane e spezzare il Pane di vita.
Per farci vivere la festa del Corpo e del Sangue di Cristo, quest’anno la Liturgia ci propone il brano del Vangelo di San Luca che narra della moltiplicazione dei pani avvenuta in un luogo vicino a Betsaida, che in ebraico vuol dire Casa del Pescato e che era la città di Pietro, Andrea e Filippo (cfr Gv 1,44).
Con i discepoli di ritorno dal “lavoro” di evangelizzazione, Gesù si era ritirato in privato in quel luogo desertico, solitario per stare con i suoi e, forse, per farli riposare dalle “fatiche” missionarie. In questa zona desertica solitaria, Gesù è raggiunto da una grande folla che ha fame di parole di vita vera e porta con sé dei malati. Lui accoglie tutti e parla loro di Dio e del suo Regno, guarendo i bisognosi di cure. In effetti, la missione del Messia è di insegnare, guarire e nutrire l’anima e il corpo.
Oggi per la solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Gesù, é a questa predicazione e questa cura spirituale e materiale, che si aggancia il brano scelto, in cui è narrata la moltiplicazione dei pani (Lc 9,11-17), figura del pane eucaristico, perché “né a a noi né a Dio è bastato darci la sua parola. Troppa fame ha l’uomo e Dio ha dovuto dare la sua Carne e il suo Sangue” (Divo Barsotti).
Il centro del brano evangelico di oggi sono le parole che si ripetono sempre ogni volta che si celebra l’Eucaristia: prese il pane, levò gli occhi al cielo, benedisse, spezzò e diede (cfr Lc 11, 16: “Egli (Gesù) prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla”).
Credo sia corretto affermare che tutto il Vangelo è un commento a queste parole, che sono da leggere nel contesto dei versetti precedenti in particolare il 12 e il 13: “Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: ‘Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta’. Gesù disse loro: ‘Voi stessi date loro da mangiare’”.
Gesù aveva già dato ai Dodici il mandato di predicare il vangelo e di guarire i malati. Ora affida loro anche il compito di dare da mangiare alla gente. Inoltre, il fatto che l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci sia oggi scelto per la liturgia del Corpo e della Sangue di Cristo, indica che Gesù non vuole semplicemente sfamare la gente, ma compiere un segno rivelatore di come Dio vuole che gli uomini si comportino.
Secondo i discepoli tocca alla gente comprarsi da mangiare. Per Gesù, invece, il comperare va sostituito con il condividere. Questo significa che devono cambiare le relazioni fra noi e gli altri, fra noi e la Terra. E’ il grande significato dell’Eucaristia, che non solo dice una presenza di Dio, ma una presenza che si fa pane spezzato e vita condivisa. Le cose che abbiamo – poche o tante che siano – sono sempre donidi Dio, da condividere con gli altri, non da usare nonostante gli altri. Se anche idiscepoli avessero loro stessi comperato il pane per la gente (“a meno che non andiamo noi a comprare i viveri per tutta questa gente” – Ibid. 9, 13), avrebbero compiuto un gesto di filantropia, non un gesto che introduceva nei rapporti unalogica differente, quella del dono, e in grado di rivelare un volto nuovo di Dio, comunione d’amore e di dono.
E così comincia il giorno nuovo. In effetti, non è casuale che San Luca scriva: “Il giorno cominciava a declinare” (Ibid. 9, 12) : come non ricordare la sera dei Discepoli di Emmaus (Ibid. 24, 13-15) e, soprattutto, la sera dell’Ultima Cena (Ibid.22, 19-20) quando istituì l’Eucaristia: finiva il giorno vecchio e ebbe inizio il “nuovo giorno”. Quando noi pensiamo che siamo al tramonto, il tramonto del nostro giorno è l’inizio del Suo giorno senza tramonto.
2) La logica del dono.
E’ vero che in questo brano del Vangelo i gesti di Gesù: benedire, spezzare il pane, distribuirlo con l’aiuto dei discepoli fanno pensare alla cena eucaristica. Tuttavia non si tratta soltanto di una prefigurazione simbolica dell’Eucaristia, ma di una vera e profonda rivelazione di Gesù e della sua esistenza e, quindi, di una vera rivelazione del gesto eucaristico. Per l’evangelista San Luca la distribuzione dei pani, l’ultima Cena, la cena di Emmaus sono i pilastri che manifestano la logica dell’esistenza di Gesù: una vita in dono.
Questo dono è l’Eucaristia: il Corpo e la vita del Figlio. Nell’Eucaristia, in cui riceviamo in dono “il corpo di Cristo dato per noi e per tutti”, ogni promessa di Dio si compie. Nell’Eucaristia viviamo tutte le feste che durante l’anno celebriamo, dal Natale alla Pasqua, dalla Pentecoste alla Trinità. Abbiamo in dono la vita nuova di figli nel Figlio. L’importante è non tenere per sé questo dono ma condividerlo.
Ma questa condivisione è possibile se si spezza il pane (non è un caso se uno dei nomi della Messa è “fractio Panis” dal latino “frangere” che vuol dire “spezzare, frantumare, tritare, sminuzzare”). Il verbo “spezzare” ricorre in tutti i racconti dell’istituzione dell’Eucaristia, come anche nei racconti della moltiplicazione dei pani e in quello dei discepoli di Emmaus. I verbi sono sempre questi quattro: prese, benedisse, spezzò, diede. E sono sempre nella stessa identica sequenza. Li abbiamo sentiti pronunciare tante volte: forse ci abbiamo fatto perfino l’abitudine.
Se Gesù accetta di essere sminuzzato senza esitazione e senza resistenze, lo fa per amore nostro. Lui condivide la sua vita “spezzandola”, lasciandosi frammentare in tanti piccoli bocconi per raggiungere ben più delle cinquemila persone di cui parla il Vangelo oggi.
Come possiamo imparare da Lui per essere come Lui? Facendo la comunione e accettando di “distribuire” noi stessi in fiducioso abbandono. Accogliamo la vocazione a donarci, vivendo in modo eucaristico, cioè unendo il nostro lavoro quotidiano e la nostra fatica di vivere alla carità di Dio.
Mentre preghiamo il Signore che ci aiuti ad imitare nella vita quotidiana ciò oggi celebriamo, guardiamo l’esempio della vergini consacrate nel mondo, perché “il Mistero eucaristico manifesta un intrinseco rapporto con la verginità consacrata, in quanto questa è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo, che essa accoglie come suo Sposo con fedeltà radicale e feconda. Nell’Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione ed alimento per la sua dedizione totale a Cristo” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 81).
La vergine consacrata è appassionata nel suo amore per l’Eucaristia, ricevendo Cristo come sua ispirazione e suo cibo. Sempre pronta a ricevere l’amore intimo del Signore e a ricambiarlo con la preghiera e il servizio, si nutre quotidianamente del cibo eucaristico, che le dà la forza di presentarsi pubblicamente come vergine nel mezzo di una società che fa molta fatica quando non vi si oppone alla presenza di persone che non solo sono donne consacrate ma vergini consacrate.
Queste vergini testimoniano che non solo è meglio vivere come se Dio esistesse, che Dio è la ragione della vita, della vita vera e lieta. In questo modo, esse sono“testimoni della gioia del Vangelo” (Papa Francesco).
La loro vita mostra che si realizza quanto il Vescovo promette nell’omelia: “Cristo, Figlio della Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla terra, finché vi condurrà alle nozze eterne nel suo regno, dove cantando il canto nuovo seguirete l’Agnello dovunque vada” (Rituale per la Consacrazione delle Vergini, Progetto d’omelia, n. 29) e nella preghiera di consacrazione: “Signore, sii tu per loro la gioia, l’onore e l’unico volere; sii tu il sollievo nell’afflizione; sii tu il consigliere nell’incertezza; sii tu la difesa nel pericolo, la pazienza nella prova, l’abbondanza nella povertà, il cibo nel digiuno, la medicina nell’infermità. In te, Signore,possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto” (Ibid., n. 38). La vergine consacrata è un dono d’amore fedele a Dio e spiritualmente fecondo per la Chiesa, è una storia di umiltà e di nascondimento, una vita già eterna, gioia anticipata di un’attesa che è già presenza.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi
Chiesa della Moltiplicazione, Tabgha / Wikimedia Commons - Berthold Werner, Public Domain
Una presenza che si fa pane spezzato e vita condivisa
Lectio divina sulle letture per la Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) — 29 maggio 2016