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Il sogno europeo di Papa Francesco

Su Civiltà Cattolica, padre Spadaro spiega come nella visione del Pontefice l’Europa sia “non uno spazio da difendere, ma un processo da implementare”

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Con un saggio dal titolo: “Lo Sguardo di Magellano – L’Europa. Papa Francesco e il Premio Carlo Magno” pubblicato nel quaderno numero 3983 de La Civiltà Cattolica, il direttore padre Antonio Spadaro S.I. spiega il sogno europeo del Pontefice. Ne riportiamo un’ampia sintesi:
***
Qual è la visione che il Papa non europeo ha dell’Europa? Lo sguardo di Bergoglio è uno sguardo europeo, perché le sue radici sono in Piemonte e la sua formazione è radicalmente anche europea.
Egli stesso, nel discorso, si riconosce figlio “che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede”. E tuttavia egli è argentino e la sua esperienza ecclesiale è latinoamericana.
L’itinerario dei suoi viaggi nel continente europeo è partito da Lampedusa — “porta d’Europa”, e dunque meta di un viaggio più europeo che italiano — e dall’Albania, terra d’Europa che non fa ancora parte dell’Unione Europea e a maggioranza islamica.
Da queste “periferie” il Papa è come rimbalzato brevemente al “centro”, cioè a Strasburgo, per visitare le Istituzioni europee, e poi proseguire sempre ai confini: Turchia, Bosnia-Erzegovina e Lesbo, altra tragica “porta d’Europa”.
A ottobre sarà a Lund, in Svezia. La misericordia per Francesco si delinea politicamente in libertà di movimento. Si accosta all’Europa dalla sua lontana “periferia”.
Per comprendere questa affermazione al di là di ogni facile slogan, leggiamo ciò che Francesco ha dichiarato in una intervista rilasciata a La Cárcova News, rivista popolare prodotta in una villa miseria argentina: “Quando parlo di periferia, parlo di confini.
Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo.
Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo più cose e, quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa.
Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato.
Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa”.
Lo sguardo di Bergoglio è, dunque, quello di Magellano, e vuole continuare a esserlo.
Francesco vuole conoscere l’Europa partendo da Roma e circumnavigando il continente a partire da sud, proseguendo ad est e poi — lo farà a ottobre — spingendosi nel profondo nord, in Svezia.
Non c’è stata, al momento, alcuna puntata ad ovest, verso l’Occidente.
Nell’intervista citata egli prosegue: “La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro”. Ecco il motivo del suo tragitto esterno, della sua circumnavigazione ai bordi. Questo è ciò che Francesco cerca tra Lampedusa, Tirana, Lesbo e Lund: l’”anima” europea. E l’anima non è solo il “centro”, ma il “cuore” pulsante e vivo.
Francesco è come un medico che cerca di capire se il cuore funziona, osservando se e come il sangue affluisce dovunque, e indagando anche la circolazione periferica.
Un altro termine per dire questa visione è “multipolarità”.
Francesco lo ha detto chiaramente nel suo discorso al Consiglio d’Europa il 25 novembre 2014: l’Europa non può essere compresa in termini di pochi “centri” polari, perché “le tensioni — tanto quelle che costruiscono quanto quelle che disgregano — si verificano tra molteplici poli culturali, religiosi e politici”.
La multipolarità comporta “la sfida di un’armonia costruttiva, libera da egemonie”. Quindi bisogna pensare l’Europa in maniera poliedrica nelle sue relazioni e tensioni. Quella di Francesco è una geopolitica europea non deterministica, consapevole del fatto che la redistribuzione della potenza fra attori principali non rende ragione delle dinamiche profonde del Continente.
L’Europa: non uno spazio da difendere, ma un processo da implementare
“La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa”, ha esordito Francesco.
Ed ecco nel suo discorso subito affiorare il riferimento all’eccentricità, al superamento dei limiti e dei confini. L’Europa è se stessa perché sa andare oltre se stessa. La sua “casa” si costruisce andando oltre le ceneri dei “tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi”.
Questa visione dunque è profondamente legata al divenire, al superamento dialettico di muri e ostacoli. L’Europa non è una “cosa”, ma un “processo” tuttora in atto all’interno di “un mondo più complesso e fortemente in movimento”. I suoi Padri hanno “architettato” un “illuminato progetto”, che è sempre work in progress. Occorre dunque verificare non se la casa regge, ma se la sua realizzazione segue quel sapiente progetto.
Ecco il parere del Papa: “Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari”.
Perché questo è accaduto? Perché — afferma il Papa, coerente con il suo approccio alla realtà — l’Europa è “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi”.
Se l’Europa considera se stessa come uno “spazio”, allora prima o poi verrà — ed è già venuto — il momento della paura, del timore che lo spazio sia invaso. Lo spazio va innanzitutto difeso. Se invece l’Europa è da considerarsi come un processo in fieri, allora si comprende come esso metta in movimento energie, accettando le sfide della storia. Allora anche difficoltà e contraddizioni “possono diventare promotrici potenti di unità”.

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ZENIT Staff

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