Celebriamo la Solennità del Corpus Domini, e anche noi, come “le folle”, anche noi abbiamo ascoltato e accolto l’annuncio del Vangelo e lo abbiamo “seguito”. E su questo cammino, attraverso la Chiesa, il Signore ci ha annunciato il Vangelo e “si è preso cura di noi guarendoci” da molte malattie”, Per questo ci siamo fidanzati e poi sposati, ci siamo aperti alla vita, abbiamo studiato e lavorato, qualcuno ha accolto la chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata. Insomma, abbiamo cercato di compiere la volontà di Dio. Ma poi, il rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fidanzati e amici ha cominciato a farsi difficile se non impossibile, il ministero ha rivelato le sofferenze che suppone, e siamo arrivati anche noi nel “luogo deserto”.
Fratelli, il nostro matrimonio non è oggi un vero e proprio “eremo”, secondo l’originale greco reso con “luogo deserto”? Nelle diverse circostanze della nostra vita, non stiamo sperimentando la solitudine propria degli “eremiti”? Probabilmente, quando abbiamo accolto la predicazione e abbiamo deciso di vivere nella volontà di Dio seguendo le orme del Signore non abbiamo compreso davvero quello che significava…
Non ci siamo fidanzati nel desiderio di rinchiuderci in un eremo; non ci siamo sposati per restare soli; non siamo diventati preti o suore per non essere ascoltati e compresi. Ed è proprio con questi pensieri che il demonio ha spesso buon gioco con la nostra mente e il nostro cuore. Perché per tutti arriva “la sera”, il momento in cui la carne esige il contraccambio per aver obbedito e seguito il Signore; arriva cioè la fame perché intorno scopriamo di non avere nulla di cui saziarci, e l’uomo vecchio che si era nascosto così bene, esce allo scoperto, come accadde al Popolo di Israele nel deserto, e comincia a mormorare in noi, desiderando il cibo di cui si nutre l’uomo che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici: agli e cipolle, affetto e stima, successo e prestigio, attenzioni e lodi, e poi denaro e cose, piacere e consolazioni. E invece nulla di tutto questo.
Abbiamo seguito il Signore che ci aveva parlato nella sua Chiesa promettendoci una vita nuova e felice, e niente, dopo tanto cammino ci accorgiamo che quello che abbiamo creduto essere comunione e felicità si è rivelato un “eremo” inospitale e senza cibo. Il coniuge si chiude in se stesso proprio quando ne avremmo più bisogno, i figli ci sfuggono spezzando i sogni e le speranze riposte su di loro, il fidanzato si rivela un egoista, gli amici ci volgono le spalle infilati nei propri problemi.
Che fare allora? Beh, il demonio ha la soluzione giusta! Non resta che scappare dall’eremo e “andare nei villaggi e nelle campagne dattorno per alloggiare” più comodamente e “comprare da mangiare”. Ma occorrono soldi, sforzi, compromessi. Occorre tornare al mondo e abbandonarsi ai suoi costumi e ai suoi valori, perché “nei villaggi” nessuno ti regala nulla. Quanti di noi, pur avendo seguito il Signore, anche nel presbiterato e nella vita religiosa, al sopraggiungere della sera buia di delusioni e problemi, all’apparire della Croce, si è lasciato sedurre dal demonio ed è tornato sui propri passi, sino all’Egitto dal quale l’amore di Dio lo aveva liberato, sperimentandovi delusioni più cocenti, perché lucidamente cercate nell’illusione di scamparle.
Fratelli, accettiamo la verità: abbiamo camminato dietro al Signore conservando l’Egitto nel cuore. Non sono bastati anni di seminario e di ministero, di fidanzamento e di matrimonio; non sono bastati i milioni di passi deposti sulle orme nel Signore accompagnati dalla Chiesa. La “sera” ci smaschera, come ha smascherato gli apostoli che da tanto erano accanto a Gesù. Eppure proprio la “sera” nella quale stai vivendo oggi è il “luogo” della tua salvezza. Conseguenza dei tuoi peccati e non di un inganno di Dio come vorrebbe farti credere il demonio, in essa puoi finalmente incontrare la “compassione” di Gesù e rinnegare davvero te stesso, gettando all’anatema l’Egitto che ti sei nascosto in un angolo di cuore.
Gesù, infatti, “ha preso in disparte i suoi discepoli” che “gli stavano raccontando i prodigi contemplati nella missione”. Eppure non bastavano neppure a loro. Perché anche i pastori e i catechisti hanno bisogno di una formazione permanente nel quale sperimentare di nuovo che, appoggiandosi con fede alla Parola di Gesù che li ha chiamati, salvati e inviati, possono “dare loro stessi da mangiare”. Nel senso di dare la loro stessa vita in cibo perché moltiplicata in quella eterna di Cristo, e proprio per questo, non hanno bisogno di ricorsi umani per compiere la missione affidata.
Quel “luogo deserto” è immagine delle conseguenze di solitudine, infecondità e morte di chi pensa e fa ciò che “non gli è lecito”. E’ vero dunque, come ci dice il demonio, che in quel posto non c’è vita; ma non è vero che sia stato Gesù a portarci a morire, anzi. Gesù prende su di sé le conseguenze della superbia con cui l’uomo ha tagliato con Dio illudendosi di poter decidere da solo cosa sia “lecito” e cosa non lo sia. Ma ti rendi conto? Gesù è già lì, al fondo del tuo dolore, della tua solitudine! Gesù si è “ritirato con i suoi discepoli”, nella comunità cristiana, per te e per me nel sepolcro dove è sepolto il tuo matrimonio, la relazione con quel parente o quel fratello.
Gesù è sceso con il suo “Corpo santissimo” nella tua morte prima di te, spinto in essa dai tuoi peccati, dal tuo aver fatto lecito quello che per la tua anima era illecito. Gesù è già al capolinea deserto dei tuoi adulteri, dei tuoi furti, delle tue concupiscenze e avarizie! Gesù è venuto nella nostra solitudine per colmarla del suo perdono; nella nostra sofferenza per averne “compassione”. Per questo, nel nostro eremo, il Signore ci annuncia che “non occorre” andare da nessuna parte a cercare pane e salvezza!
Fratelli, la realtà che stiamo vivendo è l'”eremo”, identico a quello dei monaci del deserto e delle suore di clausura, nel quale il nostro Sposo ci attende per moltiplicare la sua vita in noi. Non c’è altro matrimonio che questo, non esistono figli diversi, perché il suo amore si riversa pienamente nell’eremo e nella sera che stiamo vivendo. Appoggiamoci alla predicazione della Chiesa per non dubitare che, proprio nel deserto dove è impossibile vivere Gesù ha il potere di “moltiplicare” la vita, di farci risorgere con Lui! In qualunque situazione ci troviamo, se è vero che siamo peccatori, la cosa di gran lunga più importante è che Lui è con noi e per noi!
Per questo ci dice oggi: “voi stessi date loro da mangiare”. Sì, “non occorre” altro che “portare” a Lui quello che abbiamo già ricevuto nella Chiesa, la sua Parola (i “cinque pani” segno dei “cinque” rotoli della Torah) fatta “carne e sangue” nel “Corpus Domini” che celebriamo oggi e deposta nelle nostre mani macchiate dai peccati; e i “due pesci”, segno della nostra vita così com’è, la natura umana corruttibile, unita alla natura divina che si dona a noi nei sacramenti che ci amministra la Chiesa.
E’ il grande mistero del Corpus Domini che ci confonde e ci umilia e per questo ci salva: le nostre mani sono quelle che sono, le nostre forze tante volte spese a servizio della menzogna; ma è in esse che, ogni giorno, il Signore depone se stesso, Parola fatta carne, per moltiplicare la vita nella morte di chi ci è accanto. Consegniamoci a Cristo allora, così come siamo, e vedremo la “folla” delle situazioni inestricabili, le relazioni affamate di amore e pienezza, le debolezze di cui sono immagini le “donne” e i “bambini”, obbedire alla Parola creatrice di Gesù e “distendersi” sui prati “d’erba” fresca che segnano l’anticipo del Paradiso.
L’eremo del matrimonio, infatti, non è la prigione dove sentirsi condannati alla schiavitù, ma il pascolo verde dove i coniugi, deboli e affamati, non cercano l’uno nell’altro quello che non si possono dare, ma dove insieme si consegnano a Cristo perché sazi d’amore i loro cuori. Solo dopo aver “mangiato” di Cristo, e “saziati” del suo amore, potranno consegnarsi mutuamente senza esigersi nulla, perché in loro “avanzerà” vita, amore e misericordia. Non cercheranno nell’altro l’alimento con cui saziarsi, ma, al contrario, divenuti apostoli di Cristo saziati dal suo Corpo, e per questo divenuti in Lui “Corpus Domini”, comunità viva del suo Corpo vivo che cammina sulle strade della storia, come le “dodici ceste” che ne sono immagine, nella sovrabbondanza dell’amore di Dio, si lasceranno “portare via” tempo e idee, criteri e progetti, perché ormai in essi la vita ricevuta non si esaurisce più. Così in ogni altra relazione, in ciascun evento della vita, quando “si fa sera”, sapremo che è giunto il momento di abbandonarsi alla “benedizione” di Gesù, che trasforma in “bene” ogni nostro male; Lui saprà “alzare con gli occhi” anche la nostra carne, il nostro copro e il nostro sangue “verso il Cielo”, “spezzandoci” come il suo Corpo consegnato alla Chiesa e da questa ad ogni uomo, cominciando dai più vicini e intimi.
Chiesa della Moltiplicazione, Tabgha / Wikimedia Commons - Berthold Werner, Public Domain
Consegniamoci a Cristo, così come siamo
Commento al Vangelo della Domenica del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) — 29 maggio 2016