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Pentecoste: Dono del Consolatore

Lectio divina sulle letture per la domenica di Pentecoste – Anno C – 15 maggio 2016

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Rito Romano – Anno C – 15 maggio 2016
At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26
Rito Ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
1) Apertura e dono di sé per ricevere il Dono.
Come lettura del Vangelo di oggi, Solennità di Pentecoste, la Liturgia propone versetti 15-16.23-26 del cap. 14 di San Giovanni, presi dai discorsi di addio da parte di Gesù nel Vangelo di San Giovanni, che vanno da 13, 31 a tutto il capitolo 17.
Il tema dominante di questi grandiosi discorsi è l’esodo di Cristo, cioè l’“andare” di Gesù: “Ancora per poco sono con voi, dove vado io, non potete venire”(Gv 13, 33); “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo evado al Padre” (Id. 16, 28); “Ma ora io vengo a te, o Padre” (Id. 17, 13). L’esodo,l’andare di Gesù verso il Padre porta con sé anche il significato del nostro andare, del nostro esodo, che è il nostro percorso esistenziale e di fede in questo mondo. Seguendo e ascoltando Cristo in questo cammino, noi impariamo a vivere con Lui, per Lui, in Lui e come Lui.
In questo contesto sono inseriti i quattro versetti, che sono oggi riproposti nella lettura del Vangelo. In essi Gesù parla dello Spirito consolatore. Per confortare i discepoli di allora e di oggi che sono in questo cammino di luce attraverso la Croce, Cristo promette lo Spirito Santo che è il “Consolatore” o, se si usa il termine greco, il “Paraclito”, che vuol dire “l’avvocato difensore”, perché difende da satana che è l’accusatore. Se traduciamo alla lettera “Paraclito” dovremmo scrivere “chiamatopresso”, cioè chiamato per stare accanto a ciascun discepolo, perché custodisca fedelmente la memoria del Maestro e perché abbia una comprensione profonda della Sua parola e il coraggio tenace di esserne il testimone.
Sempre nei quattro versetti del Vangelo di oggi, Gesù ci dice quali sono le condizioni per accogliere lo Spirito: l’amore a Lui, l’ascolto della sua parola e l’osservanza dei comandamenti. Se mancano queste tre condizioni non c’è alcuna apertura allo Spirito ed alla sua azione in noi.
Queste tre condizioni possono essere riassunte in una sola: il completo dono di sé. M. Teresa di Calcutta direbbe: abbandono totale. Sull’esempio di questa Santa e, soprattutto, di Maria Vergine che divenne Madre abbandonandosi all’azione delle Spirito quando disse: “Ecco la serva del Signore”, diciamo: “Accada di me secondo la tua parola”. Come la Madonna doniamoci completamente a Dio. Donarsi a Lui è donarsi all’Amore che rende feconda e lieta la nostra vita.
2) La logica del dono.
Al dono di noi stessi a Lui, il Padre risponde donandoci il Consolatore.
Questo dono è preceduto dall’atto di amore del Padre, che sa che noi abbiamo bisogno di consolazione: Lui “il Signore, ci scruti e ci conosce, sa quando ci sediamo e quando ci alziamo. Penetra da lontano i miei pensieri, ci scruta quando camminiamo e quando riposiamo. Gli sono note tutte le nostre vie” (cfr. Sal 139, 1-4). Lui ha visto la nostra miseria in terra straniere e ha udito il mio grido, Lui conosce infatti le mie sofferenze e vede le oppressioni che mi tormentano (cfr. Es 3, 7-9); nulla sfugge al suo amore infinito per me. Per tutto questo, Egli ci dona il Consolatore. Il Padre è il Donatore: tutto ci viene da Lui e da nessun altro.
Se poi, prendiamo spunto dalla seconda lettura della Messa, che ci offre un brano della lettera di Paolo ai Romani (8, 8-17), impariamo che il dono di Dio è lo Spirito di libertà, perché ci libera dalla schiavitù della carne, cioè dall’egoismo. Lo Spirito trasforma i desideri dell’uomo: non più i desideri dell’egoismo, ma della carità, di dono commosso di sé stessi. Quando restiamo chiusi nel nostro egoismo (la carne) percepiamo la legge dell’amore (la legge di Dio) come un peso e una schiavitù. Lo Spirito rende santo il “desiderio” dell’essere umano, allora la legge della carità diventa ciò che desidera, a cui tende: la vita, la verità e l’amore. Lo Spirito ci libera trasformandoci dal di dentro, al punto tale che rinnova anche il rapporto con Dio: non più schiavi, ma figli. E anche questo è grande libertà. Il fatto che San Paolo parli di figli “adottivi”, non è per sminuire la nostra figliolanza, riducendola a qualcosa di esterno e giuridico, ma per ricordarne la gratuità. Dio è “un abisso di paternità” (Origene), che si esprime in un intenso, infinito amore pieno di sollecitudine e delicatezza, di tenerezza e misericordia. E quando il figlio si ribella a questa paternità, cercando di negarla, di sopprimerla allontanandosi dalla casa paterna e sprecando le ricchezze ricevute come anticipo di eredità, la reazione del Padre celeste non solamente non sono di rabbia, ma testimoniano un cuore che si commuove. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a quelli che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv6,32.51.58). La paternità di Dio è amore infinito.
3) Il Dono dello Spirito Consolatore.
Con l’Ascensione Cristo ci ha lasciato né soli né orfani. Con la Pentecoste, oggi celebriamo il fatto che Lui mantiene la promessa di mandarci il suo Spirito, che ci permette di amare come Lui. Se prima era con noi e presso di noi, d’ora in poi sarà in noi. Chi è amato è dimora di Chi lo ama: Lo porta nel cuore, come sua vita. Noi da sempre siamo in Dio, che ci ama di amore eterno e paterno. Se lo amiamo, Lui abita in noi come noi siamo in Lui. Infatti Gesù dice: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha inviato. Di queste cose vi ho parlato dimorando presso di voi, ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, Egli vi insegnerà tutte le cose e vi farà ricordare tutte le cose che vi ho detto” (Gv14, 23 – 26).
E’ bella e giusta la traduzione della parola di origine greca “Paraclito” con “Consolatore” (dal latino cum-solo =con il solo), perché indica lo Spirito come Colui che “sarà con noi per sempre” (cfr. Gv 14, 16). Cioè lo Spirito Santo è consolatore perché non ci lascia mai soli. Chi ama ed è amato non è mai solo, è con l’altro che lo ama.
Dopo aver detto che questo Consolatore è con noi sempre e per sempre, ce ne dice il nome: Spirito della Verità. Spirito della Verità vuol dire lo Spirito vero, la Vita vera. Che cos’è la vita vera? E’ la vita di Dio. Che cos’è la Vita di Dio? E’ l’Amore tra Padre e Figlio.
Questo Consolatore che è dato a noi è la vita vera di Dio. E la vita di Dio è l’Amore tra Padre e Figlio che è sempre con noi.
A questo riguardo, Papa Francesco sintetizza in modo profondo ed esistenziale così: “Lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10)”.
In consonanza con questo insegnamento propongo la preghiera di M. Teresa di Calcutta: “Signore, tu sei la vita che voglio vivere, la luce che voglio riflettere, il cammino che conduce al Padre, l’amore che voglio amare, la gioia che voglio condividere, la gioia che voglio seminare attorno a me. Gesù, tu sei tutto per me, senza Te non posso nulla. Tu sei il Pane di vita che la Chiesa mi dà. E’ per te, in te, con te che posso vivere”.
4) Dono dello Spirito e le vergini consacrate nel mondo.
E’ dono dello Spirito Santo la donazione verginale delle vergini consacrate che nella potenza dell’amore hanno saputo custodire il loro cuore indiviso per Cristo. E’ vero che dalla Pentecoste in poi, la forma di vita di Cristo continuò a essere presente nel forma di vita degli Apostoli come il libro degli Atti ci mostra. Questa forma di vita non scomparve nemmeno con la morte dell’ultimo degli apostoli: “Lungo i secoli non sono mai mancate persone che, docili alla chiamata del Padre e alla mozione dello Spirito, hanno scelto questa via di speciale sequela di Cristo, per dedicarsi a lui con cuore indiviso”(cf. 1 Cor 7,34). Anche loro hanno lasciato ogni cosa, come gli apostoli, per stare con lui e mettersi, come lui, al servizio di Dio e dei fratelli» (Vita Consecrata (VC) 1; cf. 14; 22).
Le donne consacrate, infatti, sono chiamate a vivere come vergini che, sull’esempio di Maria, Vergine e Madre, portano Cristo per le strade del mondo: diventano cristiformi (VC 19), cioè diventano l’icona santa e pura. E ciò è possibile solo inforza di un peculiare dono dello Spirito (Ibid. 14). Per questo la persona chiamata alla vita consacrata “deve aprire lo spazio della propria vita all’azione dello Spirito Santo” (VC 65). Grazie alla potenza dello Spirito della Pentecoste, la persona consacrata diventa profondamente missionaria, annunciando il vangelo con una vitache – grazie alla potenza dello Spirito Santo – progressivamente è configurata aCristo (cfr. VC 19). Sono missionarie dell’amore perché la consacrazione le rende capaci di amare col cuore di Cristo (cfr. VC 75) e a mettersi, come lui, a servizio degli uomini. Come è affermato nelle Premesse al Rito di Consacrazione delle Vergine: “Le vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più ardentemente il Cristo eservire con più libera dedizione i fratelli” (n. 2). Con la loro verginità consacrata sono testimoni della “concretezza” del mondo invisibile, spirituale, e ci richiamano tutti alla realtà del Regno dei cieli.
* Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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