Rome Great Mosque - Commons Wikimedia

Islam e terrorismo: differenze e prospettive

Una conferenza organizzata nella Grande Moschea di Roma dal Centro islamico culturale d’Italia per fare il punto sulla difficile situazione attuale

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In nome del dialogo e della fratellanza interreligiosa, ribadire ancora una volta la distinzione fra Islam e terrorismo e riaffermare il principio che non tutti i musulmani sono terroristi. Questo l’obbiettivo della conferenza Religione e terrorismo: varie prospettive, organizzata dal Centro islamico culturale d’Italia presso la Grande Moschea di Roma. All’evento hanno partecipato Rayed Khaled A.Krimly, ambasciatore dell’Arabia Saudita e presidente del Centro islamico culturale d’Italia, Oliver Roy, politologo e orientalista francese, professore presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, Franco Cardini, professore emerito di storia medievale presso la Scuola Normale di Pisa, e Andrea Margelletti, politologo presidente del Centro studi internazionali di Roma. Moderatore dell’incontro Paolo Di Giannantonio, giornalista del Tg1.
“Non basta considerare i terroristi come dei pazzi – ha affermato Di Giannantonio introducendo il dibattito – ma  bisogna analizzare le ragioni delle loro azioni. Il fenomeno del terrorismo si alimenta da una serie di ambiguità politiche, economiche, sociali e internazionali. Quindi nessuno può tirarsi indietro dal problema senza esaminarlo fino in fondo. Se c’è infatti chi nella religione trova uno strumento di legittimazione di azioni violente, questo la religione deve analizzarlo per trovare gli anticorpi adatti”.
È stato poi letto un messaggio del cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, dove sono state ricordate le parole di Papa Giovanni Paolo II, secondo cui “è ingiusto imputare il terrorismo islamico a tutti i musulmani” così come affermare che “tutti i musulmani sono violenti e terroristi”. Giusto invece ricordare come “la grande maggioranza degli islamici siano persone per bene che vogliono vivere una vita onesta e pacifica”. Il cardinale ha poi sottolineato che “la vita di ogni essere umano è sacra e tutti hanno gli stessi diritti” e che “nessuno è migliore di un altro in base alle proprie scelte religiose, culturali e politiche”. “Mi auguro – ha concluso Tauran – che questa conferenza sia un nuovo passo verso la concordia e la fraternità fra le nostre religioni”.
Il primo intervento è stato di Rayed Krimly che ha definito il terrorismo “un prodotto di moderne ideologie politiche e gruppi che mirano al potere” e non “degli insegnamenti o dei testi dell’Islam o di alcun’altra religione”. “I terroristi – ha aggiunto l’ambasciatore – considerano gli altri musulmani come infedeli solo perché la maggior parte dei musulmani non condivide la loro ideologia politica estremista. La stragrande maggioranza delle loro vittime è composta da musulmani come loro. Il modello a cui si ispirano non è quello del Profeta o dell’imam, ma un totalitarismo monopartitico o una dittatura militare. Per loro la religione è uno strumento per conseguire il potere e il potere è il loro vero dio. La maggior parte dei membri e dei leader dei gruppi terroristici non ha ricevuto alcuna istruzione islamica e molti non sono neanche praticanti”.
Secondo il presidente del Centro islamico culturale d’Italia, il concetto di terrorismo non è presente in nessuna delle storiche e tradizionali dottrine islamiche sunnite o sciite, ma è qualcosa che si è affermato nel Novecento all’interno di “milizie settarie” in Afghanistan, Iraq, Siria, Libano e Yemen. Una conseguenza “dei fallimenti socio-economici di dittature militari o monopartitiche” e di cinque conflitti che hanno insanguinato il mondo islamico: l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979, la guerra fra Iran e Iraq (1980-1988), le guerre degli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq, e la guerra civile in Siria ancora in corso.
“Per sconfiggere il terrorismo – ha concluso Krimly – è necessario che i leader religiosi, politici e civili conquistino i cuori e le menti delle persone”. In quanto “principali vittime del terrorismo” i musulmani devono farsi parte attiva e “non aspettare che gli altri facciano la cosa giusta”. Non devono sentirsi “le sole e uniche vittime della storia mondiale”, ma “scendere a patti con la modernità”. In particolare i musulmani che vivono in Occidente, Italia inclusa, “non devono portare i conflitti, in atto altrove, nel paese in cui risiedono”, bensì “diventare i pionieri che possano raccordare Islam e modernità”.
È poi intervenuto il professor Roy che ha ricordato come il terrorismo non sia certo un fenomeno nuovo in Europa. Basti pensare agli attentati degli anarchici tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. E nemmeno il terrorismo islamico è qualcosa di inedito. “Abbiamo avuto – ha spiegato il politologo francese – diversi episodi negli anni Settanta e Ottanta, ma erano collegati a specifici conflitti in Medio Oriente”. E non è certo la prima volta che l’Occidente contemporaneo si confronta con l’idea islamica di jihad, ma in passato non era così strettamente collegata al terrorismo. “In Afghanistan durante l’invasione sovietica – ha sottolineato Roy – molti combattenti inneggiavano al jihad, ma volevano l’indipendenza del proprio paese e non erano terroristi”.
Gli attentatori recenti, collegati all’Isis, sono invece immigrati di seconda generazione, nati in Occidente e cittadini occidentali. “Alcuni non sono mai stati particolarmente praticanti, altri invece sono nuovi convertiti e la loro fede è radicale. Sono gruppi di persone che respingono per diversi motivi la nostra civiltà. Possono essere ragioni economiche o anche psicologiche. Sono spesso nichilisti e senza troppi ideali e combattono per odio e non per un mondo migliore”. Soggetti purtroppo vulnerabili alla propaganda dell’Isis, molto abile a “fornir loro una narrazione convincente, ma senza veri ideali dietro, usando i moderni strumenti tecnologici di comunicazione”. “Daesh – ha concluso Roy – ha collegato obbiettivi politici ed economici locali all’idea del jihad globale, con un’estetica della violenza che non troviamo nella storia religiosa e culturale islamica”.
Ha poi preso parola il professor Cardini che, prima di tutto, ha ricordato come la professione di fede in Dio non sia poi così diversa fra le tre grandi religioni monoteiste. Le ha poi distinte in “religione della legge”, riferendosi all’Ebraismo, “religione di un uomo”, pensando al Cristianesimo, e “religione del libro in quanto parola di Dio”, riferendosi all’Islam. Passando all’argomento Isis, lo storico ha affermato come, a suo giudizio, la fede c’entri poco e si tratti molto più di giochi di potere. “Non a caso – ha sottolineato Cardini – il termine islamista non indica più un esperto di religione o cultura islamica, ormai definito islamologo, né tantomeno è sinonimo di musulmano, ma definisce chi utilizza la fede islamica per scopi politici e di potere”.
Il professore ha poi evidenziato “la tradizione abramitica e quella romano-ellenistica” come “radici comuni a tutte e tre le grandi religioni monoteiste”. “Pensiamo – ha spiegato Cardini – a un evento molto importante, ma assai sottovalutato nei libri di storia: nel 529 l’imperatore Giustiniano, in nome della cristianizzazione totale dell’Impero, chiude la scuola filosofica di Atene. Ai filosofi neoplatonici pagani viene concessa la via dell’esilio ed essi scelgono Ctesifonte, la capitale dell’Impero Persiano dei Sasanidi, rivale storico dell’Impero Romano prima e di quello bizantino poi. Quella cultura ellenistica è stata assorbita dalla Persia e successivamente dai conquistatori arabi. Grandi sapienti musulmani come Avicenna e Averroè sono figli di quello scambio culturale. La moderna civiltà occidentale non sarebbe tale senza la filosofia, la scienza e la matematica portata dagli Arabi in Europa. Tutte cose che questi ultimi non avrebbero avuto senza l’influenza della cultura romano-ellenistica. Oggi ci sembra tutto così lontano, ma è quello che insegna la storia. E se il terrorismo sarà sconfitto, sarà la vittoria degli uomini di buona volontà”.
Anche Andrea Margelletti, il cui intervento ha  chiuso la conferenza,  si è detto d’accordo sull’idea che il terrorismo c’entri poco con la religione, ma sia invece molto più legato a questioni di potere politico ed economico. “Uno dei maggiori problemi del mondo islamico – ha aggiunto il professore – è un diffuso complesso di inferiorità nei confronti dell’Occidente. Spesso si dimenticano della loro storia e si sentono vilipesi e mortificati, rimpiangendo il passato”.
Margelletti inoltre imputa una parte delle colpe per l’attuale situazione in Siria e Iraq “alla mancanza di una politica univoca dell’Unione Europea verso il Medio Oriente”. “L’Europa – ha affermato il professore – non può sempre pensare di ricorrere agli Stati Uniti come polizia mondiale. Ha invece bisogno di una politica estera comune, fondata su nessuna religione, ma sui diritti umani e civili. Una politica che non può essere quella della scorciatoia dell’appoggio a governi laici corrotti e irrispettosi delle libertà fondamentali”. Il presidente del Centro studi internazionali ha infine concluso, definendo l’Isis “un vero e proprio Stato con un sistema di welfare, un soggetto che non si può combattere solo con le bombe”. “L’uso ragionato della forza – ha precisato – è uno strumento valido, ma non certo per sostituire le mancanze della politica”.

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Alessandro de Vecchi

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