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Vatileaks 2. "Quei documenti andavano pubblicati. Non minano sicurezza vaticana". Parola di Paolo Mieli

L’ex direttore del Corriere della Sera “assolve” i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi durante la dodicesima udienza di oggi del processo. Interrogati anche i due librai Bernardi e Brazzale. Possibile sentenza a fine mese

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Una udienza flash (rispetto a quelle a cui ci avevano abituato ultimamente) la dodicesima del processo Vatileaks 2 per fuga di documenti riservati. In un’ora e venti sono stati tre i testimoni interrogati stamane dal Tribunale vaticano: l’ex direttore del Corriere della Sera e presidente di Rcs libri Paolo Mieli e i due librai veneti Marco Bernardi e Paola Brazzale.

Mancavano all’appello il giornalista di Report Paolo Mondani e Mario Benotti, ex funzionario di Palazzo Chigi, che ha inviato un fax scusandosi per l’assenza e spiegando di aver appreso della convocazione del Tribunale soltanto al rientro dall’estero assumendo già altri impegni. 

Tutti e cinque i testimoni erano stati richiesti dalla difesa di Gianluigi Nuzzi, il giornalista Mediaset autore di Via Crucis, alla sbarra insieme al collega Emiliano Fittipaldi, autore di Avarizia, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio e mons. Lucio Vallejo Balda.   

Gli imputati erano invece tutti presenti in aula: chi arrivato in anticipo come Maio meno agitato del solito; chi a pochi secondi dall’inizio dell’udienza, come la Chaoqui ormai prossima al parto; chi in netto ritardo, come Fittipaldi giunto mezz’ora dopo.

Gran parte dell’udienza è stata occupata dall’interrogatorio a Mieli che ha risposto alle domande dell’avvocato Palombi (le stesse per tutti e tre i testimoni), in particolare a quella spinosa su quale limite un giornalista debba avere circa il diritto di cronaca davanti a documenti riservati.

Mieli non ha dubbi: “Nessun limite”, ha detto, “se quello che il giornalista acquisisce è documentato e mostrato all’occorrenza al direttore e all’editore”. L’unico limite è che tale documentazione “possa mettere a repentaglio la pace o la sicurezza”; ma non è il caso di Via Crucis o di Avarizia, secondo l’ex direttore del Corsera.   

Che ha fornito ai giudici una doppia ragione per cui un giornalista è tenuto a pubblicare documenti di cui è venuto a conoscenza. La prima è una norma deontologica presa in prestito dal giornalismo anglosassone; la seconda, “la possibilità di ricatto” che può nascere dal possesso di documenti riservati non pubblicati.

Ricatto da parte del giornalista, certo, ma anche di chi ne è venuto a contatto esistendo una “catena di comando” che comprende 5-6 persone che valutano i documenti prima di deciderne l’eventuale pubblicazione. Se ad esempio c’è un uomo politico in stato d’accusa, ha spiegato Mieli, chi è a conoscenza di materiale riservato sul suo conto potrebbe fargli pressioni o ricatti. Casi del genere si sono già verificati, perciò “è più saggio e onesto pubblicare”.

Ma questo principio – ha domandato il giudice a latere, Venerando Marano – vale anche per i documenti segreti di cui è esplicitamente vietata la pubblicazione? “Sono tanti i documenti di cui è vietata per legge la pubblicazione”, ha ribattuto il giornalista, tuttavia “c’è una convenzione non scritta tra i direttori e gli editori dei giornali proprio per evitare che uno faccia uso improprio di questi documenti”. Ciò “comporta un rischio, ma il nostro impegno è sfidare questo rischio e il divieto”.

In altre parole, meglio pubblicare sempre e comunque. A maggior ragione se si tratta di documenti come quelli contenuti in Via Crucis di rilevanza pubblica, ha affermato Mieli. “Li ho riletti in questa chiave dopo l’annuncio del processo senza trovarvi estremi di non pubblicabilità”; anzi “mi sono domandato più volte se io personalmente li avrei pubblicati. La risposta è assolutamente sì… Creano un po’ di trambusto ma non mettono in pericolo la sicurezza dello Stato della Città del Vaticano”.

Tra l’altro – ha evidenziato Mieli – parte del materiale contenuto nel libro di Nuzzi e quasi tutto quello contenuto nel volume di Fittipaldi era già emerso in precedenti articoli, a partire dal 2014. Quindi il lavoro dei due giornalisti imputati non rivela nulla di nuovo ma “offre un quadro di riferimento esaustivo, pienamente legittimo. Se invece di 5 righe ce ne sono 20 è meglio, danno maggiore spessore”.

Un’assoluzione a tutto tondo, dunque, da parte del noto giornalista per i due colleghi: Nuzzi che “conosco da 20 anni, da quando collaborava da giovane con il Corriere della Sera, dove non è stato assunto perché ci è stato ‘rubato’ da un altro giornale”, e Fittipaldi “che reputo un cronista serio, perbene e competente”.

Tra i due – ha sottolineato Mieli, interpellato dall’avvocato Musso (legale di Fittipaldi) – non c’era alcun rapporto. Questo gli fu confermato dallo stesso autore di Avarizia , ben prima dell’annuncio del processo, durante una trasmissione tv e ne aveva avuto prova già mesi prima a Ponza, in occasione di un evento culturale, quando Nuzzi gli chiese informazioni su un libro di prossima uscita che trattava sempre di finanze vaticane.

“Mi diede l’impressione di non sapere nulla. Mi chiese consiglio se anticipare i tempi d’uscita del libro. Gli dissi di no, perché aveva una sua autonomia e il suo lavoro si andava a inserire nell’ambito di una serie di pubblicazioni”. Pubblicazioni di cui “spesso mi informo come editore” anche se di case editrici concorrenti, trattandosi di “pubblicazioni di successo”. 

Anche i due librai Bernardi e Brazzale – conoscenti di Nuzzi per aver ospitato la presentazione del suo primo nel loro negozio, uno a Bassano del Grappa, l’altro ad Asiago – hanno avvalorato la versione di Mieli. Nuzzi aveva telefonato a entrambi nell’estate 2015 per avere notizie del libro del giornalista de L’Espresso e loro, consultando i folder inviati dalle diverse case editrici, gli avevano confermato l’imminente uscita di un volume di nome Avarizia. Niente più.

Da parte sua, Nuzzi era soddisfatto di questa dodicesima udienza. All’uscita dal processo, al pool di giornalisti presenti ha dichiarato: “Era importante che i librai venissero per testimoniare che né io né Fittipaldi conoscevamo il lavoro l’uno dell’altro. È inutile che l’accusa parli di un disegno comune o di un’azione in concorso che si fa solo se due si conoscono, altrimenti inseriamo il reato di telepatia”. Su Mieli il giornalista si è detto “contento” del fatto che “abbia ribadito il diritto di cronaca che vige in ogni paese europeo”. 

Le prossime udienze sono fissate per il 14 maggio, alle 9.30; il 16 maggio alle 15.30; il 17 maggio alle 10.30. Auspicio della Corte e del presidente Giuseppe Dalla Torre è di esaurire gli interrogatori dei testimoni, altrimenti si poterebbe procedere ad altre udienze nei giorni 21-23-24 maggio. La volontà è quella di concludere prima possibile il processo tenendo anche conto del fatto che uno dei cinque imputati, monsignor Vallejo Balda, si trova tuttora in stato di detenzione. Una sentenza a fine mese, pertanto, non sembra più un traguardo così lontano.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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