Pace in Europa e nel mondo, crisi in Medio Oriente, famiglia, giovani, dialogo interreligioso e, naturalmente, il complesso e delicato fenomeno migratorio. Sono i temi passati in rassegna da mesi dal Ccce, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, poi concretizzati in progetti realizzati in diversi paesi. Un’attività costante che la presidenza dell’organismo – il card. Péter Erdő, presidente, e i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari – hanno presentato ieri al Papa e ad alcuni capi Dicastero di Curia durante loro visita a Roma, che culminerà domani con un incontro su Laudato Sì e Cop21.
I vertici Ccee hanno dato poi appuntamento alla stampa oggi, nella sede della Radio Vaticana, per raccontare il loro lavoro ma soprattutto “le gioie e le speranze della Chiesa in Europa”, alla luce anche delle mutate “circostanze generali”.
In particolare il cardinale Erdő, arcivescovo di Budapest, ha chiesto di guardare alle diverse nazioni europee come una “ricchezza che va riconciliata”, dal momento che dopo oltre 20 anni dalla fondazione dell’UE ci sono profondi divari tra gli Stati membri. Per il presidente del Ccee è infatti difficile parlare di una “integrazione” uniforme; basti pensare, ad esempio, che i salari medi dell’Ungheria corrispondono al 20% degli stipendi in Germania. Per non parlare delle altre nazioni ex comuniste.
Anche la questione dei profughi, ha puntualizzato Erdő, va affrontata “a livello continentale tenendo presente che diverse parti dell’Europa si trovano in posizioni diverse. Ci vuole pazienza e acutezza per analizzare la situazione di ogni regione e trovare risposte cristiane concrete”. E questo vale anche per la questione delle cosiddette ‘barriere’. A detta del cardinale, “muri finora non sono stati costruiti, ci sono recinti e fili spinati sui diversi confini, ma sempre con la possibilità di un passaggio legale. L’anno scorso, ad esempio, hanno attraversato l’Ungheria 430mila persone e più di 100mila ha rifiutato di dare le proprie generalità”.
Inoltre si deve distinguere “tra paesi di confine, di passaggio e di destinazione”. “In un paese di passaggio – ha precisato il porporato – non si può parlare di integrazione e accoglienza. È una limitazione della libertà”. Poi c’è un “fatto profondo” ed è questa mancata integrazione dei paesi dell’est dentro la UE: “Polonia e Repubblica Ceca – ha spiegato l’arcivescovo di Budapest – hanno offerto casa e lavoro e in poche settimane molti hanno lasciato il paese perché in un altro ricevono un sussidio sociale pari al doppio”.
“Il contesto, dunque, non è chiaro”; per questo, secondo Erdő, non si può giudicare facilmente l’atteggiamento di alcuni gruppi”, tantomeno si può fornire “una ricetta” obbligatoria che non tenga conto delle situazioni “concrete e diversificate” di ogni paese.
Proprio in esse – ha detto Bagnasco – le Chiese in Europa cercano di agire con il maggior impegno possibile, in modo da affrontare dal vivo “questa emergenza che riguarda l’umanità intera”. “Il mondo del sud, della povertà, si è messo in movimento verso il nord che appare più ricco e sicuro”, ha osservato l’arcivescovo di Genova, “e questo movimento è irreversibile. Non ci si può illudere che si fermerà”.
La Ccee auspica dunque in “una presa di consapevolezza attiva e concreta dell’Onu”, anche se “la strada è ancora molto lunga in termini di assunzione di responsabilità”. Per ora si cerca di procedere per gradi distinguendo “tra prima fase dell’emergenza e dell’accoglienza, dove c’è bisogno di un tetto, pane vestiti e sicurezza, e la seconda fase dell’integrazione”. “Non si può vivere in fase permanente di accoglienza perché quello diventa assistenzialismo e non è dignitoso, non fa bene a nessuno”, ha chiosato il cardinale.
In tal senso, l’Italia ha dato finora un esempio grazie all’impegno della Chiesa che “ha cercato di fare del proprio meglio”. Basti pensare ai 12milioni di pasti forniti da mense che afferiscono a parrocchie e istituzioni religiose durante il 2015. A migranti come a italiani vittime della crisi. L’Italia “è la porta”, ha detto il presidente Cei, “e l’Europa ha fatto fatica e la fa tuttora a comprendere e accettare questa situazione logistica”.
Come fa fatica pure a ricordare le sue radici cristiane. Per questo il Papa – ha ripreso Erdő – nel colloquio di ieri “ci ha incoraggiati ed ha parlato anche delle sue preoccupazioni riguardo all’Europa, che deve ritrovare le sue radici cristiane. La nostra missione è quella di non far dimenticare queste verità, perché il cristianesimo è una forza vitale, il denominatore comune delle culture dei singoli popoli”.
“L’Europa è la prima a non volersi bene, la prima che manca del senso di appartenenza a se stessa, alla propria cultura, alle proprie tradizioni e radici”, ha proseguito Bagnasco. Per questo serve una “formazione puntuale delle coscienze”, individuali e collettive, non per “azzerare le differenze dei popoli” ma per far sì che essi non avvertano più “una Europa pesante e intrigante” bensì un’Europa “leggera e propositiva”. Il cammino è “lento e difficoltoso”, tuttavia è necessario un “cambio di marcia”, cioè “aiutare l’uomo europeo a non pensarsi più chiuso in se stesso”, immerso in una “prigione di individualismo esasperato che certi poteri promuovono perché hanno personali e faziosi interessi”.
Ci sono infatti “poteri fortissimi di ordine economico e ideologico”, ha affermato il cardinale, “che hanno la forza di determinare il corso del fiume della storia, in grado di condizionare scelte, culture, legislazioni, Stati e anche il modo di pensare della gente, attraverso mezzi che richiedono sicuramente grandi risorse”. “Non conosco i nomi e gli indirizzi” ha aggiunto il porporato, ma conosco l’esito finale: una “destrutturazione” della persona e delle società, che provoca “smarrimento e fragilità”. Il fine? “Poter manipolare meglio la persona, indebolire le società, il senso di appartenenza in tutte le sue forme, in nome di un’autonomia assoluta”.
L’Europa, invece, “ha bisogno di riscoprire la bellezza dei limiti umani, le imperfezioni della storia; se non ci riconciliamo con essi siamo condannati a vivere un’utopia che ci porta fuori dalla realtà e che ci rende acidi e nemici gli uni dagli altri”, ha affermato Bagnasco.
In tal senso, va analizzato anche il referendum in Gran Bretagna per un’eventuale uscita del paese dall’UE. Il cosiddetto Brexit: una “seria provocazione” secondo il cardinale. “Qualunque sia il risultato – ha osservato – c’è un disagio oggettivo e soggettivo che deve far riflettere seriamente gli organismi europei proprio perché l’Europa non sia sentita come realtà pesante e oppressiva, ma materna e paterna dove c’è rispetto della storia e del volto di ognuno”.
Più localizzato l’intervento di mons. Massafra che ha esortato i presenti a “gioire” con la Chiesa e la popolazione albanese della Beatificazione dei 38 martiri del regime comunista, il cui decreto è stato firmato dal Papa nei giorni scorsi. Un grande evento che verrà celebrato dopo la canonizzazione di Madre Teresa, figlia della terra d’Albania e “madre dell’umanità”.
A tali illustri modelli la Chiesa albanese guarda per la formazione di un “clero autoctono preparato” che viene sostenuto con grande difficoltà, vista la povertà che caratterizza le varie regioni. È questa, ha detto Massafra, una delle maggiori sfide della Chiesa albanese, come pure la situazione dei giovani che fuggono all’estero in cerca di lavoro o che rimangono nel paese ma cadono nel racket della droga, illusi dai facili guadagni. “C’è stato un passaggio dal comunismo al consumismo” ha denunciato l’arcivescovo, che ha lanciato un appello ai giovani a “innamorarsi del proprio paese” e ai politici a “prendere sul serio la vita delle persone”.