L’Albania è un piccolo ma grande paese. Piccolo perché conta meno di tre milioni di persone su una superficie di appena 28.748 km² (un decimo dell’Italia), grande perché la storia dei suoi poeti e dei suoi martiri è di valore mondiale. Un paese che ha duramente sofferto una dittatura atea, che ha mietuto tantissime vittime. Ma è proprio dal luogo da cui si è cercato di estirpare ogni religione che è rinata una fratellanza che può essere di esempio per il mondo.
Non è un caso che Papa Francesco, visitandola il 21 settembre 2014, l’abbia indicata come centro della collaborazione tra cristiani, ortodossi, cattolici, musulmani e bektasci. Il Pontefice proprio recentemente ha riconosciuto il martirio di 38 vittime del comunismo albanesi che diventeranno presto Beati.
Per conoscere meglio la storia e l’anima dell’Albania e del suo popolo, ZENIT ha intervistato Visar Zhiti, capo missione dell’Ambasciata dell’Albania presso la Santa Sede e l’Ordine di Malta.
Zhiti non è solo un diplomatico di alto profilo, è anche un poeta e scrittore di valore internazionale. Figlio dell’attore teatrale e poeta Hekuran Zhiti, nel 1973 proprio quando si apprestava a pubblicare la raccolta di versi Rapsodia e jetës së trëndafilave (Rapsodia della vita delle rose), fu denunciato perché le sue poesie vennero considerate colpevoli di gravi errori ideologici e foriere di agitazione e propaganda anti-comunista.
È facile constatare come Visar non aveva nessun pregiudizio ideologico e scriveva poesie giusto per assecondare il desiderio di innalzare l’animo umano. Nonostante ciò, a causa di questa denuncia, fu arrestato l’8 novembre 1979 a Kukës dove ancora insegnava, e trascorse i mesi seguenti isolato al confine. Per non impazzire, compose e memorizzò quasi cento poesie.
Nell’aprile del 1980, nel corso di un processo molto severo, fu condannato a dieci anni di prigione. Fu trasferito nelle montagne del nord del paese a lavorare nelle miniere di rame di Spaç e nella prigione sul ghiacciaio di Qafë-Bari. Due inferni, dove i detenuti si salutavano quotidianamente con la sola speranza di sopravvivere. Molti dei suoi compagni prigionieri morirono di maltrattamenti e malnutrizione, oppure persero la ragione.
Visar Zhiti fu rilasciato il 28 gennaio 1987 e fu costretto a lavorare in una fabbrica di mattoni come operaio, un lavoro molto pesante nella sua Lushnja, dove abitavano i genitori. Nel frattempo fu uno dei primi a schierarsi con il movimento democratico, iniziando anche a scrivere come giornalista nel primo giornale di opposizione.
Nell’autunno del 1991, le elezioni in Albania furono vinte di democratici. Visar Zhiti fu quindi inviato in Italia per diventare un giornalista professionista. Ha fatto uno stage a Milano nei quotidiani Il Sole 24 ore, il Corriere della Sera e nell’Avvenire fino al luglio del 1992.
Nel 1993 è stato in Germania per diversi mesi grazie ad una borsa di studi offerta dalla Heinrich Böll Foundation, e nel 1994 si è recato negli Stati Uniti. Al suo ritorno in Albania ha lavorato come giornalista e fu nominato direttore della Casa editrice dello stato la “Naim Frashëri”, la stessa da cui erano venute le accuse per le poesie che aveva scritto.
Nel 1996, fu eletto membro del Parlamento e l’anno successivo fu nominato ministro consigliere all’Ambasciata di Albania a Roma, dove visse e lavorò fino al 1999. Zhiti è stato anche ministro della cultura nel 2013. In tutti questi anni, ha coltivato la sua prima e vera ispirazione quella di poeta e scrittore.
Un suo primo volume Kujtesa e ajrit (La memoria dell’aria), in cui ha raccolto le poesie della prigionia, è stato pubblicato in Albania nel 1993. Da allora sono state pubblicate numerose raccolte di versi in cui l’autore dava voce ai desideri di libertà e di bellezza di intellettuali e sacerdoti perseguitati.
In Italia, Zhiti ha pubblicato diversi libri tra cui tre raccolte di poesia, racconti e un romanzo. Malgrado la penuria delle traduzioni letterarie dall’albanese, le sue opere sono state apprezzate all’estero e hanno ricevuto considerevoli riconoscimenti internazionali. In Albania Visar Zhiti ha vinto tutti i premi più importanti, anche in Italia nel 1991 ha ricevuto il premio di poesia italiano ‘Leopardi d’oro’, nel 1997 il prestigioso premio ‘Ada Negri’, il premio ‘La cultura del mare’, con presidente della giuria Enzo Biagi e membro della giuria Dacia Maraini, e successivamente anche il premio ‘Mario Luzi’. Da Avvenire è stato premiato per il racconto inviato al concorso “Racconta il tuo Dio”.
Tra gli ultimi libri pubblicati in Italia c’è il romanzo Il visionario alato e la donna proibita (Rubettino 2014) in cui si racconta la storia vera di una ragazza che, durante il liceo, venne condannata dal regime e mandata in prigione perché portava una croce al collo, credeva in Cristo e leggeva di nascosto la Bibbia. Un racconto con spunti autobiografici.
“Sono stato in prigione dieci anni per le mie poesie, la dittatura aveva paura delle poesie, che non elogiavano il potere”, ha raccontato infatti a ZENIT Visar Zhiti.
Dieci anni fa Umberto Eco ha firmato l’introduzione ad una antologia di poesie pubblicate in inglese dai poeti mondiali imprigionati dai regimi. Secondo Eco i poeti erano senza colpa, accusati ingiustamente. In un’altra antologia di poesie pubblicata in italiano, Eco mi ha citato e ha scritto di essersi sbagliato perché paradossalmente i poeti erano colpevoli di non aver celebrato la dittatura e il dittatore.
Ha preso la rapsodia delle rose ed ha detto che Visar ha cantato le rose e non per noi che governiamo il Paese.
“In realtà – ha sottolineato Visar – mi hanno condannato perché se non scrivevi a favore della dittatura eri contro. La mia colpa era quella di cercare libertà e bellezza come tanti della mia generazione”. Il regime ateo temeva le poesie perché sono il linguaggio dell’anima che va oltre il materialismo.
“Avevo 26 anni quando mi hanno arrestato”, ricorda l’uomo, “la cosa più tremenda a cui ho assistito è la gente che applaudiva quando è stata emessa la sentenza. Mi hanno tolto il diritto elettorale, proibito la pubblicazione e vietato l’insegnamento. Ho lavorato nelle miniere come uno schiavo, sempre, senza riposo. Quando c’era il cambio del turno ci salutavamo con gli altri dicendo ‘speriamo di uscirne vivi’”.
“In carcere – prosegue Visar – c’erano preti cattolici e imam musulmani. I preti cattolici erano molto colti, resistenti, mostravano uno spirito forte e davano coraggio agli altri. Ho conosciuto in carcere due preti, Zef Simoni e Kolec. Erano sempre insieme, vestiti come prigionieri, ma si capiva che erano preti, perché erano caritatevoli, compassionevoli, ascoltavano, accoglievano, condividevano il dolore, erano cordiali, ti guardavano con misericordia”.
“Nelle prigioni albanesi i preti consolavano tutti”, racconta lo scrittore, “lo facevano di nascosto e riuscivano a celebrare le messe, battezzavano e distribuivano l’Eucaristia benedicendo i pezzi di pane che ricavavano dalla razione quotidiana. Il mio amico, il prete Zef Simoni si faceva chiamare ‘Hardhia’ che vuol dire ‘la Vite’, suo fratello, anche lui e stato in carcere è vivo, è prete anche lui, scrive poesie, si chiama Gjergj Simoni”.
In merito al martirio di tanti albanesi, Visar ha voluto sottolineare che “il sangue versato dai martiri ha contribuito a salvare l’Albania, per essere un paese Europeo nella tradizione Cristiana”. A questo proposito ha ricordato la manifestazione di Roma in cui è stata tinta di rosso la Fontana di Trevi per ricordare il sangue dei martiri cristiani che continua a scorrere. Secondo Zhiti, bisognerebbe colorare di rosso tutte le fontane e i palazzi in tutte le città dell’Albania.
Sui 38 albanesi che verranno beatificati, Visar ha ricordato che tra questi c’è un italiano, due tedeschi ed una donna, una novizia di 22anni, tutti uccisi perché credevano in Gesù Cristo e non hanno accettato di separare la chiesa albanese dalla Santa Sede, come voleva la dittatura comunista.
“Nonostante sia stato grandissimo il contributo culturale, scientifico, letterario, umano e religioso, dei credenti, la dittatura li ha fucilati accusandoli di essere ‘spie del Vaticano’”. A loro e a tutti gli altri poeti fucilati dal regime Zhiti ha dedicato un’antologia di poesie edita in Albania.
Visar ha ricordato in particolare tra gli altri Padre Anton Harapi, filosofo, sociologo e autore di romanzi. Quando lo stavano conducendo alla fucilazione lui si preoccupava che la tonaca non s’infangasse, l’ufficiale gli disse che comunque sarebbe morto nel fango e padre Anton rispose: “Tutta la vita sono stato pulito e non voglio morire nella sporcizia”. Poi benedì il plotone di esecuzione, dicendo “perdona loro perché non sanno quello che fanno” e “Viva Cristo re, viva l’Albania”.
Tra i martiri citati nell’antologia c’è anche il sacerdote Ndoc Nikaj, un grande scrittore, autore di opere di letteratura religiosa, scientifica, storica e politica, nonché testi scolastici. Nella storia della letteratura dell’Albania Nikaj è indicato come autore del primo romanzo albanese. Peccato che non venga nominato un suo bellissimo romanzo che s’intitola Marcja, in cui si parla di personaggi biblici, Abramo, Sara, David, e appunto Marcja sepolta viva perché amava Cristo. Tra i personaggi anche un Papa di origine albanese, Clemente XI,
Padre Ndoc, considerato come il “Balzac Albanese”, venne imprigionato nel 1946 con l’accusa di voler abbattere con la violenza il regine comunista. Aveva però 82 anni quando lo arrestarono. Dopo cinque morì in prigione. Il suo romanzo ancora non è stato pubblicato perché secondo alcuni la letteratura albanese non deve iniziare con uno scritto che racconta il martirio di una cristiana.
Sui legami tra Albania e cristianesimo, Visar Zhiti ha ricordato che il suo Paese è stato il primo a convertirsi nei Balcani. Ha ricordato anche la Madonna del Buon Consiglio, Patrona di Scutari, portata a Genazzano 5 secoli fa, per essere salvata dagli occupanti ottomani. I fedeli e gli artisti albanesi ogni anno festeggiano la loro Madonna che sta a Genazzano. Madre Teresa ha detto che potrebbe tornare in Albania, visto che conosce la strada. Ma questa è un’altra storia.
“Noi – ha concluso Visar – ci siamo salvati spiritualmente, perché abbiamo creduto che c’é Dio. Ci siamo salvati grazie alle preghiere sussurrate e alle poesie nascoste. In base alla mia esperienza di vita posso dire che la poesia è preghiera e le preghiere sono poesie rivolte a Dio”.