Infernet: il lato oscuro della rete

Il film di Giuseppe Ferlito, nelle sale italiane dal 28 aprile, denuncia i pericoli che può portare un uso sbagliato del web

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Un pugno allo stomaco. È forse questa la frase migliore per descrivere la sensazione con cui lascia “Infernet”, nuovo film di Giuseppe Ferlito presentato in conferenza stampa a Roma il 20 aprile 2016. Prodotto da Michele Calì e Federica Andreoli, il film segue il filone di opere di denuncia dei due produttori.
Questa volta al centro è il potenziale negativo di Internet, tema che si sviluppa su più livelli: cyber bullismo, gioco d’azzardo, pedofilia, prostituzione. Se i temi sono forti, lo è anche il modo di trattarli: un taglio duro, a volte crudo, per mostrare in tutta la loro realtà i rischi della rete. Di per sé in questo modo di lavorare l’immagine è già una prima critica sociale: laddove i ragazzi non sanno distinguere tra virtuale e reale, il film abbandona i canoni della fiction per sposare un potente realismo, assumendo in alcune scene quasi i tratti del documentario.
Proprio perché a correre più rischi nell’utilizzo di Internet sono i ragazzi, a loro è dato il ruolo dei protagonisti: quattro giovani alla ricerca costante di nuove emozioni in grado di dare un senso alle loro monotone vite, perdono ogni freno inibitorio cadendo al centro di un vortice fatto di bullismo, violenza informatica e fisica, omofobia, stupro.
A questo intreccio si legano tutti gli altri: un prete amorevole (interpretato da un grande Remo Girone) accusato ingiustamente di pedofilia come ripicca al suo sostegno agli extracomunitari; il padre di uno dei ragazzi (Ricky Tognazzi) che rovina la sua vita e quella della sua famiglia a causa del poker online; tre giovanissime ragazze che con la prostituzione minorile ricattano i clienti; un attore cinico e corrotto nell’anima (Roberto Farnesi) che adesca ragazze online per scopi sessuali.
Realismo sì, ma anche un buon intreccio narrativo che romanza e rende godibile un film che, se fosse stato realmente un documentario, non avrebbe avuto lo stesso impatto.
Tutto dunque parte da Internet, ma l’intento non è quello di scoraggiarne l’utilizzo: “volevamo realizzare un film di denuncia, divulgativo, – spiega Roberto Farnesi, interprete e autore del soggetto, in conferenza stampa – che possa mettere in guardia dei pericoli che si celano dietro la rete. Lo scopo è quello di incentivare un corretto utilizzo dei mezzi tecnologici, consapevole e guidato dai genitori, non quello di demonizzarli”.
Della terminologia “film di denuncia” oggi se ne fa un grande abuso, spesso per vendere prodotti ad un mercato che altrimenti non avrebbero. Non è il caso di Infernet, che oltre a denunciare i rischi della rete tenta un approccio educativo verso i genitori: “Tutto quello che abbiamo raccontato – prosegue Farnesi – è tristemente protagonista delle cronache quotidiane. Quello che si può fare e allora cercare di conoscere veramente Internet e, perché no, controllare i propri figli quando lo utilizzano. Spero infatti che questo film sia visto soprattutto dai genitori più che dai ragazzi, perché i ragazzi sanno bene qual è il mezzo, mentre i genitori un po’ meno. Sono convinto che non dovrebbe essere un tabù controllare gli smartphone, i cellulari o i computer dei propri figli, perché purtroppo è possibile accedere a situazioni assolutamente diseducative”.
Non è un caso dunque che il film esca nelle sale italiane il 28 aprile, giorno che precede i festeggiamenti dell’Internet Day, per celebrare i 30 anni dalla prima volta che il nostro Paese si è connesso a Internet. Come a dire: “festeggiamo questo grande mezzo e la rivoluzione che ha portato nelle nostre vite, ma facciamolo con coscienza”.
La funzione educativa di Infernet proseguirà nelle scuole, grazie alla diffusione tramite Agiscuole del DVD che ne verrà creato, per animare dibattiti sul tema tra i giovani negli istituti italiani.
Proprio perché scopo del film non è la condanna del web ma un uso conscio di esso, il film chiude con un messaggio positivo e di speranza: è possibile distinguere la realtà dalla virtualità, è possibile utilizzare Internet senza correre rischi, è possibile persino salvare una vita grazie a Internet. Soprattutto, con quell’ultima commovente scena che mostra una mano guidarne una più piccola nell’uso del mouse, è possibile educare le giovani leve, affinché non commettano gli stessi errori di chi in passato è stato vittima e schiavo della rete. E se quella mano che guida fosse proprio di chi è stato vittima, di chi quegli errori li ha commessi? Si può essere un educatore se prima si era affetti proprio da quella dipendenza?
Forse sì, perché il baglio di vita di una persona, pur se negativo, può essere la più importante forma di testimonianza per chi ancora quel bagaglio se lo deve fare. Ma è necessario fermarsi, per far sì che gli errori diventino insegnamenti, fermarsi per conoscere se stessi, fermarsi perché, come dice il personaggio di Remo Girone nel film “abbiamo corso così tanto che è giunto il momento di fermarci, per consentire alle nostre anime di raggiungerci”.

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Gianluca Badii

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