Primo maggio in miniera

Singolare iniziativa della comunità di Dossena, che, per celebrare la festa del lavoro, ha scelto i luoghi dove morirono molti dei suoi antenati e dove gli antichi romani deportavano i martiri cristiani

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Singolare l’iniziativa scelta per il prossimo 1° maggio dalla comunità di Dossena, piccolo centro montano in provincia di Bergamo, che, per celebrare la festa del lavoro, ha scelto i luoghi dove morirono molti dei suoi antenati.
L’iniziativa, unica nel suo genere, è straordinariamente significativa. Una scelta  fuori dagli schemi, e che, nel caso specifico di Dossena,  ha acceso l’attenzione su un dettaglio storico di estremo interesse, quasi  del tutto sconosciuto: in quelle miniere, nei primi secoli del cristianesimo, al tempo delle persecuzioni romane,  morirono centinaia di cristiani,  condannati ai lavori forzati per la loro fede in Gesù.
Nel nostro tempo, il 1° maggio è una ricorrenza che si celebra in tutto il mondo. Festa laica, sorta alla fine dell’Ottocento, legata alle giuste rivendicazioni sociali dei  salariati. Ma festa anche cristiana. Nel 1955, Papa Pio XII volle metterla sotto la protezione di  San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, e padre putativo di Gesù.
Il primo 1° di quell’anno, incontrando in Piazza San Pietro i lavoratori cattolici, il Papa annunciava l’istituzione della festa  liturgica di S. Giuseppe artigiano, stabilendone la celebrazione proprio in quel giorno. “Siamo certi – disse Pio XII – che l’umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la Santa Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie”.
Nonostante questo specifico intervento papale, la festa è rimasta principalmente laica. È celebrata  in quasi tutti i paesi del mondo, e coinvolge alcuni miliardi di lavoratori. I luoghi delle celebrazioni sono  le grandi Piazze cittadine, capaci di accogliere folle. È connotata da raduni,  commemorazioni chiassose, mega concerti, pranzi sociali, balli, spettacoli di piazza e comizi politici.
La comunità di Dossena, pur non rinunciando allo spirito gioioso costitutivo della festa, ha voluto polarizzare l’attenzione sulle memorie. Del lavoro, ha voluto celebrare anche gli aspetti drammatici, le tragedie che ha provocato soprattutto quando, come in quelle zone, era svolto in condizioni di estrema difficoltà.
Le miniere di Dossena e dei paesi confinanti, hanno un’origine che risale a circa 1500 anni prima di Cristo. Per secoli e secoli, fino a metà del Novecento,  il lavoro in miniera fu l’unico per gli abitanti della zona.
Il sottosuolo roccioso conteneva minerali di pregio quali blenda, calamina, galena e fluorite, la cui preziosità era nota all’uomo fin dall’età del bronzo. L’estrazione era estremamente  faticosa. Il minatore lavorava in cunicoli stretti, che permettevano il passaggio solo di una persona sdraiata.
Lo stretto  budello veniva via via allargato e diventava galleria scavata nella roccia.  Lavoro disumano. Riservato alle persone più povere che, per mantenere la famiglia, non avevano altra scelta.  Lavoro massacrante. Numerosi minatori restavano vittime di incidenti e crolli;  altri,  erano stroncati in giovane età dalla “silicosi”,  malattia respiratoria  provocata da inalazione  di particelle di silice cristallina,  e lasciavano giovani vedove, bambini orfani, destinati a  una esistenza di stenti .
“Noi vogliamo ricordare anche questo aspetto del duro lavoro dei nostri antenati” dice il sindaco di Dossena, Fabio Bonzi, 33 anni. “È un patrimonio di fatiche e di sofferenze di inestimabile valore umano e vogliamo ricordarlo nel luogo dove quel lavoro si svolse.. Per questo abbiamo deciso di riaprire le nostre miniere, non per rimetterle in attività, ma per trasformarle in luoghi di memoria, di ricordi, in un autentico museo. E’ in questo luogo che la festa del lavoro, soprattutto qui da noi, trova la sua collocazione più adeguata”.
Il progetto di trasformare le vecchie miniere in un museo, a Dossena ha già avuto un inizio ufficiale  un paio di anni fa. Un tratto della rete mineraria chiuso da decenni, è stato ripulito, messo in sicurezza e reso accessibile al pubblico. Tutto il lavoro è stato compiuto dai volontari della piccola comunità;  ottanta volontari, appartenenti alle varie associazioni, alpini, fanti, vigili del fuoco, pensionati, precari eccetera, che hanno lavorato alcuni mesi gratuitamente. I lavori di ampliamento sono tutt’ora in corso, per ottenere altri tratti di gallerie visitabili.
“Stiamo raccogliendo tutti i reperti  possibili atti a illustrare la storia delle nostre miniere”, spiega il sindaco. “Ne abbiamo trovati di antichissimi. Raccogliamo anche le testimonianze fotografiche, ricordi, scritti. A Dossena, ci sono ancora persone anziane che hanno lavorato in quelle miniere, e i loro ricordi sono preziosi”.
La meticolosa ricerca di oggetti, e soprattutto di documenti storici, ha riscoperto  un aspetto della storia che riguarda la fede cristiana: nei primi secoli del cristianesimo, in quelle miniere morirono martiri parecchi seguaci di Cristo condannati ai lavori forzati per la loro fede.
Da vari documenti antichi, infatti, si ricava che, al tempo dell’impero romano, i minerali delle valli e montagne bergamasche avevano un grande valore. Dal commercio, lo Stato traeva importanti vantaggi economici. E per  trasportare la merce a Roma, furono realizzate strade che collegavano tra di loro i vari centri di estrazione.  Alcune di quelle strade sono ancora funzionanti.
I minatori locali erano insufficienti  a soddisfare le richieste del mercato. Per questo, Roma cominciò a inviare aiuti,  costituiti da individui condannati a morte. A questo scopo, il Diritto romano elaborò una particolare formula giuridica detta “damnatio ad metalla”.
I condannati a morte meno pericolosi potevano ottenere la commutazione della pena estrema in quella di “condanna ai lavori forzati in miniera”. Condanna che comportava un vantaggio economico per  la Stato, in quanto quegli individui continuavano ad essere  utili.  E tra quei condannati, i più numerosi, soprattutto nel periodo delle grandi persecuzioni, furono i cristiani. Erano colpevoli di “lesa maestà” cioè di non voler riconoscere la prerogative divine dell’imperatore. Non erano malfattori pericolosi, non si erano macchiati di orribili delitti di sangue, quindi avevano i requisiti per ottenere la mutazione della condanna a morte in “damnatio ad metalla”.
Plinio e altri scrittori romani parlano di schiere di “condannati” avviati in catene ai duri lavori nelle miniere. Da antichi documenti si ricava che furono numerosi i cristiani arrivati nelle miniere di Dossena per scontare la loro damnatio ad metalla. Vissero in quell’inferno e morirono martiri.  Non senza aver trasmesso ad altri compagni di lavoro il segreto della loro fede. Questo   spiegherebbe come mai a Dossena  abbia potuto sorgere e svilupparsi una delle prime comunità cristiane della Lombardia e, come mai,  proprio sulle alture di Dossena, nella zona delle miniere, in località  oggi denominata Cascina vecchia, ci fosse una cappella, risalente a terzo secolo.
Quelle miniere, allora  furono anche delle autentiche chiese viventi, catacombe come quelle romane, luoghi santificati dalle preghiere e dalle sofferenze di martiri, rimasti totalmente anonimi.

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Renzo Allegri

*Renzo Allegri è giornalista, scrittore e critico musicale. Ha studiato giornalismo alla “Scuola superiore di Scienza Sociali” dell’Università Cattolica. E’ stato per 24 anni inviato speciale e critico musicale di “Gente” e poi caporedattore per la Cultura e lo Spettacolo ai settimanali “Noi” e “Chi”. Da dieci anni è collaboratore fisso di “Hongaku No Tomo” prestigiosa rivista musicale giapponese. Ha pubblicato finora 53 libri, tutti di grandissimo successo. Diversi dei quali sono stati pubblicati in francese, tedesco, inglese, giapponese, spagnolo, portoghese, rumeno, slovacco, polacco, cinese e russo. Tra tutti ha avuto un successo straordinario “Il Papa di Fatima” (Mondadori).

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