In vista della cerimonia per la firma dell’accordo di Parigi sul clima (Cop21), prevista il 22 aprile presso la sede dell’Onu a New York, 270 leader religiosi hanno diffuso un appello per sollecitare i capi di Stato e di Governo a ratificare quanto prima l’intesa raggiunta lo scorso dicembre nella capitale francese alla Conferenza sui cambiamenti climatici.
L’accordo, tra i cui punti centrali figura l’impegno a portare avanti sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi, diventerà giuridicamente vincolante solo se ratificato da un minimo di 55 Paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra.
L’appello – informa la Radio Vaticana – è stato consegnato ieri al presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite Mogens Lykketoft. Esso porta la firma, tra gli altri, di mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, del rabbino capo Shear Yashuv Cohen, dell’imam Maulana Syed Muhammad Abdul Khabir Azad, dell’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu e del segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) , Olav Fykse Tveit.
Nel testo i rappresentanti religiosi ricordano che “la cura per la Terra è nostra comune responsabilità” che “ognuno di noi ha una responsabilità morale di agire, come così efficacemente affermato da Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ e nelle dichiarazioni sui cambiamenti climatici da buddisti, cristiani, indù, ebrei, musulmani, sikh, e altri leader religiosi”. Il pianeta infatti, si ricorda, “ha già superato i livelli di sicurezza per i gas serra. E a meno che questi livelli non vengano rapidamente ridotti, si rischia di creare impatti irreversibili per centinaia di milioni di vite”.
Una sfida, dunque, che richiede “coraggio” e “onestà” da parte di tutti, in primo luogo di chi ha responsabilità dei popoli e delle nazioni. Da parte loro, i responsabili religiosi ricordano che occorre “iniziare una transizione dai combustibili fossili inquinanti e verso le fonti pulite di energia rinnovabile”. È chiaro che per molte persone ciò comporta un radicale cambiamento dei propri stili di vita, ma “dobbiamo lottare per un’alternativa alla cultura del consumismo che è così distruttiva per noi stessi e per il nostro pianeta”.
Per i leader religiosi, l’accordo di Parigi è un motivo di speranza per il futuro, perché “il consenso senza precedenti” raggiunto “ha aperto una nuova strada” e “la collaborazione globale tra tutte le nazioni è la prova che i nostri valori condivisi sono di gran lunga più grandi di tutte le differenze che ci dividono”.
L’accordo, tra i cui punti centrali figura l’impegno a portare avanti sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi, diventerà giuridicamente vincolante solo se ratificato da un minimo di 55 Paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra.
L’appello – informa la Radio Vaticana – è stato consegnato ieri al presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite Mogens Lykketoft. Esso porta la firma, tra gli altri, di mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, del rabbino capo Shear Yashuv Cohen, dell’imam Maulana Syed Muhammad Abdul Khabir Azad, dell’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu e del segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) , Olav Fykse Tveit.
Nel testo i rappresentanti religiosi ricordano che “la cura per la Terra è nostra comune responsabilità” che “ognuno di noi ha una responsabilità morale di agire, come così efficacemente affermato da Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ e nelle dichiarazioni sui cambiamenti climatici da buddisti, cristiani, indù, ebrei, musulmani, sikh, e altri leader religiosi”. Il pianeta infatti, si ricorda, “ha già superato i livelli di sicurezza per i gas serra. E a meno che questi livelli non vengano rapidamente ridotti, si rischia di creare impatti irreversibili per centinaia di milioni di vite”.
Una sfida, dunque, che richiede “coraggio” e “onestà” da parte di tutti, in primo luogo di chi ha responsabilità dei popoli e delle nazioni. Da parte loro, i responsabili religiosi ricordano che occorre “iniziare una transizione dai combustibili fossili inquinanti e verso le fonti pulite di energia rinnovabile”. È chiaro che per molte persone ciò comporta un radicale cambiamento dei propri stili di vita, ma “dobbiamo lottare per un’alternativa alla cultura del consumismo che è così distruttiva per noi stessi e per il nostro pianeta”.
Per i leader religiosi, l’accordo di Parigi è un motivo di speranza per il futuro, perché “il consenso senza precedenti” raggiunto “ha aperto una nuova strada” e “la collaborazione globale tra tutte le nazioni è la prova che i nostri valori condivisi sono di gran lunga più grandi di tutte le differenze che ci dividono”.