È un applauso commosso quello che accoglie l’arrivo di Papa Francesco nel Moria refugee camp, il campo profughi che ospita circa 2.500 profughi richiedenti asilo. Circa 150 minori sono disposti lungo una transenna per salutare il Vescovo di Roma: quasi tutti sono ragazzi salpati da soli sull’isola greca, perché hanno perso i genitori durante la guerra, sotto le bombe dell’Isis o tra le onde del mare.
Quel timido sorriso che oggi mostrano al Papa lo hanno recuperato grazie al lavoro delle ong caritative attive sul posto, che hanno reso questo campo – che ha lo stesso nome dal monte su cui Abramo doveva sacrificare Isacco – un centro di vera accoglienza e non di detenzione.
Bergoglio stringe la mano ad ognuno di loro: alcuni sorridono, altri mantengono un’espressione seria oppure allungano la mano con una sorta timore, molti invece provano a scattare qualche fotografia dal telefonino. Dopo di loro, Francesco passa a salutare i diversi volontari e i numerosi ospiti ‘adulti’ che tengono in braccio neonati o sventolano cartoni con scritte come “Welcome Pope Francis”.
Alle sue spalle ci sono Bartolomeo e Ieronymos che compiono gli stessi gesti. I tre patriarchi raggiungono la grande tenda dove salutano individualmente circa 250 richiedenti asilo e ascoltano le storie e gli sfoghi di alcuni di loro. Lì Francesco riceve in dono un disegno da parte di un piccolo profugo siriano. “Questo non si piega, va sulla mia scrivania”, dice al capo dei Gendarmi Domenico Giani. Poi si ferma alcuni minuti a consolare un altro rifugiato di colore che gli si getta ai piedi in lacrime urlando: “Thanks God, thank you”.
Una volta raggiunto il semplice podio allestito per la circostanza, i tre leader religiosi pronunciano quindi i loro brevi ma significativi discorsi rivolgendosi direttamente ai rifugiati. Tre interventi in tre diverse lingue, tutti accomunati da un unico messaggio: non perdere la speranza.
Le parole di Papa Francesco, in particolare, sono una carezza per questa gente che negli ultimi mesi ha “patito molte sofferenze nella ricerca di una vita migliore”. “Oggi ho voluto stare con voi. Voglio dirvi che non siete soli”, assicura il Pontefice. “Molti di voi – aggiunge – si sono sentiti costretti a fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzione, soprattutto per i vostri figli, per i vostri piccoli. Avete fatto grandi sacrifici per le vostre famiglie. Conoscete il dolore di aver lasciato dietro di voi tutto ciò che vi era caro e – quel che è forse più difficile – senza sapere che cosa il futuro avrebbe portato con sé”.
Per tutta questa gente il Papa è arrivato a Lesbo insieme ai suoi “fratelli” Bartolomeo e Ieronymos, “semplicemente – ripete – per stare con voi e per ascoltare le vostre storie”. Ma anche “per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione”.
“Come uomini di fede – afferma il Papa – desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro”, nella speranza “che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”. “Dio – sottolinea il Santo Padre – ha creato il genere umano perché formi una sola famiglia”; e allora “quando qualche nostro fratello o sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità”. E sappiamo anche “che queste crisi possono far emergere il meglio di noi”.
I profughi stessi hanno potuto sperimentare tutto questo grazie al popolo greco “che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà”. “Lo avete visto anche nelle molte persone, specialmente giovani provenienti da tutta l’Europa e dal mondo, che sono venute per aiutarvi”, evidenzia Bergoglio. E “sì – aggiunge – moltissimo resta ancora da fare. Ma ringraziamo Dio che nelle nostre sofferenze non ci lascia mai soli. C’è sempre qualcuno che può tendere la mano e aiutarci”.
“Non perdete la speranza!” è allora il messaggio che il Vescovo di Roma lascia agli oltre 2.500 rifugiati accampati nel campo Morìa. “Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera”. La figura di riferimento è il Buon Samaritano, “uno straniero che vide un uomo nel bisogno e immediatamente si fermò per soccorrerlo”. Questa parabola biblica “è anche un appello a mostrare quella stessa misericordia a coloro che si trovano nel bisogno”, sottolinea Papa Francesco.
Ed esprime l’auspicio che “possano tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in questo continente, come il Buon Samaritano, venirvi in aiuto in quello spirito di fraternità, solidarietà e rispetto per la dignità umana, che ha contraddistinto la sua lunga storia”.