Il Vangelo di questa domenica ci annuncia una splendida notizia: ciascuno di noi è al centro dell’intimità e della perfetta unità tra il Padre e il Figlio. E’ vero che tante volte anche noi mormoriamo e ci mettiamo davanti al Signore con lo stesso atteggiamento dei Giudei. Esigiamo che Egli si manifesti secondo i nostri desideri, secondo le voglie del momento.
Anzi, lo facciamo responsabile delle nostre sofferenze. In greco, infatti, invece di “fino a quando ci terrai con l’animo in sospeso” si può leggere anche “fino a quando ci toglierai la vita?”. Confessiamo che è proprio quello che tante volte ci ritroviamo a pensare, quando ci sembra che il Signore resti muto di fronte alle nostre angosce.
In fondo non è vero, come non era vero per i giudei, che siamo con l’animo in sospeso. La verità è che nel cuore abbiamo già deciso, ed è chiara ai nostri occhi l’immagine del salvatore di cui abbiamo bisogno, e non è quella del Servo di Yahwè, l’agnello muto condotto al macello.
E non ci rendiamo conto che stiamo aspettando e desiderando un “mercenario”, un estraneo, uno cui di noi non importa nulla. Aspettiamo Barabba. Aspettiamo un brigante, l’importante è che ci risolva i problemi e ci liberi dal giogo dei politici, del capo ufficio, della suocera.
Per questo, rieccheggiando le parole dei demoni rivolte a Gesù nei sinottici, ci scandalizziamo del Signore, temiamo che venga a distruggerci, a scompaginare i nostri progetti di vita. Soprattutto, i nostri criteri, il nostro sguardo sul mondo, la vita, gli eventi, le persone.
Ma il cristianesimo non è una religione come le altre, perché alla sua origine, come ripeteva Benedetto XVI, vi è un incontro personale capace di sconvolgere, convertire, cambiare e colmare l’esistenza. Dove si dà questo incontro, e dove esso si approfondisce in una conoscenza che superi la buccia dell’apparenza, necessariamente si dà un cambio radicale di mentalità. Appare un nuovo discernimento. Per questo Gesù parla di sé come del buon pastore, del pastore bello, del pastore vero, termini che in greco, non a caso, sono interscambiabili.
E per questo il contesto del Vangelo di questa domenica, è proprio quello della festa di Hanukka’h, la Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane. E’ la hanukka’h (consacrazione), detta in greco enkaini’a (rinnovazione) (cfr 1 Macc 4, 54-59; 2 Macc 1,8; 2,16; 10,5).
In questa festa, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, tra i tanti, vi sono due elementi che crediamo essere fondamentali per l’intelligenza delle parole di Gesù: “Il decreto promulgato dai Greci Siriani, era di far “dimenticare la Tua Tora’ e violare i decreti della Tua volontà” agli Ebrei. I Greci adoravano la conoscenza. A loro non importava se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Torà. Ciò che obiettavano violentemente era l’idea che la Torà provenisse da Dio – “la Tua Torà”… Per questa ragione i Greci contaminarono l’olio nel Beit Hamikdash”. “La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche “educare”.
La rivolta ebraica scoppiò quando il nemico greco tentò di colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e più precisamente, quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull’adesione all’educazione ebraica”.
Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono per ciascuno di noi un interrogativo: “dove sei?”. E’ lui che interroga, e ci mette a nudo, per questo la reazione è scomposta, e sembra che le domande del Signore ci tolgano la vita. Gesù ci chiede conto della mentalità che guida la nostra vita.
Siamo sue pecore, oppure siamo sballottate qua e là da qualunque vento di dottrina, afferrate da uno dei tanti Barabba che attentano alle anime? Quali sono le nostre reazioni di fronte all’ingiustizia, alla malattia, all’umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento? Con quali occhi, con quale mente, con quale cuore guardiamo oggi alla Croce? Chi ci sta educando?
L’olio dello Spirito Santo, quello della sapienza della Croce, non è stato per caso profanato, e oggi giace inutilizzabile e ci troviamo come le vergini stolte, impossibilitate ad entrare al banchetto delle nozze con il Signore? Non abbiamo forse dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo? Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di mercenari e ingannatori?
Se così fosse, la parola del Vangelo e’ proprio per noi, ed e’ una buona notizia. E’ la sua voce, quella per la quale siamo nati, per la quale siamo stati creati. E’ il Pastore vero, bello, buono, che ci strappa dall’inganno, che distrugge nella sua morte, la menzogna e l’inganno.
E’ Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita. E’ Lui che ci attira nella stessa intimità divina, nel Santo dei Santi, il cuore di Dio. E’ Lui che si fa nostro condottiero, che torna a guidare le nostre menti e i nostri cuori per i cammini della giustizia, della sapienza crocifissa.
E’ la sua voce che schiude i nostri occhi sulle sue opere, i segni dell’amore di Dio nella nostra vita. E’ la sua voce colma delle sue parole che che ci dona la fede per credere e ottenere la vita che non muore. E’ la sua mano trapassata dai chiodi che ci tiene stretti per l’eternità. Sono stati i nostri peccati a scrivere, a tatuare con il sangue i nostri nomi nelle mani del Signore.
E Lui, con il suo sangue, li ha scritti in Cielo, per l’eternità, ed e’ questa la verità che si fa unica fonte di vera gioia, il pascolo che ci sazia perché ci dona il perdono eterno.
E’ la “conoscenza” di Dio in questo amore sperimentato mille volte, la conoscenza della misericordia, che scende sino al fondo più fondo delle nostre esistenze, e’ questa intimità che ci fa sue pecore, gregge del suo pascolo.
La conoscenza crocifissa, che e’ la stessa sapienza con la quale guardare ogni istante della storia come una nota sullo spartito della sinfonia d’amore che Dio sta eseguendo per tutto il creato. E la nostra vita, il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra mente, costituiscono così il nuovo tempio riconsacrato per il culto nuovo, quello della Chiesa, quello del Figlio: la lode di una vita perduta per amore, seguendo il Pastore, insieme al Pastore. Perché nessuno, nel mondo, vada perduto.