Senza il volontariato l’Italia sarebbe un Paese più diseguale. Un nuovo importante focus di ricerca arriva dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione alla vigilia dell’edizione 2016 del Festival Italiano del Volontariato che verrà inaugurato domani, giovedì 14 aprile, alle 16, presso il Palazzo Ducale di Lucca.
Il rapporto, attraverso alcuni dati raccolti dallo statistico Andrea Bertocchini e dalla sociologa Paola Tronu, collaboratori della Fondazione Volontariato e Partecipazione, sottolinea quanto il volontariato sia fondamentale contro le diseguaglianze.
Fonte dei dati è l’indagine sugli “Aspetti della Vita Quotidiana degli Italiani” dell’Istat del 2014 che ha dedicato un approfondimeno specifico proprio al volontariato, sperimentando per la prima volta in Italia il modulo Ilo sulla misurazione del valore economico e sociale del volontariato.
Il tema delle diseguaglianze si intreccia con quello dell’attività gratuita in vari modi. Ben chiara è l’immagine del volontariato come segmento avanzato della società civile, che offre le proprie risorse a beneficio degli altri membri della collettività, contribuendo così ad attenuare alcuni degli effetti delle diseguaglianze sorte sui terreni della società e dell’economia e producendo vantaggi materiali e immateriali che rafforzano la coesione sociale.
La Fondazione Volontariato e Partecipazione ha voluto indagare una questione meno dibattuta e studiata: quella del legame tra lo status socioeconomico degli individui e la loro, eventuale, scelta di svolgere attività gratuita a beneficio di terzi in forma organizzata.
La Fondazione ha indagato quindi il ruolo delle diseguaglianze come determinanti dell’attività di volontariato. E’ stata utilizzata la domanda sulla percezione dell’adeguatezza delle risorse economiche della famiglia per costruire due categorie di volontari, la prima in cui sono presenti i volontari che dichiarano di avere risorse economiche elevate o adeguate e la seconda con i volontari che ritengono di disporre di risorse economiche scarse o assolutamente insufficienti.
I volontari con più alte risorse economiche famigliari o personali si impegnano più spesso degli altri nelle organizzazioni operanti negli ambiti culturali e ricreativi, di filantropia, istruzione e ricerca.
Svolgono inoltre più frequentemente degli altri ruoli equivalenti a professioni intellettuali o tecniche, in conformità con il loro bagaglio di istruzione e di esperienza professionale. Tuttavia si riscontra una sostanziale parità con i volontari in condizioni di svantaggio per quanto riguarda il rivestire delle cariche dirigenziali. Si dichiarano poi più spesso, a confronto con gli altri, motivati a svolgere volontariato da convinzioni valoriali (credono nella causa sostenuta dal gruppo o associazione) o sociali-solidaristiche (l’urgenza di far fronte ai bisogni che i servizi pubblici non soddisfano o dare un contributo alla comunità, all’ambiente).
Infine vedono in misura maggiore come risultati dell’attività svolta il cambiamento personale, una maggiore coscienza civile e politica, la valorizzazione di precedenti esperienze e capacità altrimenti non utilizzate e il miglioramento delle capacità di relazioni; ma sono anche quelli che più spesso degli altri pensano che niente sia cambiato nella loro vita per effetto dell’attività come volontari.
I volontari con minori risorse famigliari e educativo-professionali personali danno un contributo maggiore, sempre comparativamente rispetto agli altri, alle organizzazioni nei settori della sanità, dell’ambiente e della cooperazione.
Ricoprono poi ruoli assimilabili a professioni esecutive o dei servizi. Sono più spesso nelle professioni non classificate (tra loro “pesano” probabilmente i donatori) ed, inoltre, motivati più dei primi da ragioni di miglioramento della vita relazionale -seguire i propri amici, già impegnati- e strumentale -per arricchimento professionale o avere maggiori opportunità di lavoro-. Infine i volontari con minori risorse pensano più spesso che l’attività di volontariato li abbia portati a sentirsi meglio con se stessi, ad essere più informati e ad acquisire maggiori competenze utili sul lavoro, come anche ad allargare la rete di relazioni.
“I risultati dell’approfondimento – commenta il presidente del Centro Nazionale per il Volontariato Edoardo Patriarca- confermano quanto la scelta di fare volontariato da parte delle persone sia benefica per l’individuo e per la società intera da molti punti di vista. Abbiamo già approfondito il legame importante fra volontariato e benessere, oggi scopriamo che chi vive situazioni di svantaggio economico non rinuncia comunque a fare la sua parte, ma la svolge con modalità, ruoli e motivazioni diversi. Il volontariato in Italia è un potente fattore di redistribuzione solidaristica da parte di chi è socialmente garantito, ma anche un’occasione di inserimento sociale e crescita culturale per chi vive posizioni socioeconomiche più deboli”.
“Con questi approfondimenti periodici –commenta il presidente della Fondazione Volontariato e Partecipazione Alessandro Bianchini- stiamo fornendo al Paese e ai suoi attori economici e sociali il reale volto del volontariato italiano: il nostro obiettivo è quello di far capire quanto le dinamiche sociali che viviamo siano influenzate positivamente, nonostante le crisi in corso, dalle organizzazioni di volontariato senza le quali l’Italia sarebbe un Paese ancora più diseguale e meno coeso”.
Il volontariato in prima linea contro le diseguaglianze
Domani a Lucca l’inaugurazione della sesta edizione del Festival Italiano del Volontariato, nuovo studio della Fondazione Volontariato e Partecipazione