Il viaggio a Lesbo in programma sabato prossimo è per molti versi simile alla prima visita pastorale del pontificato di papa Francesco: quella a Lampedusa del luglio 2013. Lo ha sottolineato in un’intervista alla Radio Vaticana, il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
“È un’altra isola che riceve persone costrette a fuggire dalla loro terra – ha detto il porporato -. Quindi, la visita sarà di nuovo un tentativo per mettere sullo schermo globale la situazione di queste persone e al tempo stesso le sue cause, per interpellare il mondo e la coscienza globale, chiamandola a fare qualcosa per evitare tutto questo”.
Preso atto che il motivo della fuga è sia la guerra in Siria che il terrorismo dell’Isis, Turkson ha aggiunto che la “pace che non deve essere soltanto il frutto della diplomazia ma che si basi in gran parte sull’amicizia, l’amore e la fraternità che si possono mostrare nei riguardi di queste persone”.
La visita del Pontefice a Lesbo, ha osservato il cardinale ghanese, è un’ulteriore sfida alla “indifferenza”, laddove sovvenzionare nazioni come la Turchia perché fermino il flusso di migranti, è difficile pensare quali interessi possa soddisfare: “Forse l’Europa ora sarà un po’ più tranquilla, ma quanto tempo durerà questa tranquillità?”, ha commentato il capodicastero, rilevando quanto “l’Isis sia potente, ma in realtà è sempre sostenuto dai soldi, ha accesso ancora al denaro, alle armi, ecc.” e che sia ormai necessario porre “fine all’interesse per comprare il petrolio a un prezzo basso”.
Tornando a parlare di Lesbo, il cardinale Turkson ha ricordato che l’obiettivo della visita del Santo Padre non sarà solo quello di indurre le telecamere a “riprendere le persone che soffrono” ma anche di “farci pensare un po’ a quale potrebbe essere una soluzione a lungo termine, valida per porre fine a questa situazione”.
Foto © ZENIT (HSM)
Turkson: “Il Papa a Lesbo interpella la coscienza globale”
Secondo il responsabile del dicastero di Giustizia e Pace, non basta denunciare il problema dei profughi, è necessario pensare a una “soluzione a lungo termine”