“Senti Cri, ma tu cosa pensi del fatto di dover sopportare pazientemente le persone moleste?”. Oramai saranno passati un paio di mesi da quando, una mattina, accendendo il cellulare, ho letto questo messaggio su WhatsApp. Un paio di mesi in cui ho tatticamente rimandato una risposta, per me difficile da dare. Il fatto è che io faccio una gran fatica a sopportare i molesti. Rimango sempre ammirata quando vedo qualcuno che, di fronte a persone irritanti ed antipatiche, reagiscono con la santa pazienza (e qui il termine “santa” ci sta davvero bene). Anzi: più che ammirata, ne rimango affascinata. Il motivo è che percepisco che intorno alla pazienza c’è un grande potere: quello di far germogliare anche le pietre (a condizione di saper aspettare, ovviamente).
“Con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta”, diceva Confucio. Pazientare, attendere, aspettare… azioni misteriose in una società fondata sui sughi pronti, sulle ricette di torte veloci e sulle cene surgelate. “Sopportare pazientemente le persone moleste”; sorprendentemente attuale questa sesta opera di misericordia spirituale. Oggi, infatti, ci si è messa anche la rete a complicare i nostri già difficili tentativi di sopportazione. Pure in internet bisogna sopportare presenze inopportune, fastidiose, addirittura insopportabili. Non bastavano i parenti, i vicini di casa, i colleghi di lavoro… Anni fa una pubblicità ci consigliava un per combattere il logorio della vita moderna. Oggi ce ne pensieri su quest’argomento, mi frullano in testa.
Il primo è un dubbio: può succedere che non sia l’altro ad essere un molesto, ma che piuttosto siano gli ospiti inquieti dentro di me a farmelo sentire tale? Il secondo è un’intuizione: ho la netta sensazione che la pazienza sia molto svalutata perché frequentemente scambiata per rassegnazione o per adattamento al dolore. Sul primo dubbio non mi ci soffermo perché ci vorrebbero milioni di pagine per analizzare tutte le sfumature autodistruttive del nostro mondo interiore, abilissime ad ergere muri di insofferenza tra noi e gli altri. Sulla seconda intuizione invece, mi ci butto a capofitto. Mi piace molto l’idea che la pazienza sia una virtù attiva che ci rende, non tanto capaci di sopportare, quanto di attendere. Paziente è colui che non si lascia vincere dal fastidio o dall’irritazione, ma sceglie come reagire.
“Sopportare pazientemente” non significa subire passivamente l’odioso di turno cercando di trattenersi dallo strozzarlo (anche se capisco che l’idea ci possa sfiorare), quanto controllare le nostre reazioni e mantenere la pace nella mente (forse san Francesco ci avrebbe raccontato la Perfetta Letizia). Controllare le reazioni a qual fine?
Quando siamo impazienti siamo bloccati all’immediato, reagiamo a quel che è appena accaduto e diventiamo vittime o della sconforto (e ci si dispera) o della rabbia (e si aggredisce). Le conseguenze sono comunque sempre distruttive e ci lasciano una scia di rapporti rovinati e/o di rimorsi dolorosi. La pazienza, invece, ci dà la flessibilità ed il potere di non diventare vittime passive delle circostanze. Ecco perché si dice di “sopportare pazientemente” e non di “sopportare con rassegnazione”. In tutto questo movimento di mente e di cuore, la tenacia è essenziale per allenarci a pensare in modo chiaro, rispondendo costruttivamente alle difficoltà ed alle offese. Ed è proprio questo stile “paziente” che ci permetterà poi di esserlo anche con noi stessi. Perché anche noi possiamo diventare molesti. Tutti possiamo sbagliare, danneggiare gli altri, provocare irritazione e nervosismi, spesso senza volerlo. È allora che la pazienza diventerà la nostra salvezza perché saprà attenderci, concedendoci il tempo per correggerci. Tutti abbiamo reciprocamente bisogno di perdono e pazienza, per rinascere e ricominciare.
Ma c’è un terzo ed ultimo pensiero (che per anni ho cacciato dalla mia mente come una mosca fastidiosa) con cui voglio finire. Un’intuizione troppo difficile da accettare. Eppure è arrivato il momento (almeno per me) di farci i conti. Il pensiero è questo: ma non sarà che le “persone moleste” possono essere anche un regalo della vita? Lo so, l’ho detta grossa. Me ne rendo conto sul serio, ve lo assicuro. Ma procediamo pazientemente. Il Dalai Lama ha detto: “Coloro che ci fanno del male sono in un certo senso maestri di pazienza. Queste persone ci insegnano qualcosa che non potremmo mai imparare unicamente ascoltando qualcuno, per quanto saggio o santo possa essere”.
Non è possibile, allora, che siano proprio le “persone o le situazioni moleste” a concimare meglio il nostro albero della pazienza? L’incontro con questi irritanti figli di Dio, non può essere un’opportunità per avvicinarci alla pazienza di Dio che perdona fino a settanta volte sette, in attesa del nostro meglio? Nella Bibbia la parola “sopportazione” significa restare in piedi di fronte a qualcuno o a qualcosa, resistendo all’urto con il coraggio della pazienza. È l’attitudine ad essere forti di fronte alle avversità. Ecco perché nella Bibbia l’attitudine a sopportare è propriamente di Dio. Egli «ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione. E questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria» (Rm 9,22-23).
«È questo lo stile di Dio – afferma Papa Francesco -: Non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci» (Papa Francesco, Angelus del 7 aprile 2013).
[Fonte: www.intemirifugio.it]
Sopportare pazientemente le persone moleste: difficile ma necessario
Saper trattare con persone ‘irritanti’ è un favoloso concime per l’albero della nostra pazienza