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L’"Altro" per gli ebrei e i cattolici: i rifugiati nel mondo di oggi

Il cardinale Koch ha co-presieduto a Varsavia la XXIII riunione del comitato interreligioso

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Rappresentanti delle comunità cattolica ed ebraica, assieme leader civili e di governo, rappresentanti della Santa Sede, della Chiesa polacca e dello Stato di Israele hanno preso parte alla XXIII riunione del Comitato internazionale di collegamento ebraico-cattolico (ILC), tenutasi a Varsavia, dal 4 al 7 aprile.
Il vertice, presieduto dal cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione della Santa Sede per i rapporti con l’ebraismo, e da Martin Budd, presidente del Comitato Ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose, ha colto come occasione il cinquantesimo anniversario della pubblicazione del documento conciliare Nostra Aetate.
“La Polonia è stata una sede appropriata per questo incontro, in quanto essa è stata luogo di realizzazione di alcuni dei più importanti e fecondi sviluppi – dal punto di vista della cultura sia cattolica sia ebraica – ed anche, nel secolo XX, teatro di alcuni tra i più orrendi eventi della storia mondiale”, si legge in una nota congiunta della Sala Stampa della Santa Sede e dell’ILC.
“I partecipanti alla riunione, e le istituzioni che essi rappresentano – prosegue il comunicato – sono pienamente consapevoli della tensione dinamica che tocca questi due opposti poli, e della nobile sfida che ne deriva per sviluppare oggi criteri di giudizio costruiti a partire dalle lezioni del passato. Essi sono parimenti consapevoli di quanto le dinamiche politiche contemporanee influiscono direttamente sui rapporti dei cattolici e degli ebrei in Polonia e in ogni parte del mondo”.
Durante la conferenza, il cardinale Koch ha sottolineato che nel corso degli anni uno dei frutti benedetti di questi incontri dell’ILC è stato lo sviluppo di una vera amicizia tra i partecipanti e di un genuino senso di collaborazione tra le comunità che essi rappresentano.
Da parte sua Budd ha delineato il significato simbolico dell’incontrarsi in questo luogo – Varsavia – con la sua storia di dolore, e nel medesimo tempo a cinquant’anni dalla Dichiarazione Nostra Aetate, e delle circostanze contemporanee di sfide morali per le comunità di credenti.
La serata si è conclusa con un intervento dell’Ambasciatore d’Israele in Polonia; a nome di Yad wa-Shem l’Ambasciatore ha assegnato il titolo postumo di “Giusti tra le Nazioni” a tre cattolici polacchi, per aver salvato vite ebraiche durante la Shoà, incarnando così nel modo più nobile la realizzazione dei rapporti cattolico-ebraici.
L’agenda del dialogo, che si tiene ogni due anni, ha avuto per tema L’Altro nella tradizione ebraica e cattolica: i rifugiati nel mondo di oggi. “Allo scopo di fornire una base religiosa ed accademica alle discussioni successive, le sessioni si sono aperte con analisi approfondite delle fonti tradizionali che riguardano la visione de L’Altro dal punto di vista sia ebraico sia cattolico”, riferisce la nota della Santa Sede e dell’ILC.
“Ciascun relatore, in conformità con il carattere accademico del suo intervento, ha riconosciuto la tensione dialettica tra universalità e particolarità entro ciascuna delle due tradizioni, sottolineando l’importanza e l’integrità morale che sono componenti essenziali per accogliere L’Altro secondo l’autocomprensione delle rispettive tradizioni”.
Le presentazioni, e la discussione che ne è seguita, hanno precisato che le nostre rispettive Scritture sacre ci forniscono “un modello di riferimento per affrontare urgenti problemi sociali come l’odierna crisi dei rifugiati”.
In risposta ai comandamenti religiosi ebraici e cristiani, la conferenza ha trattato l’attuale crisi di rifugiati che tocca gran parte dell’Europa, riconoscendo “le tensioni tra l’obbligo di amare lo straniero con la sua dignità in quanto creato a immagine di Dio da una parte, e dall’altra il riguardo dovuto alla sicurezza e alla preoccupazione per il cambiamento”.
Anche se gli ultimi cinquant’anni hanno visto un’ampia apertura senza precedenti tra le nostre due comunità in molti luoghi, non ultimo a livello internazionale, tuttavia nei più recenti anni costatiamo “l’insorgere di sviluppi problematici che ci riguardano entrambi”.
“Dopo aver trattato il modo in cui le nostre rispettive tradizioni c’incoraggiano ad aiutare gli altri, abbiamo esaminato come le nostre due comunità attualmente si trovano nella situazione di essere ‘altri’”.
“L’antisemitismo nei discorsi e nei fatti è riapparso in Europa ed altrove, mentre la persecuzione di cristiani, in misura notevole nella maggior parte del Vicino Oriente ed in parte dell’Africa, ha raggiunto livelli che non si vedevano da tempo – prosegue la nota -. I partecipanti hanno sottolineato che l’antisemitismo è una realtà che assume varie forme, un pericolo non solo per gli ebrei ma anche per gli ideali democratici, e che per combatterlo sono necessari programmi educativi aggiornati e rinnovati”.
Essi hanno osservato che la persecuzione di cristiani ha avuto di anno in anno un incremento dal 2012 al 2015, riconoscendo “l’obbligo nel rendere presente alla coscienza del mondo questo problema, e la responsabilità morale nel dar voce a coloro che non hanno voce”.
I partecipanti, quale riconoscimento dell’indiscutibile storicità della Shoà e del suo significato, hanno reso visita al campo di sterminio di Treblinka. Durante la cerimonia commemorativa delle vittime, le autorità hanno affermato il loro impegno a “non permettere mai che tale tragedia venga dimenticata, né a consentire che al mondo un’altra volta si compia una simile negazione della dignità di ciascun essere umano, a qualunque razza, religione o popolo appartenga”.
La loro visita ad una istituzione cattolica di assistenza sociale ed al Museo POLIN di storia del popolo ebraico ha posto in evidenza “il ruolo importante svolto dalle comunità ebraica e cattolica nella vita polacca contemporanea”. La conferenza ha messo in luce “l’esperienza polacca di transizione dal comunismo, con la sua repressione, alla libertà di riflessione e di espressione della fede religiosa in una nuova società”.
In continuità con il percorso dell’ILC durante 45 anni dalla sua istituzione, i rappresentanti hanno riaffermato il loro permanente impegno per un dialogo aperto e costruttivo, quale modello di comprensione interreligiosa ed interculturale nel mondo, soprattutto nei confronti delle autorità religiose delle comunità musulmane.
Essi hanno parimenti riespresso “il loro proposito di collaborare per affrontare i bisogni che affiorano nelle loro comunità dovunque si trovino, e per comunicare i loro messaggi trascendenti ad un mondo così profondamente bisognoso delle affermazioni genuine e premurose proposte dalle loro due tradizioni religiose”, conclude poi la nota.
 

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ZENIT Staff

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