Il Patriarca di Venezia in difesa della libertà religiosa

Secondo mons. Moraglia le modifiche proposte alla legge “antimoschee” presentano elementi di “perplessità e preoccupazione non solo per i cattolici ma anche per le altre comunità religiose”

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I mezzi di comunicazione di massa l’hanno già chiamata legge veneta “antimoschee”, anche se la proposta che arriverà nel pomeriggio di martedì 5 aprile in Consiglio regionale parla di una “modifica alla legge regionale sul governo del territorio che mira ad introdurre una nuova normativa per disciplinare la realizzazione di edifici e attrezzature di interesse comune per servizi religiosi e finalizzata a fornire alle amministrazioni comunali criteri omogenei per un corretto insediamento delle attrezzature destinate a servizi religiosi nello strumento urbanistico” con l’obiettivo di “assicurare un’adeguata qualità urbana delle aree a ciò destinate”.
Le modifiche proposte – ora al vaglio del Consiglio regionale del Veneto – hanno già suscitato parecchie polemiche e acceso il dibattito.  A questo proposito Gente Veneta on line, ha sentito il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia, il quale ha spiegato quanto segue: “Ho atteso di leggere il testo finale che sarà presentato in aula tra pochi giorni e ho anche chiesto alcuni pareri, al di là di ogni sterile polemica o facile contrapposizione. Ho incontrato i rappresentanti delle confessioni cristiane di Venezia con i quali abbiamo condiviso un’ampia riflessione sulla proposta di legge.
Rilevo con rammarico che le modifiche proposte presentano ancora elementi di perplessità e preoccupazione per l’esercizio del diritto, garantito dalla Costituzione, di libertà religiosa per il nostro territorio. Tale osservazione vale, ovviamente, non solo per i cattolici ma anche per le altre comunità religiose.
Per intenderci, sembra che la costruzione di un nuovo edificio o di ‘attrezzature’ per il culto o ‘servizi religiosi’ – nel nostro caso una chiesa, una parrocchia – sia di fatto equiparata alla costruzione e “collocazione” di un nuovo centro di servizi.
Una chiesa, un patronato, le aule del catechismo ecc. (con tutto il rispetto per ogni tipo di altra attività) non possono rispondere alla logica che presiede all’insediamento di un centro commerciale, un distributore di carburante, una palestra o un centro benessere; tali realtà imprenditoriali forse possono essere collocate in aree predefinite “destinate ai servizi”, fuori dai centri storici e lontani dalle abitazioni, attribuendo loro impegni e oneri di urbanizzazione di determinata entità, e posti a carico dei richiedenti, poiché sono attività economiche a scopo di lucro. Ma non può essere la stessa cosa per le realtà di culto.
In tal modo si rischia anche di contraddire la grande tradizione che ha segnato in profondità il cattolicesimo di popolo del Veneto; una realtà ancora viva nella nostra storia, nel nostro territorio e per molti dei suoi abitanti.
La parrocchia, infatti, è sempre sorta dove la gente vive con le sue esigenze, urgenze e necessità quotidiane. Il termine ‘parrocchia’, del resto, indica proprio lo stare vicino alle case e in mezzo alla vita delle persone; qui si parla di strutture che costituiscono le nostre comunità e la Chiesa non è un’agenzia erogatrice di servizi!
Se i nostri genitori e nonni si fossero mossi secondo la legge che si vuol ora proporre, non solo non avremmo oggi gli splendidi tesori artistici e architettonici che rendono noti in tutto il mondo i nostri centri storici ma, ancor più, non potremmo godere della benefica e capillare presenza di parrocchie, patronati, centri d’ascolto, strutture caritative e di solidarietà che rappresentano un’autentica ricchezza per il nostro tessuto sociale, sia nelle città sia nei paesi.
Il nostro Veneto è costituito anche da punti di aggregazione quali le nostre parrocchie che sono presenti proprio là, lo ribadisco, dove le comunità – fatte di bambini, giovani, famiglie, anziani e persone fragili – vivono.
Certo, tutti comprendiamo come il contesto attuale sia complesso e frammentato e, per questo, richieda molte attenzioni. Si esigano pure le giuste forme di tutela e di garanzia, si richieda un forte senso di responsabilità e di rispetto da parte di tutti, anche un senso più vivo della legalità, ma non si retroceda dal principio irrinunciabile – in ambito civile e religioso – che riguarda il bene fondamentale della libertà religiosa.
La libertà religiosa – rispettosa della coscienza altrui e amante delle buone regole e del vivere civile – deve oggi più che mai essere potenziata.
Non restringiamone i confini! L’esercizio, anche pubblico, della fede è valore civile ed ecclesiale, che permette a tutti di esprimersi rispettando le altrui convinzioni.
‘Il diritto alla libertà religiosa – cito qui il Concilio Vaticano II, dichiarazione ‘Dignitatis humanae’ n. 2 – non si fonda su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura… e il suo esercizio, quando è rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può esser in alcun modo impedito’.
Mi auguro che ci sia ancora tempo, modo e soprattutto la sincera volontà di tutti per riflettere, con serenità e spirito costruttivo, su un tema così delicato e prima di legiferare su aspetti vitali per tutti i Veneti e non solo per le comunità religiose”.

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ZENIT Staff

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