San Francis of Assis - Asis

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San Francesco e il lavoro

La vita evangelica del poverello di Assisi analizzata da un non credente

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In che cosa consisteva concretamente, secondo Francesco, vivere secondo il Vangelo? Per dare una risposta esaustiva a questa domanda bisognerebbe ripercorrere per intero la sua vita e indagare i suoi scritti che non sono molti, ma nei quali ogni parola genera pensieri e riflessioni come una cascata d’acqua nel corso di un fiume.
Mi limiterò a sfiorare, per sottolinearli, gli elementi del pensiero di Francesco che informano ancor oggi talune importanti correnti di pensiero. Mi riferisco al tema del lavoro, al tema della pace, e al tema dell’amore.
Leggiamo insieme questo passo del testamento: “Io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare, e tutti gli altri frati voglio che lavorino di lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore chiedendo l’elemosina di porta in porta.”
Nella Regola che Francesco dettò per i fratelli dell’Ordine, sia nella stesura prima, quella detta non Bollata poiché non ebbe il consenso della curia, sia in quella Bollata che ebbe oltre la conferma anche la bolla di Papa Onorio, i precetti sul lavoro sono rimasti sostanzialmente conformi.
Nella prima versione il pensiero di Francesco appare più libero, nel senso che il linguaggio usato è meno legato alla ufficialità dei canoni, oggi diremmo più spontaneo. Leggiamo: (Reg. 24) E i frati che sanno lavorare, lavorino ed esercitino quel mestiere che già conoscono, se non sarà contrario alla salute dell’anima e può essere esercitato onestamente. Infatti dice il profeta: Mangerai il frutto del tuo lavoro: beato sei e t’andrà bene; e l’Apostolo: Chi non vuol lavorare, non mangi; e Ciascuno rimanga in quel mestiere e in quella professione in cui fu chiamato.
Addirittura i fratelli lavoratori hanno il privilegio, una eccezione al vincolo di povertà, di possedere gli arnesi e gli strumenti di lavoro. (Reg.25) E possano avere gli arnesi e gli strumenti adatti ai loro mestieri. Il lavoro è dunque assunto non come fatto eventuale, ma come condizione del vivere dell’uomo. E deve essere “quale si conviene all’onestà”. Nel linguaggio medievale la parola onesto aveva molti significati, Dante ad esempio lo usa in circostanze diverse con significati diversi, ma comunque affini e tutti rapportabili al concetto di decoro e dignità. (Ricordiamo il sonetto che comincia così: Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia quand’ella altrui saluta…)
Allora, quando Francesco definisce il lavoro “quale si conviene all’onestà” si riferisce precisamente alla dignità del lavoro. Quanta attualità in Francesco! La nostra Costituzione contiene proprio questo significato del lavoro (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro…. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale  o spirituale della società) e Papa Bergoglio, che non a caso ha assunto col pontificato il nome di Francesco, ha detto sul lavoro le stesse cose.
Nel libro-intervista ai giornalisti Sergio Rùbin e Francesca Ambrogetti, edito da Salani, Papa Francesco ha detto: “È necessario sviluppare le occasioni di lavoro perché, non mi stanco mai di ripeterlo, è dal lavoro che deriva la dignità”. E nella visita in Sardegna agli operai del Sulcis ha rivolto una preghiera “Signore, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro”.
 
 

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Valdemaro Baldi

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