Via Crucis Colosseo

Via Crucis Colosseo - Foto © PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO

Migranti, bambini abusati, famiglie spezzate: le meditazioni di Bassetti per la Via Crucis

Nelle riflessioni per la Via Crucis del Venerdì Santo, l’arcivescovo di Perugia posa lo sguardo sui drammi presenti e passati. Davanti ai quali, tuttavia, assicura: “Dio è misericordia”

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I bambini violati nella loro intimità, i migranti vittime dell’indifferenza collettiva, i cristiani perseguitati nelle diverse regioni del mondo, gli ebrei sterminati nei campi di concentramento, le famiglie ‘spezzate’ e i potenti che ostentano la propria supremazia sui più deboli.

Sono le immagini drammatiche che si avvicendano nelle meditazioni stilate dal cardinale Gualtiero Bassetti per la Via Crucis del Venerdì Santo. 14 meditazioni, in cui tornano anche le parole di San Giovanni Paolo II, di don Primo Mazzolari, di padre David Maria Turoldo, che accompagneranno le suggestive 14 stazioni serali al Colosseo.

“Dio è misericordia” è il titolo che l’arcivescovo di Perugia ha dato alle sue riflessioni, a garantire che è questa la vera essenza di Dio, nonché il canale con cui Egli raggiunge l’uomo. Tuttavia, al contempo, il cardinale domanda: “Dov’è Dio nei campi di sterminio? Dov’è Dio nelle miniere e nelle fabbriche dove lavorano come schiavi i bambini? Dov’è Dio nelle carrette del mare che affondano nel Mediterraneo?”. 

“Ci sono situazioni di sofferenza che sembrano negare l’amore di Dio”, osserva. Non sono queste, però, l’epilogo: “Gesù cade sotto il peso della croce, ma non ne rimane schiacciato”, scrive Bassetti nella III stazione, “Cristo è lì, scarto tra gli scarti. Ultimo con gli ultimi. Naufrago tra i naufraghi. Dio si fa carico di tutto questo. Un Dio che per amore rinuncia a mostrare la sua onnipotenza. Ma anche così, proprio così, caduto a terra come un chicco di grano, Dio è fedele a sé stesso: fedele nell’amore”.

E Dio – sottolinea il porporato nella IV meditazione – “si sporca le mani con noi, con i nostri peccati e le nostre fragilità”. Con la nostra sofferenza, quella che “quando bussa alla nostra porta, non è mai attesa. Appare sempre come una costrizione, talvolta perfino come un’ingiustizia” e che “può trovarci drammaticamente impreparati”.

Come ad esempio una malattia che “potrebbe rovinare i nostri progetti di vita”. “Un bambino disabile – dice Bassetti – potrebbe turbare i sogni di una maternità tanto desiderata. Quella tribolazione non voluta bussa, però, prepotentemente al cuore dell’uomo”. Allora, “come ci comportiamo di fronte alla sofferenza di una persona amata? Quanto siamo attenti al grido di chi soffre ma vive lontano da noi?”.

Proprio la V meditazione, che ritrae la scena in cui Simone di Cirene aiuta Cristo a portare la croce, offre la risposta. “Il Cireneo – suggerisce il cardinale – ci aiuta a entrare nella fragilità dell’anima umana e mette in luce un altro aspetto dell’umanità di Gesù. Persino il Figlio di Dio ha avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a portare la croce”. Il Cireneo è dunque “la misericordia di Dio che si fa presente nella storia degli esseri umani”. Che si fa presente anche nei momenti più bui, nei peccati più meschini, perché Egli “non se ne vergogna. E non ci abbandona”.

Dio, scrive l’arcivescovo umbro nella VI meditazione, “si manifesta sempre come un soccorritore coraggioso”. Per chi? Per tutti, in particolare per “i milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature”. “Come non vedere il volto del Signore” nei loro volti?

“Volti sfigurati dalle afflizioni della vita” – osserva Bassetti – che “ci vengono incontro”, ma noi “troppo spesso voltiamo lo sguardo dall’altra parte”. Perché “siamo istintivamente portati a fuggire dalla sofferenza, perché la sofferenza fa ribrezzo”. Nella Via Crucis ci si pone davanti allora il gesto della Veronica: “L’amore, che questa donna incarna, ci lascia senza parole”, riflette il cardinale, “l’amore la rende forte per sfidare le guardie, per superare la folla, per avvicinarsi al Signore e compiere un gesto di compassione e di fede: fermare il sangue delle ferite, asciugare le lacrime del dolore, contemplare quel volto sfigurato, dietro al quale è nascosto il volto di Dio”.

Di grande impatto la X riflessione in cui il porporato commenta il momento in cui Gesù viene spogliato dalle vesti. “Quel corpo che il Padre ha ‘preparato’ per il Figlio” viene “disprezzato, irriso e martoriato”; in esso, però, “si compie la divina volontà di salvezza dell’umanità intera”, in esso si esprime “l’amore del Figlio verso il Padre e il dono totale di Gesù agli uomini”.

“Quel corpo spogliato di tutto fuorché dell’amore racchiude in sé l’immenso dolore dell’umanità e racconta tutte le sue piaghe”, dice Bassetti. Soprattutto le piaghe “più dolorose” come quelle “dei bambini profanati nella loro intimità. Quel corpo muto e sanguinante, flagellato e umiliato, indica la strada della giustizia. La giustizia di Dio che trasforma la sofferenza più atroce nella luce della risurrezione”.

Sempre di bambini il cardinale parla nella IX meditazione, pensando a tutti i piccoli che tante, troppe, volte “soffrono per una famiglia spezzata”. Insieme a loro a soffrire ci sono tanti uomini e donne che “cadono”, che “pensano di non avere più dignità perché non hanno un lavoro”. Oppure i tanti giovani che, “costretti a vivere una vita precaria”, “perdono la speranza per il futuro”.

“L’uomo che cade e che contempla il Dio che cade, è l’uomo che finalmente può ammettere la propria debolezza e impotenza senza più timore e disperazione, proprio perché anche Dio l’ha provata nel Figlio suo”, aggiunge il cardinale. Per misericordia, “Dio s’è abbassato” fino a “giacere nella polvere della strada”. “Polvere – sottolinea Bassetti – bagnata dal sudore di Adamo e dal sangue di Gesù e di tutti i martiri della storia; polvere benedetta dalle lacrime di tanti fratelli caduti per la violenza e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

“A questa polvere benedetta, oltraggiata, violata e depredata dall’egoismo umano, il Signore ha riservato il suo ultimo abbraccio”. Lo stesso abbraccio che ha concesso a uno dei due malfattori ai lati della croce. Quei due ladroni, probabilmente due omicidi, di cui parla l’XI stazione, si rivolgono “al cuore di ogni uomo perché indicano due modi differenti di stare sulla croce”, spiega il cardinale.

“Il primo maledice Dio; il secondo riconosce Dio su quella croce. Il primo malfattore propone la soluzione più comoda per tutti. Propone una salvezza umana e ha uno sguardo rivolto verso il basso. La salvezza per lui significa scappare dalla croce ed eliminare la sofferenza”. È, questa, “la logica della cultura dello scarto” che “chiede a Dio di eliminare tutto ciò che non è utile e non è degno di essere vissuto”.

Il secondo malfattore, invece, “non mercanteggia una soluzione” ma “propone una salvezza divina e ha uno sguardo tutto rivolto verso il cielo. La salvezza per lui significa accettare la volontà di Dio anche nelle condizioni peggiori”. Si assiste in questo caso al “trionfo della cultura dell’amore e del perdono”, alla “follia della croce nei confronti della quale ogni sapienza umana non può che svanire e ammutolire nel silenzio”.

Questo silenzio viene anzi squarciato dal “grido di Gesù” che “è il grido di ogni crocifisso della storia, dell’abbandonato e dell’umiliato, del martire e del profeta, di chi è calunniato e ingiustamente condannato, di chi è in esilio o in carcere”. “È il grido della disperazione umana che sfocia, però, nella vittoria della fede che trasforma la morte nella vita eterna”.

Gesù muore in croce, ma è questa “la morte di Dio”? “No”, afferma il cardinale, “è la celebrazione più alta della testimonianza della fede”. Quella stessa testimonianza di “luce immensa” manifestata nei tanti martiri che hanno popolato il XX secolo come Massimiliano Kolbe ed Edith Stein, e che ancora oggi si fa presente nel XXI secolo in tutti quegli “apostoli del mondo contemporaneo” in cui “il corpo di Cristo è crocifisso”.

“Nel grande buio s’accende la fede”, rimarca l’arcivescovo di Perugia. E nella XIV riflessione si rivolge direttamente a Dio: “L’uomo – scrive – abbagliato da luci che hanno il colore delle tenebre, spinto dalle forze del male, ha rotolato una grande pietra e ti ha chiuso nel sepolcro. Ma noi sappiamo che tu, Dio umile, nel silenzio in cui la nostra libertà ti ha posto, sei all’opera più che mai per generare nuova grazia nell’uomo che ami”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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