Un grande dipinto di cinque metri, alto due, diviso in tre pannelli che raffigurano l’ultima cena di Gesù: è l’ultimo lavoro del maestro Ulisse Sartini. Undici apostoli con il volto rivolto verso il loro amato Maestro, tranne Giuda che guarda invece nella direzione opposta. Un’immagine di grande emozione, prorompente di fisicità e insieme soffusa di una potente suggestione spirituale.
Dal 24 marzo al 25 aprile il dipinto sarà esposto nel Chiostro del Bramante del Convento domenicano annesso al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano, dove, tra il 1495- 1498, lavorò Leonardo da Vinci, creando quell’affresco divino che si chiama appunto “L’ultima Cena”, considerato uno dei più grandi capolavori pittorici di tutti i tempi. Un onore, quello riservato all’opera di Sartini, che lo fa già entrare nella leggenda.
Ulisse Sartini, 72 anni, è considerato uno dei maggiori ritrattisti viventi. Nella storia dell’arte ha un suo posto prestigioso. È l’unico pittore italiano, insieme a Pietro Annigoni, ad avere un proprio dipinto nella ‘National Portrait Gallery’ di Londra. Si tratta di un ritratto del celebre soprano Joan Sutherland e alla presentazione del dipinto volle presenziare la stessa regina Elisabetta.
Nel corso della sua ormai lunga carriera, Sartini ha eseguito ritratti di molte celebrità del mondo della politica, della cultura, dell’industria. Ha una predilezione per gli artisti lirici, essendo un appassionato di musica classica. È autore di tre ritratti di Maria Callas: uno si trova nel Museo Teatrale della Scala a Milano, uno al Nuovo Teatro della Musica Megaron di Atene, e il terzo al Teatro La Fenice di Venezia. Un ritratto del tenore Luciano Pavarotti è esposto al Covent Garden di Londra. Suo è anche il ritratto dell’attrice Audrey Hepburn esposto nella nuova sede UNICEF in Roma.
Ho incontrato l’artista nella sua casa/studio di Milano. Un luogo magico, quasi un angolo al di fuori del tempo e della realtà dove la pittura del passato si mescola con il presente, sullo sfondo di un bosco di pennelli, statue, fotografie, bozzetti, studi a matita, reliquie e grandi crocifissi. Su ogni cosa impera un ordine perfetto, una rigorosa pulizia che può apparire quasi fuori luogo nel lavoro di un pittore.
“Ho sempre dipinto così, con ordine e precisione, affascinato dai grandi maestri del Cinquecento e del Seicento”, spiega. Quando parla del suo lavoro, Sartini misura le parole, china il capo, dimostra un rispetto e una devozione per l’arte che colpiscono. Molta della sua produzione è di carattere religioso. Santi, Madonne, natività, resurrezioni, crocifissioni, angeli custodi dipinti da Sartini si trovano in decine di chiese e monasteri in Italia e all’estero.
Il Maestro si è anche guadagnato il titolo di “ritrattista dei Papi”. È autore infatti di tre ritratti ufficiali di Papa Wojtyla: uno è esposto nel nuovo santuario di Cracovia intitolato a san Giovanni Paolo II; un altro è conservato nella Sala delle Congregazioni in Vaticano e il terzo si trova nella basilica di San Giovanni in Lauro, a Roma.
Ha eseguito due ritratti di Papa Ratzinger: uno è esposto nel Palazzo del Governatorato Vaticano e l’altro è inserito nella famosa serie dei Papi che si trova lungo l’architrave della navata maggiore nella “Basilica di San Paolo fuori le mura”: una serie celeberrima, iniziata nel IV secolo, dove sono raffigurati tutti i Pontefici della storia del Cattolicesimo.
Recentemente ha dipinto anche un ritratto di Papa Bergoglio, commissionatogli dalla Fabbrica di San Pietro ed ha realizzato un grande dipinto dei due papi Santi, Wojtyla e Roncalli, ritratti insieme per l’Unicef.
Alcuni suoi lavori, bellissimi, riguardano Padre Pio. Al santo di Pietrelcina il maestro ha dedicato varie litografie e tre grandi dipinti: uno si trova nella chiesa parrocchiale di Pietrelcina, uno nella chiesa di san Pio X a Roma e il terzo nella Chiesa di Santa Paola Romana. Del dipinto conservato a Pietrelcina, sono stati ricavati sei milioni di santini che viaggiano per il mondo.
“Non c’è niente che mi gratifichi di più che lavorare per le chiese”, dice Sartini. “È stupendo pensare che i miei quadri possano aiutare la gente a pregare. Io stesso prego attraverso il mio lavoro, una continua preghiera di ringraziamento”. Resta alcuni attimi in silenzio e poi aggiunge: “Non vado mai da nessuna parte. Faccio pochissime vacanze, esco poco di casa. Lavoro moltissimo e quando non dipingo, leggo libri sulla vita dei santi. Non mi interessano la mondanità, le correnti artistiche, i circoli, i salotti. Il mio tempo è tutto dedicato al lavoro. E metterlo al servizio della fede mi permette di ringraziare Dio per i talenti che mi ha dato e per quanto ha fatto per me quando ero giovane”.
Questa sua ultima frase suscita la mia curiosità. Solleva un velo sulla vita di questo artista riservato e silenzioso. E gli chiedo a che cosa allude con le sue parole. “Vedi”, mi racconta, “un tempo la mia fede era tiepida ma poi è successo un fatto meraviglioso e tutto è cambiato. E non ho difficoltà a dire che si è trattato di un miracolo. Avevo trent’anni e soffrivo di una fortissima forma di depressione. Per tentare di distrarmi ero partito per una crociera nei Caraibi con un’amica. Ma ero ridotto malissimo: viaggiavo con una valigia piena di psicofarmaci”.
“Ad un certo punto, durante il rientro in Italia, ho iniziato ad avere terribili dolori in tutto il corpo. Mi ero gonfiato come un pallone e non riuscivo a muovermi. I medici pensavano che fosse dovuto ad una infezione contratta ai Caraibi e così mi portarono a Pavia nel reparto delle malattie infettive. Ma la cosa era più seria. Si trattava di una patologia detta ‘dermatomiosite’ che allora era poco conosciuta e incurabile. O si moriva o si restava paralizzati. Non avevo speranza. Allora, lì in ospedale, pregai intensamente. Ricordo che chiesi a Dio non di eliminare la malattia ma di farmi uscire dalla depressione che mi impediva di usare la fantasia e il pensiero”.
“Improvvisamente – ricorda l’artista – ebbi la netta sensazione di un interruttore che veniva acceso. Di colpo, in quell’istante, guarii sia dalla depressione che dalla ‘dermatomiosite’. I medici erano esterrefatti e mi dissero che, senza poter consultare le mie cartelle cliniche, sarebbe stato impossibile credere a quello che avevo avuto. A ricordo di quel male, solo mie corde vocali non si sono più riprese. Per questo ho la voce sempre afona”.
Dopo di allora, per Sartini “dipingere rappresenta il mio cammino spirituale”. Ed “è anche il modo per ricordare mio padre, soprattutto quando lavoro ad un ritratto di Padre Pio. Papà era un suo devoto. Ma non mi parlava mai di lui e non mi ha mai portato a San Giovanni Rotondo. Era un uomo molto riservato, taciturno, che rispettava le idee degli altri e non imponeva mai le sue. La fede me la spiegava con l’esempio, non con le parole. Dopo la sua scomparsa, ho trovato nel suo portafogli una foto di Padre Pio che risale agli anni ’50. Era logora, piegata in due ma per me è preziosissima. Ora la tengo sul comodino, in una cornice”.
“I quadri dedicati a Padre Pio, li ho dipinti anche per papà”, spiega Sartini. “L’ho fatto con gioia e senso di gratitudine. Come per ogni altro mio lavoro. Prima di ogni quadro, mi rivolgo a Dio e dico: ‘Se vuoi che lavori per te, fammi lavorare bene! Poi mi rimbocco le maniche'”.
Foto di Nicola Allegri
Ulisse Sartini: "Un tempo la mia fede era tiepida…"
Intervista al celebre ritrattista di personaggi della politica e della cultura, e anche di tre Papi, che dal 24 marzo al 25 aprile, espone la sua “Ultima Cena”, a Milano, accanto al “Cenacolo” di Leonardo