L’ammissione è arrivata dopo circa 3 ore mezzo di interrogatorio: “Ho passato i documenti ai giornalisti”. Alla quinta udienza nel Tribunale Vaticano del processo per il cosiddetto caso Vatileaks 2, Lucio Vallejo Balda è capitolato ammettendo la sua responsabilità nella fuga di documenti riservati.
Ma le cose non sono così semplici come sembrano; il monsignore spagnolo non è l’unico “corvo” della nuova triste vicenda vaticana, tantomeno ha agito per rancore, come detto finora, nei confronti di chi aveva posto un freno alla sua carriera. Lo scenario che emerge dai racconti del prelato è un torbido feuilleton di pressioni, paure e minacce, di squilibri psichiatrici e momenti di debolezza; di cose dette, non dette, già sapute, di personaggi potenti come Luigi Bisignani, Paolo Berlusconi e Gianni Letta che comparivano all’improvviso in cene e pranzi, di giornalisti che chiedevano e fornivano informazioni.
A muovere i fili di tutto era soprattutto la pr calabrese Francesca Immacolata Chaoqui che era arrivata a far temere a Vallejo per la sua stessa vita, facendogli credere di appartenere ai Servizi Segreti italiani, anzi “di esserne la numero 2”, e di volersi rivolgere alla mafia pur di salvare la sua carriera in declino.
Il monsignore – il cui interrogatorio proseguirà domattina, alle 10.30 – è apparso tranquillo nel ripercorrere questi due anni di fuoco in cui si era legato fortemente alla donna per poi aprire gli occhi e capire di essere di fronte ad un personaggio con “un mondo pericoloso” alle spalle che, con il marito Corrado Lanino, voleva solo sfruttarlo.
Lei, incinta al sesto mese, giunta al Tribunale come una star con quattro bodyguard e due trolley, alternava in aula momenti di agitazione, in cui si alzava toccandosi la pancia per parlare con l’avvocato Laura Sgrò, a risate a voce alta. Proprio la Sgrò ha aperto l’udienza chiedendo l’acquisizione e la lettura in aula di una lettera invita dalla Chaouqui al Papa, in cui domandava di essere svincolata dal “segreto pontificio” per poter esercitare in pieno il suo diritto alla difesa, e anche di alcuni certificati medici che testimoniano che la donna soffra di perdite ematiche continue e che fino a ieri era ricoverata al Pronto Soccorso. Il rischio è di un parto prematuro, ma la Chaoqui vuole comunque partecipare al processo. Tutto il materiale è stato acquisito negli atti (respinta invece la lettura in aula della missiva).
Richiesta anche l’acquisizione di una denuncia-querela al giornalista spagnolo Gabriel Ariza del blog spagnolo Infovaticana.com che avrebbe spinto alla decisione di arrestare nuovamente Vallejo – già ai domiciliari nel Collegio dei Penitenzieri – per evitare l’inquinamento delle prove.
Il Tribunale ha respinto invece il legittimo impedimento eccepito dall’avvocato di Nuzzi, assente perché impegnato domani in un’udienza penale al tribunale di Milano. Nuzzi è dunque dichiarato contumace; il processo, cioè, continuerà a svolgersi ugualmente e il giornalista potrà tornarvi in corso. All’udienza erano presenti invece i due co-imputati Emiliano Fittipaldi e Nicola Maio, che tesi e “frustrati dal non poter rispondere” sono stati più volte ripresi dal Promotore di Giustizia: “Avrete tempo di rispondere anche voi, tramite i vostri avvocati”.
Il focus si è quindi concentrato su Vallejo Balda con un interrogatorio fiume alla presenza di un interprete dallo spagnolo, durante il quale il presidente Della Torre ha chiesto conferma delle dichiarazioni fatte nei diversi interrogatori e nel “Memorandum”, che – ha detto – “non l’ho scritto io da solo, mi hanno aiutato…”.
Al monsignore sono state rese le testimonianze fatte da alcuni testimoni appartenenti alla Prefettura degli Affari Economici tra cui il capoufficio Abbondi, il ragionier Fralleoni e la dott.ssa Monaco. Tutte riportavano un comportamento “irrequieto” del prelato in ufficio, che spesso si recava nell’archivio per acquisire o prelevare documenti senza fornire richiesta scritta o certificazione. All’epoca erano state raccolte anche delle firme per contestare questa modalità sui generis.
I testimoni hanno parlato anche di una sorta di ‘Commissione-ombra’, una super commissione segreta (formata da Vallejo, Chaouqui e Maio), nata in seno alla Prefettura che aveva lo scopo di raccogliere documenti al di fuori del compito specifico assegnato alla Cosea.
Di contro, il monsignore ha replicato dicendo che “era assurdo che il segretario non potesse prelevare documenti”. Poi ha confermato il furto del marzo 2014 nel suo ufficio, spiegando che dopo questa vicenda i documenti erano stati spostati dal suo armadio. Anzi, la Commissione aveva scritto al Papa domandando che una stanza, esattamente la 127 della Casa Santa Marta, funzionasse come archivio della Cosea perché nella Prefettura “non c’era sicurezza”.
La fatidica domanda del Promotore di Giustizia, Giampietro Milano, non si è fatta attendere molto: “Lei ricorda di aver consegnato documenti ai giornalisti?”. Vallejo ha prima girato intorno, spiegando che “finito il lavoro della Commissione erano successe cose dolorose sia nella Cosea che negli enti legati ad essa, tensioni sulla gestione della Commissione e su come affrontare i problemi…”.
Francesca, unico membro a Roma, era stata inizialmente di aiuto; presto però si è passati alle minacce perché “lei avrebbe voluto continuare a lavorare per il Vaticano e anche il marito… Lei diceva di aver perso il lavoro proprio per aver partecipato alla Cosea”.
Incalzato dal giudice, alla seconda domanda, il prelato ha poi confessato: “Si, ho passato documenti…”, e ha aggiunto di aver consegnato a Nuzzi pure un elenco di cinque pagine contenente 87 password di documenti riservati. Il gesto è nato dalle continue pressioni ricevute nell’estate in cui i lavori della Cosea volgevano al termine: la Chaouqui “stranamente” si avvicinava sempre di più a lui, raccontandogli di far parte dei Servizi Segreti italiani. “Io – ha detto Balda – subivo pressioni da lei, vivevo con la sensazione di essere seguito, controllato, lei mi chiedeva: ‘Cosa facevi con quello?’”.
Un clima di perenne tensione. In un pomeriggio estivo, davanti a Porta Sant’Anna, la donna era arrivata a dire: “Qua dobbiamo cercare aiuto e l’unico aiuto possibile è la mafia”. In un’altra occasione – come si evinceva da conversazioni su Whatsapp lette in aula – aveva fatto credere a Balda che l’ambasciatore americano le chiedeva se volesse vedere Obama. “Tutta una sceneggiata per mostrare quanto fosse potente”, ha osservato il monsignore. Minacce erano giunte anche dal marito di Francesca Immacolata, consulente del sistema informatico esterno dello Ior nonché di quello della Cosea, per cui aveva anche acquistato e configurato i cellulari.
L’episodio che tuttavia ha aperto gli occhi al prelato è avvenuto nel Natale 2014: la Chaouqui aveva chiesto a Vallejo di aiutarla a coinvolgere il coro della Cappella Sistina ad un concerto a San Pietro in Montorio con la onlus spagnola Mensajero de la Paz. “Quella volta ho capito che lei mi sfruttava perché prima hanno usato il mio nome per far cantare il coro del Papa e poi mi hanno fatto fuori”, ha raccontato lo spagnolo, aggiungendo che in quell’occasione furono raccolti dagli sponsor circa 300mila euro, ma “la Chaouqui non mi diede conto di questi soldi. Alla fine ne furono spesi solo 30mila di cui 15mila per pagare la Cappella Sistina”.
Nel lungo interrogatorio ritorna poi il capitolo ‘Firenze’, uno degli episodi più morbosi che il prelato riportava nel “Memorandum”, dove si parlava di una notte di intimità con la pr in albergo. Interpellato dalla difesa, Balda ha confermato che Chaoqui aveva un “atteggiamento seduttivo” nei suoi confronti durante tutto il 2014, “fino a che a Firenze si era presentata nella sua stanza…”. “Francesca mi voleva conquistare in tutti i modi”, ha detto, “io ho sofferto molto per ciò che è accaduto quella notte… Come sacerdote per me è muy comprometido (molto compromettente)”.
Insieme al pentimento, cresceva anche la “paura per la mia salute fisica”. Soprattutto a spaventare il monsignore era il “mondo” dietro Francesca Immacolata Chaouqui. Di questo, a detta di Fittipaldi, faceva parte anche Nuzzi. Un sospetto avvalorato dal fatto che il giornalista avesse accesso ai documenti ancor prima di riceverli da lui: “Ho avuto l’impressione chiara che Nuzzi avesse già le chiavi della mia mail perché leggendo il suo libro ho trovato documenti non aggiornati mentre io avevo inviato versioni aggiornate…”, ha detto Balda. Fittipaldi, invece, aveva contattato il prelato per chiedere se volesse dei documenti che riguardavano delle vicende australiane sul cardinale George Pell.
Dall’ufficio di Vallejo era partita pure una lettera indirizzata alla Segreteria di Stato: “Mi sentivo pressato – ha spiegato – c’erano cose di cui naturalmente mi vergognavo. Facevo cose che non potevo giustificare. Quindi dovevo informare la Segreteria. La Lettera non entrava nel fondo ma era chiara”. Peccato che non abbia mai avuto risposta.