San Camillo de Lellis

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San Camillo de Lellis: un esempio nella pastorale dei malati

Nel Giubileo della Misericordia, questo santo insegna a riconoscere Gesù nella persona del malato

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L’Anno Santo dedicato alla Misericordia è tempo propizio per riscoprire la bontà di Dio e la fedeltà del servizio al prossimo, un binomio che spesso viene scisso per la dimenticanza del Vangelo. La storia di San Camillo de Lellis è un esempio eloquente di una vita infiammata dal santo ardore per Dio, che diventa capace di riconoscerLo misticamente in tutti coloro che soffrono a causa della malattia.
Camillo de Lellis nacque il 25 maggio 1550 a Bucchianico di Chieti, nell’Abruzzo, secondo figlio di Giovanni de Lellis e Camilla de Compellis. All’età di 13 anni, rimasto orfano di madre, rimase solo con il padre, un militare di carriera appassionato del suo lavoro. La vita di Camillo de Lellis sembrava essere avviata nell’ambito militare, ma la morte del padre e l’insorgenza di una ulcera purulenta alla caviglia destra lo condussero all’ospedale San Giacomo degli Incurabili. Guarito parzialmente del suo malanno, partì come militare mercenario prima in Dalmazia e successivamente a Tunisi. Finita la sua carriere militare nel 1574, perse tutti i suoi averi al gioco d’azzardo. Iniziò per lui un tempo di solitudine e precarietà economica che lo costrinsero a chiedere l’elemosina, sin quando la provvidenza di Dio lo condusse al convento dei cappuccini di San Giovanni Rotondo, dove l’incontro con un frate segnò il principio della sua conversione.
La malattia alla cavaglia lo condusse nuovamente all’ospedale San Giacomo di Roma, dove iniziò a rendersi conto della situazione di abbandono dei malati e della scarsa attenzione umana del personale ospedaliero. Questa sua compassione interiore si trasformò in una cura premurosa e rispettosa verso i malati ricoverati insieme a lui. Dedizione che fu notata dagli amministratori dell’ospedale a tal punto che lo nominarono responsabile del personale e dei servizi sanitari. Camillo de Lellis si rese conto che da solo non riusciva a praticare quella trasformazione di carità da lui voluta. Pertanto, una volta dimesso dall’ospedale, decise di coinvolgere altri compagni nella cura amorevole dei malati, invitando tutti a consacrarsi a Cristo Crocifisso e gettando così le basi della Compagnia dei Ministri degli Infermi, che ottenne l’approvazione nel 1586 da parte del Papa Sisto V, il quale concesse anche ad ognuno di suoi membri di portare l’abito nero come i Chierici Regolari, con il privilegio di una croce di panno rosso sul petto, quale segno della redenzione operata da Cristo attraverso il dono del suo preziosissimo sangue.
Malgrado tutti questi impegni della pastorale sanitaria, Camillo de Lellis trovò il tempo di studiare e venne ordinato sacerdote nel 1584 nella Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Camillo de Lellis proseguì la sua missione nel grande ospedale romano di Santo Spirito, una struttura sanitaria fondata da Papa Innocenzo III, ed ampliata da Sisto V, servendo, insieme ai suoi compagni, i malati nei quali riconosceva misticamente Gesù. La grande dignità del malato lo condusse a compiere gesti concreti di attenzione verso l’uomo sofferente, creando corsie ampie e arieggiate, restituendo ordine e pulizia nelle stanze, fornendo pasti dignitosi e relegando in ambienti separati i malati affetti da malattie contagiose.
Papa Gregorio XIV elevava la Compagnia dei Ministri degli Infermi ad Ordine religioso e l’8 dicembre 1591 Camillo de Lellis, insieme a 25 compagni, emisero la professione di voto di povertà, castità, obbedienza, e di “perpetua assistenza corporale e spirituale ai malati, ancorché appestati”.  La malattia dell’ulcera alla caviglia lo accompagnò per tutta la vita, ma una patologia renale gastrica fu la causa che lo condusse alla casa del Padre il 14 luglio 1614. Benedetto XIV lo canonizzò nel 1746.
Quale testimonianza luminosa lascia questo grande santo della carità? La malattia è una esperienza dolorosa della vita umana, la quale determina una profonda sofferenza che necessita si essere accompagnata, curata e alleviata. La dimenticanza dei malati è una diretta conseguenza dell’incredulità nella vita eterna. Camillo de Lellis ha insegnato la spiritualità della cura dei malati: riconoscere nel malato le piaghe e le sofferenze di Gesù Cristo produce una forza interiore che spinge a vivere con speranza il dolore dell’altro. Camillo de Lellis, notando la trascuratezza dei malati, era convinto che la cura delle ferite dell’anima nasce da un’attenzione ai bisogni vitali del corpo della persona. Un letto comodo, una sala luminosa e spaziosa, un buon pasto, sono gesti concreti che non solo offrono sollievo al corpo ma soprattutto fasciano le ferite di un cuore sofferente.
Oltre alla cura del corpo è importante comunicare un attenzione spirituale verso il malato: quando i medici e gli infermieri assistono il malato come se fosse un componente della propria famiglia, offrono quella medicina della compassione che ha la capacità di guarire, perché essa agisce alla radice di quella malattia nascosta che si chiama sfiducia e disperazione.
L’anno della misericordia è una occasione propizia per rilanciare la pastorale dei malati, una missione che molte volte viene relegata al solo cappellano ospedaliero, affiancato da qualche suora e da pochi volontari. La pastorale dei malati consiste nel portare la speranza cristiana della vita eterna, la quale si può esprimere con una parola di speranza ma soprattutto nel condividere in silenzio quella sofferenza, sull’esempio di Maria che è rimasta ai piedi della croce del suo Figlio Gesù senza mai dubitare del’amore di Dio anche quando tutto sembra non avere senso.
Essere vicino ai malati terminali, agli anziani nelle case di cura, ai bambini e ai genitori afflitti da gravi patologie, è una maniera concreta per testimoniare che la fede cristiana è una incarnazione di autentica carità, la quale attualizza l’amore per Gesù Cristo riconosciuto nella persona del malato. Camillo de Lellis ci ricorda che andare a visitare un malato non significa solo compiere un gesto esteriore di cortesia o di riconoscenza, non significa solo avere l’opportunità di passare insieme gli ultimi momenti di vita in questo mondo. La visita ai malati è prima di tutto un compiere un’opera di misericordia che ha un valore eterno, perché sarà ricordato nel giudizio finale quale segno di riconoscimento di Gesù Cristo nella persona del malato, e perché ottiene nel presente il dono della pace e della speranza, i beni divini che sono alla base di ogni virtù cristiana.

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Osvaldo Rinaldi

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