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L’inferno in terra, figli per diavoli

Se i fatti di Roma, dove un giovane è stato massacrato da due amici giusto «per vedere l’effetto che fa», qualcosa possono insegnare è che la genitorialità non è una professione a tempo determinato: il livello di custodia non va abbassato mai

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«In una giornata si possono vivere i terrori dell’inferno; di tempo ce n’è più che abbastanza».
Ad ogni piè sospinto le cronache danno conferma dell’assunto del filosofo Ludwig Wittgenstein. Ne è stata tragica riprova qualche giorno fa, del resto, anche la triste vicenda del giovane Luca Varani. Massacrato a Roma da due amici così, giusto «per vedere l’effetto che fa», come ha confessato uno dei due al magistrato che lo interrogava. Una morte lenta, crudele, tra alcol, droga e sesso, con la vittima torturata per il suo rifiuto di piegarsi alle voglie, anche sessuali, dei suoi aguzzini.
Oggettivamente, è difficile commentare l’accaduto senza cadere nel già detto. Eppure, è dovere di ognuno capire e riflettere, perché aberrazioni simili non abbiano a ripetersi. Mai più. In un mondo che promuove il macabro, l’esaltazione della violenza, poco ci sarebbe da stupirsi. Ma è questo, invece, che dovrebbe richiamare tutti a meditare su cosa genitori e istituzioni, con queste ultime che da tempo hanno abbandonato al proprio destino la famiglia, stiano dando alle nuove generazioni in termini educativi e formativi. Per dire: appena una settimana fa a Bologna, di fronte ai poliziotti che agli ingressi delle scuole coi cani antidroga effettuavano controlli per impedire lo spaccio di stupefacenti, le famiglie (non tutte né la maggior parte, fortunatamente) si sono ribellate inscenando proteste, accusando le forze dell’ordine di invadenza e di arbitrio. È stato, un episodio, ma spia di quell’atteggiamento che spesso spinge padri e madri a giustificare comunque i figli, quasi come se ogni mancanza fosse un insulto all’onorabilità della famiglia e perciò da rimuovere.
In realtà, la tolleranza nei confronti di una simile diseducazione può condurre verso l’apatia e l’indifferenza. E quando il male diventa epidemico, non risparmia neppure quanti un’educazione e dei principi li hanno ricevuti, da genitori avveduti che credevano di conoscere i propri pargoli salvo poi ritrovarsi in volo senza paracadute nel baratro dell’improvvisa scoperta di anime e coscienze diverse da quelle ritenute forgiate.
Insomma, se i fatti di Roma qualcosa possono insegnare è che la genitorialità non è una professione a tempo determinato, che l’essere genitori non prevede un pensionamento. Il rapporto coi figli va curato sempre, la guardia ed il livello di custodia non vanno abbassati mai. E se da un lato va scacciato il mito del padre padrone, o peggio il fantasma della violenza domestica, dall’altro c’è un altro estremo da evitare: non dare spazio al lassismo e adoperarsi, come suggeriva anche l’apostolo Paolo, per «far crescere i figli nella disciplina».
È impresa ardua e faticosa, facile a dirsi, molto meno a farsi. Ma il mestiere di genitori non a caso è definito come il più complicato, perché, come scriveva il poeta tedesco Wilhelm Busch, «non è difficile diventare padre; essere un padre, questo è difficile».
(L’editoriale dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace è stato pubblicato anche sulla “Gazzetta del Sud” di oggi).

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Vincenzo Bertolone

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