L’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza Episcopale Calabra, nel suo cammino giubilare, proteso a piantare il seme della misericordia nel cuore dell’uomo, ha scritto in questi giorni agli operatori di giustizia. L’occasione è stata la celebrazione della Santa Messa in Corte d’Appello a Catanzaro. Una articolata riflessione rivolta a chi ricopre ruoli così importanti, per lasciarsi guidare da Dio “…al quale dovete la vostra capacità di giudizio, perché vi aiuti a valutare caso per caso, secondo una legge autenticamente umana e, al tempo stesso, veramente rispettosa della libertà e dei diritti di ciascuno”.
La lettera, con tono autorevole e delicato, invita magistrati, avvocati e operatori del diritto e della giustizia, a varcare la Porta della speranza, che è Gesù Cristo. Monsignor Bertolone consapevole del loro carico di responsabilità, da cui dipende il futuro di un singolo o di una comunità, sottolineando come il potere di giudicare fosse nel vecchio testamento considerato prerogativa divina, ricorda ad ognuno di non essere soli, soprattutto se si lasceranno sorprendere dalla misericordia di Dio.
Segue l’invito ad avere compassione, quale imperativo del Nuovo Testamento, “nel senso di essere toccati nel profondo, nel cuore e nelle viscere, dalla sofferenza e dai disagi dell’altro essere umano, anche se reo di crimini e di delitti”. Per San Josemarìa Escrivà chi confessa una colpa viene punito dagli uomini e perdonato dalla misericordia di Dio. Il vero amore, quieta accesa, nelle parole del poeta Ungaretti, riconduce al buon Samaritano che supera, nel soccorso del mal capitato, la soglia della normalità, sanando il dislivello comportamentale di chi non si ferma. “È la constatazione quotidiana di fronte al dislivello tra verità attinta dal difensore (conosciuta spesso dalla voce dell’imputato), verità vera delle cose e dei fatti e verità processuale (che giunge alla cognizione del giudice)”.
Richiamando la Gaudium et spes, l’arcivescovo aggiunge che “l’ordine sociale e il suo progresso devono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, giacché l’ordine delle cose deve essere subordinato all’ordine delle persone e non viceversa”. Richiamo necessario in una società dove spesso il grado di successo personale si sostituisce alla giustizia come misura di unità etica.
Se si parla di giustizia è bene ricordare che “la giustizia di Dio, rivelata da Cristo, è diversa da quella degli esseri umani: è, infatti, una giustizia che vuole rendere giusto anche chi non lo è; offre a tutti la sua grazia, indipendentemente dai meriti…”. Necessita perciò la conversione che permette di sostituire la luce alle tenebre, frutto delle opere malvagie dell’uomo. In Gv 3,19, Bertolone legge la realtà del mondo: “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie”.
La lunga e attenta disamina continua nel sostenere come sia utile, per il progresso collettivo nella giustizia, la vicinanza a Gesù, capace di far invertire il senso di marcia. Manca una società protesa verso la vera dimensione sociale della pace che è del Figlio dell’Uomo. “Agli occhi del cristiano, in particolare, ogni guerra contraddice il disegno di giustizia di Dio sulla storia, la sua iniziativa di riconciliazione in Cristo…”. La stessa economia, globalizzata e sempre di più nelle mani di pochi gruppi di potere, come ricordato dal Santo Padre agli imprenditori italiani, necessita della giustizia cristiana, da sempre consapevole “che imprenditorialità, lavoro dipendente e capitale hanno bisogno l’uno dell’altro e sono chiamati a cooperare in vista del bene comune”.
Un nuovo modello esistenziale che confida in una presenza cristiana coerente: “Il cristiano, ogni cristiano, allora, è chiamato a testimoniare, con un fattivo impegno quotidiano contro il sistema dell’illegalità in simbiosi con l’impresa ordinaria, nonché con il suo impegno ecologico e di custodia del creato” (Rm 8,21).
Le comunità non cadano nel peccato, nell’iniquità e nei tanti reati odiosi che affliggono il mondo occidentale e le terre del meridione. Monsignor Bertolone, riferendosi ai fenomeni mafiosi, afferma che il mondo biblico ignora questo tipo di attività criminali, che permettono al prepotente di sotterrare il debole. La società offre però anche figure ed esempi che costruiscono il bene e fanno arretrare il male. “Tra questi giusti piace alla vostra Chiesa locale poter annoverare chi, per professione e competenza, esercita attività aventi a che fare con la giustizia. Voi combattete, per la vostra parte, la buona battaglia contro il male e, insieme, operate per correggere e recuperare i malvagi”.
Forte il monito al popolo dei fedeli, invitato a pensare di più al giudizio finale, quale strumento sicuro per praticare la giustizia. Scriveva tra l’altro Francesco Spoto, membro, come Bertolone, della Congregazione religiosa dei Servi di Dio: “…Non c’è religione che non abbia la certezza d’un giudizio e d’una sanzione divina per la vita degli uomini”. La stessa cosa vale per la giustizia umana. Non avere la certezza di un giudizio e di una sanzione è anche il rischio di chiunque guida, orienta e giudica in un’aula di tribunale. Solo Dio però non cambia il suo sguardo d’amore sul suo popolo che sbaglia. La sua accusa non è mai per la condanna, ma per la salvezza nel pentimento.
“È questo, sorelle e fratelli, il Dio misericordioso che la Chiesa va annunciando in quest’anno giubilare straordinario. Ogni giorno voi, nelle aule e negli uffici, siete alle prese con la dialettica tra norme e loro applicazione”. Se “rette sono le vie del Signore, / i giusti camminano in esse, / mentre i malvagi v’inciampano”: perciò guardiamo con occhio cristiano quanto avviene nelle vostre aule e nelle vostre cancellerie…”. Le iniquità vanno sempre chiaramente sanzionate, al di là del soggetto interessato e in proposito il vescovo calabrese con animo paterno osserva: “Ma quant’è difficile bilanciare le esigenze di giustizia con le storie di vita dei singoli, con le esistenze, con gli aspetti antropologici e sociali che conducono una persona a commettere spesso deliberatamente un reato!”.
Il pensiero del Pastore va oltre: “Pur senza togliere oggettività all’interpretazione giuridica consegnata nei codici, non si può procedere indipendentemente da chi esegue l’interpretazione, né dal contesto storico in cui avviene tale interpretazione”. Di seguito citando Marco ricorda la risposta di Gesù a chi gli chiedeva quale fosse il più importante comandamento: “Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questo”.
Partendo da questa risposta, mons. Bertolone lancia direttamente a magistrati, avvocati e operatori di giustizia, il suo messaggio più forte, come fosse la sfida dell’anno giubilare rivolta a loro: “fare giustizia, ma sempre nell’atmosfera dell’amore”. Ricordando poi la lettera di Giacomo (Gc 2,2-5), sollecita ognuno ad assumere lo stesso stile di Dio: “Non fate discriminazioni” e non siate “giudici dai giudizi perversi”.
“La giustizia senza la carità”, citando nella lettera il poeta François Mauriac, “è quello che c’è di più orrendo nel mondo”. Dio rimane per chi opera da cristiano nel campo della giustizia la “regola prima” da seguire nel formulare un giudizio o comunque concorrere alla sua formazione. L’arcivescovo esorta a coniugare la giustizia con il potere, da cui dipende l’avanzamento o meno di una comunità. Poi evidenziando la incisività della Chiesa a cogliere la gravità del fenomeno mafioso, ricorda la frase famosa del cardinale Pappalardo, dinnanzi il feretro del generale Dalla Chiesa: “Mentre a Roma si continua a discutere, Sagunto viene espugnata”.
Un monito elevato a chi di dovere, rigenerato in seguito nelle parole di San Giovanni Paolo II ad Agrigento, di Benedetto XVI a Palermo e di Papa Francesco a Sibari. Il Vangelo con la sua giustizia disarmata, anche se in una sfida immane, colpisce al cuore le mafie. Nondimeno, seguendo le tracce di Cristo il Giusto e vivendo tra il grano e la zizzania, “si dovrà guardare il cuore dell’altro e le sue ferite fino a scorgere, persino dietro e dentro l’omicida, quell’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio, un’immagine che permane indelebile nonostante il male e il peccato”.
Al termine l’invito a tutti coloro che operano nel campo della giustizia ad uscire allo scoperto assieme alla loro Chiesa, da sempre per le strade ad aspettare che il grano germogli a dispetto della zizzania. Di seguito l’augurio di una classe dirigente all’altezza, in grado di non spegnere il futuro dei ragazzi, ritrovando il valore della fraternità, del dialogo e dell’amore misericordioso di Dio. Da qui alcune priorità da considerare in questo tempo giubilare, quali la conversione per ogni operatore di giustizia; i diritti della persona detenuta; la solidarietà nella giustizia tra persone e popoli feriti. “Siate operatori di una giustizia che parla con le opere che le sono proprie e custodire questo tesoro attraverso il culto del silenzio; non temete di esporsi con la franchezza della verità̀…..”.
Monsignor Bertolone, benedicendo infine tutti i presenti alla celebrazione eucaristica, consegna loro una verità storica e soprannaturale, quale prezioso monile da interiorizzare:“Il Cristo della giustizia e della speranza, in cui credettero tanti vostri colleghi che offrirono la vita come un olocausto per l’alto senso del dovere, è al vostro fianco: affidategli il vostro buon cuore”.
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“Combattete la buona battaglia contro il male, correggete i malvagi”
L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Bertolone, invia una lettera ai magistrati, agli avvocati e agli operatori della giustizia