«La natura umana è oggi ridotta a sola materia, plasmabile secondo qualsiasi disegno, ma la nostra umanità è la prima natura da custodire». Papa Francesco non difetta di chiarezza. Intervenendo nei giorni scorsi all’assemblea generale della Pontifica Accademia per la Vita, il Santo Padre ha promosso una riflessione seria sui temi dell’esistenza. Parole e pensieri lontani dalla furia polemica degli opposti schieramenti che nelle ultime settimane si sono fronteggiati con una rabbia ideologica tra le cui nebbie s’è perso di vista il punto fondamentale: il rispetto dei diritti del bambino.
Ogni figlio che viene al mondo – non v’è dubbio – è stato pensato e amato da Dio, e il suo nascere è una gioia. Ma quel che si trascura sempre più spesso è che la gestazione è un’esperienza necessaria e fondante, per la madre come per il figlio. Nei mesi in cui la gravidanza lentamente matura, entrambi vivono in perfetta simbiosi. Sono un unico corpo. Condividono cibo, sangue, malattie, paure, gioie. Sentono gli stessi rumori. La madre ha una voce, il figlio la impara. Se nella stanza irrompe una figura minacciosa, a voce alta, il figlio trema. La madre, per istinto, lo protegge poggiandovi una mano sul ventre, in direzione della testina del figlio, che riconosce quella mano.
È la sintesi del legame inscindibile e unico che legherà per sempre due creature: madre e figlio. Certo, tanti bambini crescono orfani di madre. Ma non per un disegno preordinato, men che meno per un volontario piegare alle individuali inclinazioni il dato di natura. Quello contro il quale, come già profetizzava la filosofa Hannah Arendt, la modernità cova un’oscura avversione. «Oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita umana nelle situazioni in cui si mostra debole. Però manca a volte l’umanità», ha sottolineato dal canto suo Papa Bergoglio. È pure per questo che guardare alla famiglia concentrandosi sui figli è una priorità.
Il coraggio, al riguardo, non è insito tanto nel riconoscere l’urgenza di un intervento deciso, quanto nell’accettare un confronto de-ideologizzato. Il bilancio demografico del 2015, del resto, è una fotografia d’un’Italia dalla quale emigrano i giovani, culla sempre più vuota di bimbi – solo 488.000, meno di quando eravamo nella seconda guerra mondiale – e che nei fatti è disertata persino dagli immigrati, facendo segnare un calo dei residenti di circa 140.000 unità e perdendone altri 330.000 di età tra i 15 e i 50 anni.
Le persone, come le cicogne, non si spostano soltanto dove conviene, ma anche dove il territorio è capace di offrire un contesto ospitale per la famiglia. Negare questa evidenza significa continuare a portare acqua al mulino di un sistema che sotto ogni aspetto ha assunto le sembianze di un mostro irrazionale: penalizza le famiglie con un solo stipendio, quelle con più figli, le coppie sposate, chi produce reddito da ridistribuire, i genitori disoccupati. Insomma, un Paese che mentre a parole dice di continuare a desiderare figli e famiglia in realtà si sta impoverendo in termini economici e di capitale umano, con una progressione preoccupante che – se non arrestata – ci porterà rotolando verso il baratro. Inesorabilmente, rovinosamente, angosciosamente.
Pixabay CC0
Della perduta famiglia
Un Paese che a parole dice di desiderare figli e famiglia, in realtà si sta impoverendo economicamente e umanamente con una progressione preoccupante che porterà al baratro