La Quaresima è tempo penitenza e di grazia ed abbraccia quaranta giorni, così come lo è il Giubileo, che dura circa un anno. Sono momenti in cui i fedeli, attraverso il sacramento della confessione ed altre pratiche, riscoprono la gioia della misericordia di Dio.
A colloquio con ZENIT, il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa, ha individuato il filo rosso che unisce il digiuno, le indulgenze e le opere di misericordia. E ricorda che, anche in quest’epoca, segnata da sfide religiose e sociali, la penitenza cambia i cuori delle persone.
Eminenza, il tempo della Quaresima che stiamo vivendo in queste settimane è un tempo penitenziale per eccellenza. Che valenza assume durante gli anni giubilari?
Certamente il tempo di Quaresima è tipicamente penitenziale. Per questo, con quella maestra di vita che è la divina Liturgia, nella prima Domenica di Quaresima siamo portati con Gesù nel deserto, il luogo della austerità, della ascesi e del grande silenzio. Per entrare in questo deserto dello spirito è necessario uscire dal rumore e dal chiacchericcio di ogni giorno, dalle preoccupazioni e dalla dissipazione. Occorre fare lo sforzo di operare una riduzione dalla molteplicità all’unico necessario. La prima penitenza quaresimale è la riconquista del silenzio interiore, della sobrietà, dell’essenzialità, del primato dell’eterno sull’effimero, del permanente sul passeggero. È quasi un restituirsi a se stessi, così come siamo e non come sembriamo. È fruttuoso potersi specchiare nella nuda realtà, spogliata dalle apparenze, dalle recitazioni, dalle amplificazioni, dalle menzogne. Allora nel silenzio di noi stessi e nel deserto delle cose risuonerà, in tutta la sua forza costruttiva la Parola.
Che questa Quaresima si trovi inserita nel quadro di un Anno Santo come quello indetto da Papa Francesco, stimola ulteriormente a riflettere sugli elementi di per sé costitutivi ed essenziali di un Giubileo: la conversione, il ritorno pieno a Dio e quindi al sacramento della Riconciliazione e alla fruizione del dono inestimabile dell’Indulgenza.
Un aspetto sempre più trascurato del tempo quaresimale è il digiuno. Cosa si può fare per rilanciare questa pratica e riscoprire il suo valore spirituale, che va ben al di là della semplice astensione dal cibo o dalla sua riduzione?
Il digiuno, unitamente alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità, appartiene da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa.
Non dobbiamo pensare semplicemente che praticare il digiuno significhi sottoporsi a determinate rinunce in materia di cibi e di bevande. Se ci si astiene da qualche cibo o bevanda o se se ne limita il consumo in spirito di sobrietà, non è per ragioni filosofiche o per assiomi ideologici limitanti la facoltà di scelta ma soltanto per meglio assicurare la propria libertà di spirito dinnanzi alle pretese dei nostri istinti. La pratica del digiuno aiuta a tenere a bada le proprie passioni e a far sì che sia la nostra intelligenza illuminata dalla fede a moderarne gli impulsi.
Il digiuno cristiano non va praticato come atto isolato e chiuso in se stesso. Deve essere accompagnato – e nei testi liturgici quaresimali la Chiesa ce lo ripete spesso – dalla preghiera, dall’autocontestazione delle proprie colpe e dei propri difetti, dall’attenzione misericordiosa verso i bisognosi a tutti i livelli. Il vero digiuno cristiano è sempre ispirato dall’amore verso Colui che ha dato tutto se stesso, fino all’ultima goccia di sangue, per donarci una vita divina e una bellezza eterna.
Può spiegarci il ruolo delle Indulgenze durante l’Anno Santo?
Di misericordia si parla molto ma si parla poco dell’Indulgenza, eppure l’Indulgenza è espressione splendida della divina misericordia e gli uomini, che ne siano consci o meno, ne sono assetati.
Per poter vivere fruttuosamente questo Anno della Misericordia il Santo Padre invita tutti noi a porci in attento ascolto della Parola di Dio, a meditare il messaggio d’amore di Gesù e ad accogliere la sua misericordia per riversarla a nostra volta sul nostro prossimo, specialmente su quanti soffrono: “Apriamo i nostri cuori per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto” (Misericordiae vultus, 15).
In tale luce ci accorgiamo che in questo Anno giubilare della Misericordia, proprio per questo, l’Indulgenza assume una rilevanza particolarmente eminente.
Ma cerchiamo di capire bene cosa sia l’Indulgenza per non cadere negli equivoci che, nella storia, hanno arrecato grave danno alla Chiesa.
Il canone 992 del Codice di diritto canonico dà una definizione precisa di Indulgenza per cui essa “è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritariamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi”. Per comprenderlo si può fare un esempio banale ma forse eloquente. Pensiamo ad un infermo che subisca un intervento chirurgico dal quale esca perfettamente guarito ma con una grande cicatrice richiedente una plastica per scomparire. Ecco, l’indulgenza sarebbe questa plastica per la quale non si vede più neppure la ferita. L’indulgenza cancella assolutamente qualsiasi traccia, cancella tutto. Essa è dunque magnifica espressione della sovrabbondanza della divina misericordia. Dietro a tutto ciò sta l’affascinante dottrina sul Corpo Mistico chiaramente espressa nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum Doctrina del Beato Paolo VI, del 1° gennaio 1967. Non si tratta di contabilità giuridica ma dell’ampio respiro di una carità che non conosce limiti e deborda benefica su noi pellegrini in questo mondo e sui nostri fratelli che vivono lo stato di purificazione.
Se ben spiegata con grande visione ecclesiologica, la dottrina sull’Indulgenza, lungi dal costituire un inciampo, verrebbe a costituire un aiuto a qualsiasi seria riflessione ecumenica.
Durante il Giubileo vengono messe in primo piano le opere di misericordia corporale e spirituale. Queste opere possono anche avere una valenza penitenziale, ovvero di purificazione dal peccato?
Trattasi di azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità spirituali e corporali. Ricordiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare, istruire, ammonire, consolare, perdonare, sopportare, pregare per i vivi e per i defunti. Ricordiamo le opere di misericordia corporale: dare da magiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire i nudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti.
In filigrana, dietro a ciascuna delle opere di misericordia noi scorgiamo le parole di Gesù quando ci insegna che ogni volta che compiamo un gesto di misericordia ad uno solo dei suoi fratelli più piccoli, l’abbiamo fatto a lui (cfr Mt 25,40). Sono le parole più sovversive ed innovatrici della storia. Si può dire che ogni rivoluzione è stata benefica nella misura con la quale vi si è ispirata; e ogni rivoluzione che se ne è allontanata, non ha fatto che sostituire ad un vecchio egoismo un egoismo nuovo, e ad una prepotenza conosciuta una prepotenza inedita, spesso anche peggiore.
Identificandosi con ciascun uomo, e soprattutto con quello più sofferente e sprovveduto, il Signore ci avverte che ormai nel cristianesimo non è più possibile amare Dio senza amare il fratello; e non è più possibile amare il fratello senza amare Dio. Senza una carità fattiva e concreta, non si dà una autentica vita religiosa ma solo un devozionismo illusorio; e una sollecitudine per gli altri che non nasca dalla passione per Dio e per la sua verità, corre sempre il pericolo ad una arida e infondata filantropia.
Si comprende bene allora come le opere di misericordia abbiano una valenza penitenziale e costituiscano una sorta di purificazione della persona che le compie, Ovviamente rimane insurrogabile la confessione sacramentale, non si potrebbe mai dire “o – o” ma si deve sempre dire “e – e”. D’altronde la confessione spinge al compimento delle opere di misericordia e le opere di misericordia spingono alla confessione.
Nei prossimi giorni, la Penitenzieria Apostolica terrà un corso sul “Foro Interno”. Può spiegarcene la finalità?
Il Corso arrivato quest’anno alla sua XXVII edizione, che si svolgerà dal 29 febbraio al 4 marzo porta il titolo desunto dal N.17 della Bolla Misericordiae Vultus con la quale il Santo Padre Francesco ha indetto il Giubileo straordinario della Misericordia, ed è la seguente: “Poniamo al centro con convinzione il sacramento della riconciliazione”. Ovviamente è tutto un programma rivolto ai sacerdoti, ai seminaristi prossimi alla ordinazione, a tutti coloro che sono confessori o si stanno preparando per diventarlo, affinché possano essere sempre meglio preparati per un compito così fondamentale, così grande, così delicato. Nel gesto dell’assoluzione il confessore diventa il tramite consapevole di un meraviglioso evento di grazia. Egli diventa il ministro della consolante misericordia di Dio per la rinascita spirituale dei penitenti. Quante persone in difficoltà cercano il conforto e la consolazione di Cristo! Quanti penitenti trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo! Come non riconoscere che anche in questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e sociali, vada riscoperto e riproposto il sacramento della Riconciliazione!
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Nella penitenza ritroviamo la gioia e la pace perdute nel peccato
Il cardinale Mauro Piacenza, spiega qual è il filo rosso che unisce il Giubileo e la Quaresima, le Indulgenze, il digiuno e le Opere di Misericordia