“Mano sapiens”: l’arte tattile oltre l’invisibile

Sculture in ceramica e marmo realizzate da cinque artiste non vedenti sono esposte in una mostra ai Musei Capitolini di Roma

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“Quello che vogliamo dimostrare con questa esposizione è che, con la possibilità di accedere ai musei con percorsi tattili e frequentare corsi appositi per non vedenti presso le scuole d’arte, noi possiamo raggiungere gli stessi risultati dei vedenti”. Parola di Lucilla D’Antilio, scultrice romana e membra di Mano sapiens, un gruppo di cinque artiste non vedenti che espone in questi giorni le proprie opere in una sala dei Musei Capitolini di Roma. La mostra è sostenuta dall’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e dall’associazione Museum, con il patrocinio di Roma Capitale.
Mano sapiens nasce nel luglio 2015 quando le cinque componenti si incontrano a un corso per non vedenti presso la Scuola d’arte sacra di Firenze, tenuto dallo scultore spagnolo Marco Augusto Dueňas. “Era un corso di quindici giorni – spiega Lucilla – dove, dopo aver toccato un modello iniziale di scultura a cui ispirarci, lo potevamo poi rielaborare e modellare fino a creare alcuni dei lavori in ceramica che sono esposti qui nella mostra. L’approccio iniziale ovviamente è molto diverso da quello degli scultori vedenti, ma il risultato no. Quell’esperienza ci ha fatte conoscere e apprezzare umanamente e artisticamente. Lì abbiamo capito di avere delle potenzialità e abbiamo deciso di iniziare un percorso artistico insieme”.
“La mano – continua Lucilla – ha una sapienza straordinaria, ha memoria. Quando tocchi qualcosa puoi riprodurla artisticamente se ti insegnano come fare. Noi siamo cinque come le dita di una mano e abbiamo deciso di fare gruppo per sostenerci a vicenda e dimostrare che tante persone come noi possono emergere nel mondo dell’arte se viene data loro la possibilità. Non si tratta di singoli casi isolati. Inoltre l’homo sapiens non sarebbe tale, senza il pollice opponibile che gli permette di usare le mani in modo così straordinario. Ecco perché abbiamo scelto questo nome”.
L’arte ha sempre occupato un posto importantissimo nella vita di Lucilla: dopo aver compiuto studi artistici, ha insegnato a lungo disegno professionale e progettazione grafica negli istituti d’arte di Pomezia e Roma. Finché, venti anni fa, una congiuntivite virale le ha tolto lentamente la vista fino a una perdita totale. A quel punto è stata costretta a lasciare il proprio lavoro e, per molto tempo, non ha avuto più a che fare con l’arte perché riteneva di non poter più creare nulla che valesse la pena di essere realizzato.
Tutto cambia nel 2013: “Stavo svolgendo un percorso di riabilitazione per non vedenti presso l’Istituto Sant’Alessio di Roma e lì mi hanno fatto usare l’argilla a scopo terapeutico per sviluppare al meglio l’uso delle mani. Non che ne avessi bisogno, ma ho provato comunque per sperimentare qualcosa di nuovo. In quel momento è scattato qualcosa. Non avevo mai modellato prima, perché da vedente disegnavo, ma ho voluto approfondire la cosa. Così ho frequentato un corso dello scultore Alessandro Kokocinski che, per tre weekend a Tuscania e completamente gratis, insegnava a persone non vedenti come modellare l’argilla. Sono andata lì molto scettica e ne sono uscita più convinta che mai. È stata decisiva la realizzazione di una scultura in cui ho rappresentato me stessa con la mia adorata Jaya, il mio cane inseparabile. Volevo creare qualcosa che io potessi percepire come una foto insieme a lei. Da allora non ho più smesso di scolpire e modellare. Nulla di tutto quello che è e sarà Mano sapiens sarebbe stato possibile senza la disponibilità e la generosità di artisti di talento che organizzano corsi di questo tipo”.
E forse Lucilla non avrebbe creato opere in ceramica come Angelo dell’eucarestia, realizzato durante il corso presso la Scuola di arte sacra di Firenze e raffigurante il busto di un angelo con in mano del pane e un grappolo d’uva, simboli del sacramento. Altra sua opera in esposizione è Principio immanente in marmo, una donna che, con il volto e le mani, sta tentando di uscire da un cubo. “Michelangelo – spiega Lucilla – diceva che una scultura è già presente nel blocco di marmo e lo scultore deve solo liberarla. La mia invece è anarchica e vuole liberarsi da sola [ride ndr]. Il cubo rappresenta la razionalità e lei, che cerca di uscirne, è allegoria della creatività”.
Lucilla ha imparato a lavorare il marmo nell’agosto 2015 in un simposio artistico a Carrara dove ha avuto come insegnante lo scultore non vedente Felice Tagliaferri. “Iniziavamo – racconta –modellando un bozzetto in ceramica della scultura che volevamo realizzare e poi lo spedivamo a una ditta che collabora con il simposio. Loro lo hanno fotografato e poi, attraverso una fresa collegata a un computer, hanno riprodotto il bozzetto su marmo. Noi siamo intervenuti successivamente sui bozzetti in marmo, rifinendoli, lucidandoli e scolpendoli. Li rendevamo uguali a quelli in ceramica che continuavamo ad avere accanto come riferimenti. In una settimana, lavorando a testa bassa dalla mattina alla sera, abbiamo realizzato alcune di queste opere che ora sono qui alla mostra. È faticoso ma è una grandissima soddisfazione. In quel simposio mi sono innamorata del marmo”.
“Ho sempre avuto la passione per l’arte – racconta Clementina Penna, altra componente di Mano sapiens – dipingevo come autodidatta quando ero vedente. Soprattutto paesaggi naturalistici e figure umane legate al mondo degli alberi. A trent’anni una malattia che avevo preso da piccola si è aggravata e mi ha tolto la vista. Mi sentivo persa perché l’arte mi mancava. Dopo alcuni anni ho provato con la creta ma senza troppe speranze e invece mi sono trovata benissimo. Le sculture sembravano venir fuori da sole, con le giuste proporzioni. La cosa che più mi interessa è riportare nella scultura quelle emozioni che un quadro può dare visivamente, riuscire a comunicarle nello stesso modo. Se io riesco a trasferire nella creta l’emozione che ho dentro e poi la creta la trasferisce a chi guarda, io ho raggiunto il mio scopo”.
Lo dimostrano le sue due opere in esposizione: Danzatrice con nastro, realizzata secondo l’antica tecnica giapponese della ceramica raku e raffigurante il corpo intero, in miniatura e senza volto, di una ginnasta artistica in tutta la sua dinamicità, e Meraviglia, scultura in ceramica, prodotto del corso di arte sacra a Firenze, in cui un angelo sta uscendo dalla corteccia di un albero e, con espressione di timore e meraviglia, si sta innalzando verso Dio.
“Attraverso il tatto – spiega Clementina – possiamo dare risalto ad alcuni particolari che a un vedente possono sfuggire. La vista dà un approccio più globale all’opera d’arte, il tatto invece permette di soffermarsi maggiormente su alcuni dettagli in più e di questo possono beneficiare sia gli artisti sia i fruitori”.
Un’arte che non è solo una forma di riscatto contro la sfortuna e le difficoltà della vita, ma anche una manifestazione di alto valore estetico. “Non vogliamo essere considerati disabili – conclude Lucilla – o eccezionali perché riusciamo a scolpire e modellare senza vedere. Noi siamo artisti capaci di usare un altro tipo di abilità e vogliamo che venga riconosciuto il nostro approccio tattile all’arte. Un percorso che può permettere di raggiungere gli stessi risultati di chi ha la vista. È ovvio che solo quelli veramente bravi possono diventare famosi, come accade per tutti, ma l’importante è che un non vedente non sia escluso a priori da questa possibilità”.

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Alessandro de Vecchi

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