San Damiano De Veuster

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San Damiano De Veuster: la misericordia nella vicinanza ai malati

L’esempio del Santo di Molokai insegna a noi uomini di oggi, intrappolati nella comodità e nell’indifferenza, a servire l’escluso a costo di rimanere contagiati dalla ‘malattia’ che lo ha colpito

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Tra i santi proclamati negli ultimi anni vi è un uomo che ha vissuto una totale dedizione a Dio e al prossimo che merita di essere ricordato: Damiano di Molokai. Ripercorriamo insieme la vita di questo grande santo della carità.
Giuseppe – questo il suo nome di Battesimo – penultimo di otto figli dei coniugi fiamminghi De Veuster, ebbe due sorelle maggiori suore e due fratelli maggiori presbiteri entrati nell’ordine del Sacri Cuori di Gesù e Maria. La sua missione sembrava quella di rimanere ad assistere suo padre, ma Dio lo chiamò alla vocazione sacerdotale, facendolo entrare nella compagnia dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, dove prese il nome di Damiano.
Un secondo accadimento orientò la sua missione: il fratello era destinato a partire alle isole Hawaii per partecipare ad una missione, ma le sue deboli condizioni di salute suggerirono a Damiano di sostituire il fratello nell’opera di apostolato, malgrado egli non avesse ancora ricevuto l’ordinazione sacerdotale.
Dopo un lungo viaggio da Brema a Honolulu, Damiano giunse nel luogo della sua missione, dove completò la sua formazione presbiterale e diventò sacerdote nel 1864. Da quel momento iniziò a compiere un continuo e instancabile lavoro di apostolato nella trasmissione della fede cristiana e nell’umile opera di insegnare alla gente povera un mestiere in modo da potergli restituire una vita dignitosa. Le sue opere di misericordia corporali furono quelle di insegnare a coltivare la terra e ad allevare i maiali ed i montoni.
Un’altro avvenimento provvidenziale della sua vita accadde nel 1873, quando  il vescovo propose a vari preti della sua diocesi di partecipare alla missione nell’isola lazzaretto di Molokai, luogo scelto dal governo locale per relegare tutti i malati di lebbra. Damiano De Veuster fu il primo a partire per Molokai, dove vi resterà per tutto il periodo della sua vita (fatta eccezione un breve tempo nel quale ha soggiornato a Honolulu) anche perché il governo, per timore di una diffusione del contagio della lebbra, impediva ai residenti dell’isola (tranne rarissime eccezioni) di abbandonare quel luogo di emarginazione. Tante furono le persone che morirono a causa della peste ed altrettante furono quelle che arrivavano continuamente nell’isola lazzaretto.
Damiano De Veuster, davanti alla situazione di sofferenza e di necessità della popolazione locale, pieno di zelo pastorale e di ardore apostolico, si impegnò a curare le anime, a dare conforto ai sofferenti, a svolgere il servizio di medico nel distribuire le medicine e lavare le piaghe della lebbra.
Il suo rimanere accanto ai ai lebbrosi lo condusse, nel 1885, ad ammalarsi lui stesso di lebbra. Questa fase della sua vita fu caratterizzata da diversi momenti di solitudine. Ad esempio, egli dovette aspettare molto tempo l’arrivo del prete belga Conrardy prima di potersi confessare. Durante questo tempo nel quale convisse con la sua malattia, si rese disponibile a sperimentare nuovi farmaci per la cura della lebbra. Accettò con cristiana rassegnazione la sua malattia, fino ad arrivare a pronunziare le parole: “Sono tranquillo e rassegnato, e anche più felice in questo mio mondo”.
Dopo un mese trascorso a letto, Damiano De Veuster passò alla casa del Padre il 15 Aprile 1889. Fu seppellito sotto un albero. Solo nel 1926 il suo corpo fu traslato in Belgio, presso la località di Lavanio. Giovanni Paolo II lo ha beatificato a Bruxelles nel 1995, dando compimento al processo iniziato sotto il pontificato del Beato Papa Paolo VI, il quale accolse la richiesta di 33mila lebbrosi di avviare la causa di beatificazione del Servo di Dio. Benedetto XVI, infine, lo ha canonizzato in Piazza San Pietro l’11 Ottobre 2009.
Quale insegnamento lascia la vita di questo grande santo della misericordia di Dio? Sicuramente di lui colpisce la rinunzia ad una vita comoda nel suo paese, il suo desiderio di servire gratuitamente i lebbrosi e il suo coraggio di vivere accanto alla malattia altrui. La motivazione interiore che ha spinto San Damiano è stata l’amore appassionato per Dio che si è manifestato attraverso la vicinanza, la cura ed il sostegno verso gli esseri umani più fragili ed indifesi.
Lasciare la propria terra scegliendo di abbandonare i propri affetti per servire i poveri e gli emarginati in un paese straniero, richiede una fede autentica. Essa testimonia che l’uomo credente non si sente mai solo quando vive una relazione filiale con Dio Padre, continuamente alimentata dallo Spirito Santo e condivisa con il malato, l’escluso e il sofferente che rendono presente la carne viva di Gesù Cristo.
Anche nei nostri tempi sono tante le situazioni di emarginazione che caratterizzano la società: la mancanza di una razione giusta e nutriente del cibo quotidiano, l’impossibilità di ricevere una adeguata istruzione scolastica, il diritto negato di accedere gratuitamente alle cure mediche, il diritto dimenticato di avere avere un lavoro per la formazione e il mantenimento della propria famiglia.
Il mondo di oggi sembra preoccupato di difendere ed accrescere i propri privilegi piuttosto che spendersi per restituire e re-distribuire i beni di questo mondo per ricostruire una equa distribuzione delle ricchezze della terra. In tal senso, l’esempio di Damiano De Veuster insegna a noi uomini di oggi, spesso intrappolati nelle comodità, imprigionati nell’indifferenza e ingannati dall’affermazione personale, a uscire dal quella mondanità spirituale, per servire l’escluso anche a costo di rimanere noi stessi contagiati dalla ‘malattia’ che ha colpito l’emarginato.
L’arma della solidarietà, ispirata da una preghiera altruista e accompagnata da una sostegno concreto, è la vera medicina che impedisce il contagio dai virus mondani del disinteresse, dell’egoismo e dell’autosufficienza; virus spirituali che generano come diretta conseguenza un senso profondo di solitudine interiore.
E il tempo di Quaresima serve per aiutare a comprendere che il bisognoso che si affaccia alla porte delle nostra vita chiede da noi una mano tesa, e non un braccio che respinge o un sguardo che vede dall’altra parte o una voce che dice di non avere tempo.
 

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Osvaldo Rinaldi

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