“Chi, come voi, ha sperimentato l’inferno, può diventare un profeta nella società”

Visitando il penitenziario di Ciudad Juarez, papa Francesco ricorda che, per garantire la legalità, non bastano le pene carcerarie ma vanno affrontate preventivamente le cause dei crimini e della devianza

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Il viaggio di papa Francesco in Messico si appresta alla conclusione con la visita al Centro de Readaptación Social estatal n°3 di Ciudad Juarez, a poca distanza dalla frontiera statunitense. Un appuntamento in profonda sintonia con lo spirito del Giubileo della Misericordia e che ha dato al Pontefice lo spunto per rievocare l’apertura della prima Porta Santa a Bangui, nella Repubblica Centrafricana.
Giunto in papamobile, accolto dalle ormai abituali grida di giubilo e dai canti intonati dagli stessi detenuti, Bergoglio ha visitato subito l’interno della struttura, rivolgendo un breve saluto iniziale, in cui ha ricordato come la “fragilità” di Cristo morente sia necessaria per “salvarci”.
Tornato all’esterno, dopo aver ricevuto il saluto di monsignor Andrés Vargas Peña, Vescovo incaricato della pastorale carceraria e dopo aver ascoltato la toccante testimonianza di una detenuta, sullo sfondo dell’orchestrina del penitenziario, il Santo Padre ha stretto la mano ai reclusi.
Nel suo discorso ha ribadito che la misericordia di Gesù Cristo “abbraccia tutti e in tutti gli angoli della terra” e che “non c’è spazio né persona che non essa non possa toccare”.
Il Papa ha accolto la celebrazione del Giubileo della Misericordia con i detenuti come un’occasione per “ricordare il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza”.
Troppi decenni, ha lamentato Francesco, sono trascorsi con l’illusione che i problemi si potessero risolvere “isolando, separando, incarcerando”, senza capire che la vera preoccupazione riguardava essenzialmente “la vita delle persone”, nonché “quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza”.
Le condizioni delle carceri, secondo il Santo Padre, sono “un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto”, ovvero di una “cultura che ha smesso di scommettere sulla vita” e “di una società che è andata abbandonando i suoi figli”.
È proprio la misericordia a ricordarci che il “reinserimento” non comincia tra le pareti di un carcere ma ben prima, “nelle vie della città”, creando un sistema di “salute sociale”, che permetta alla società di “non ammalarsi, inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni, in tutto lo spettro sociale”.
Troppo spesso, però, ha osservato il Pontefice, le carceri sembrano quasi “mettere le persone in condizione di continuare a commettere delitti, più che a promuovere processi di riabilitazione”. Non basta, quindi, incarcerare i colpevoli; è necessario “intervenire per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale”.
È fondamentale, cioè, attualizzare la “preoccupazione di Gesù per gli affamati, gli assetati, i senza tetto o i detenuti”, facendone “un imperativo morale per tutta la società che desidera disporre delle condizioni necessarie per una migliore convivenza”, la quale inizia “con la frequenza alla scuola di tutti i nostri figli e con un lavoro degno per le loro famiglie”, oltre che con “l’accesso ai servizi basici”, a partire da quelli “sanitari”.
“Celebrare il Giubileo della misericordia con voi – ha proseguito Francesco rivolto ai detenuti – significa imparare a non rimanere prigionieri del passato, di ieri”, aprendo “la porta al futuro”, per “credere che le cose possano essere differenti”, per “alzare la testa” e lottare per “tale desiderato spazio di libertà”.
Ai detenuti, che hanno conosciuto “la forza del dolore e del peccato”, il Papa ha ricordato che la forza della “risurrezione” e della “misericordia divina” è a loro disposizione. Sta a loro, quindi, affrontare “la parte più dura, più difficile”, per impegnarsi a “capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione”.
Secondo Bergoglio, chi ha “sofferto profondamente il dolore” e ha “sperimentato l’inferno” può diventare un “profeta nella società”.
Prima di ringraziare il personale del penitenziario, i dirigenti e gli agenti della Polizia penitenziaria e i cappellani, e di impartire la benedizione finale, il Pontefice ha rivolto un ulteriore appello ai carcerati affinché “questa società che usa e getta non continui a mietere vittime”.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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