Papa-Kirill: firma Dichiarazione congiunta

© CTV, Screenshot

“L’incontro tra Papa Francesco e Kirill è quello che ho sempre sognato“

Secondo l’Arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz “è iniziato un nuovo capitolo nelle relazioni tra cattolici e ortodossi”

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L’arcivescovo metropolita di Minsk-Mahilëŭ, monsignor Tadeusz Kondrusiewicz, non nasconde l’emozione: per lui, l’incontro di Francesco con Kirill è quello che ha sempre sognato. Il presidente della Conferenza Episcopale della Bielorussia è convinto che l’abbraccio del Papa con il Patriarca di Mosca all’aeroporto dell’Avana ha aperto un nuovo capitolo nella storia delle relazioni reciproche tra le Chiese cattolica e ortodossa, una nuova pagina nella storia del mondo.
Da anni mons. Kondrusiewicz ha rapporti amichevoli con molti sacerdoti ortodossi. Per di più, quando era amministratore apostolico di Mosca e presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici della Federazione Russa, aveva rapporti ufficiali con il Patriarcato di Mosca. Pertanto, con particolare attenzione e coinvolgimento personale, ha seguito l’incontro a Cuba e ha analizzato il contenuto della Dichiarazione congiunta firmata da Francesco e Kirill. Lo abbiamo intervistato.
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Eccellenza, da quando segue da vicino lo sviluppo delle relazioni ecumeniche tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato di Mosca?
Da quando ero in seminario e poi, da sacerdote, a Vilnius (Lituania) negli anni ’80, dove ho avuto un buon rapporto con allora arcivescovo ortodosso Wiktoryn. Dal 1989 ho lavorato a Grodno (Bielorussia)  e ho stretto l’amicizia con il Metropolita ortodosso Filaret, che era e rimane molto aperto alla Chiesa cattolica. Va sottolineato che nell’epoca sovietica le relazioni con il clero ortodosso erano buone. In seguito, dal 1991, ho iniziato a lavorare a Mosca, prima come Amministratore Apostolico e poi come Arcivescovo. In quel tempo i rapporti erano difficili, a volte molto difficili, perché ci accusavano di proselitismo. Nonostante queste difficoltà, ho condotto un dialogo con il Patriarcato di Mosca. Insieme con  l’attuale Patriarca Kirill, e con un pastore battista Konowalczyk eravamo co-presidenti del comitato cristiano consultivo interconfessionale e organizzavamo numerosi convegni ecumenici. Dal 2007 sono in Bielorussia come Arcivescovo di Minsk-Mohilev. Le relazioni ecumeniche da noi sono tradizionalmente buone e cerco di svilupparle ulteriormente.
Con la pubblicazione dell’enciclica Ut unum sint Papa Giovanni Paolo II fece un gesto di grande apertura verso i fratelli ortodossi, chiedendogli di aiutarlo a trovare un modo di esercizio del primato petrino. Che ruolo ha avuto quel documento nelle relazioni ecumeniche?
L’Enciclica Ut unum sint ha segnato un’importante apertura ecumenica di Giovanni Paolo II e ha dato una spinta molto grande alle relazioni ecumeniche. Il tema del primato petrino è ancora al centro dell’analisi della Commissione Teologica cattolico-ortodossa. Uno dei problemi è il fatto che ufficialmente ci sono 15 Chiese ortodosse e non sempre vanno d’accordo. Ho sentito che molto probabilmente in autunno ci sarà un documento congiunto sul tema.
Nel 1997 a Graz, in Austria, e poi in altri località si è tentato di organizzare l’incontro di Giovanni Paolo II con il patriarca Alessio II, ma quei tentativi non sono andati mai a buon fine. Perché, nonostante il sincero desiderio di Giovanni Paolo II, il Papa non è riuscito ad incontrare il Patriarca?
Non si è riusciti ad organizzare tale incontro perché c’erano dei problemi che non sono stati superati. I più importanti erano: le pretese degli ortodossi nei confronti della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, l’organizzazione delle normali strutture della Chiesa cattolica in Russia e l’accusa di proselitismo. Alcuni di questi problemi sono diventati secondari o hanno perso la loro attualità, altri sono rimasti, ma nel mondo di oggi sono apparse le nuove, grandi sfide per entrambe le Chiese. Per questo motivo Papa Francesco e il Patriarca Kirill hanno deciso di affrontare queste sfide perché non c’è tempo da perdere. Nella dichiarazione comune di La Habana si parla anche delle tensioni tra i greco-cattolici e gli ortodossi, ma si aggiunge subito che “ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili”.
Nel corso della conferenza stampa sull’aereo, tornando dalla Turchia, il 30 novembre 2014, Francesco ha detto che aveva informato Kirill e lo avrebbe raggiunto dove il Patriarca voleva. Perché è stata scelta Cuba?
Né Mosca né Roma potevano essere prese in considerazione: l’Europa è segnata da troppe divisioni del cristianesimo e, di conseguenza, sarebbe difficile organizzare l’incontro nel Vecchio Continente. Mentre Cuba, è nel “Nuovo Mondo”, è un area “neutrale”. Tanto più che il viaggio del Patriarca in America Latina era stato pianificato da tempo e ha coinciso con il viaggio del Papa in Messico, così è stata colta la prima opportunità. Va detto anche che Cuba è ben vista da entrambe le parti: è un Paese cattolico, ma allo stesso tempo un Paese che per decenni è stato sotto l’influenza dell’Unione Sovietica, e ora della Russia.
Con quali sentimenti ha seguito alla televisione l’incontro di Francesco e Kirill, il primo incontro, dopo il grande scisma del cristianesimo nel 1054, tra un Papa e un Patriarca di Mosca e di tutta la Russia?
Per me l’abbraccio tra Francesco e Kirill è stato molto toccante e commovente. Tutta la mia vita ho aspettato questo momento. Ho pregato sempre per un tale incontro. Non si è riusciti né con Giovanni Paolo II né con Benedetto XVI. Il spogno si è realizzato con Francesco, il Papa venuto dall’altro continente. Mi sono reso conto che questo è un momento importante che segna un passo avanti nella vita delle nostre Chiese, che ha aperto una nuova pagina di storia. Conosco bene Kirill e so che non ha voluto incontrare il Papa solamente per una foto-ricordo, ma per arrivare ai risultati concreti e questo era anche il desiderio di Francesco.
Si sono incontrati perché sentivano che le Chiese e il mondo aspettava quell’incontro. Solo grazie agli sforzi comuni possiamo resistere al processo di secolarizzazione, all’allontanamento della gente dalla fede, alla persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, in Africa, ma anche in Europa, dove vengono emanate le leggi che colpiscono la libertà religiosa, la famiglia e la vita. Il Papa e il Patriarca capiscono che c’è ne bisogno di una voce comune delle Chiese, della comune testimonianza e difesa dei valori cristiani.
Qual è il passaggio più importante della Dichiarazione?
Per me la cosa più importante è che la dichiarazione riflette il desiderio di compiere la volontà di Cristo “per essere uno”, perché solo così “il mondo creda”. La divisione dei cristiani è una ferita per il Corpo mistico di Cristo, che sta ancora sanguinando e deve guarire. Si tratta di una grande tragedia, perciò dobbiamo lottare per l’unità. Il secondo aspetto è il comune desiderio di difendere i valori cristiani, la famiglia e la vita. E ‘anche importante l’appello alla comunità internazionale per evitare l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente.
Molti osservatori richiamano l’attenzione alle radici mariane del dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse. Volevo ricordare che nel 2004, Giovanni Paolo II ha donato alla Chiesa ortodossa di Mosca l’icona della Madonna di Kazan. Che cosa potrebbe dirci a questo proposito?
– E’ vero che il culto della Madonna è molto forte nella Chiesa ortodossa, e questo è qualcosa che ci unisce. Ero presente quando nel 2004 il card. Walter Kasper, a nome del Papa, ha dato l’icona della Madonna di Kazan al Patriarca Alessio II. Ed ora Cirillo ha dato a Francesco una copia di grandi dimensioni della stessa icona. Per me è qualcosa di simbolico. Sappiamo che questa icona per 10 anni era nell’ufficio di Giovanni Paolo II. Una volta il Papa disse che la Madonna dall’icona lo guardava mentre lavorava, anche quando si occupava dell’ecumenismo. E ora il nuovo Patriarca dona al nuovo Papa una copia della stessa icona. Vedo in questo gesto simbolico un felice completamento del lavoro di Giovanni Paolo II, che sognava l’incontro con il Patriarca di Mosca.
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L’intervista è stata pubblicata in polacco sul sito del settimanale “Niedziela”
 

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Włodzimierz  Rędzioch

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