Mai come nell’ultimo periodo la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori – il team internazionale istituito da Bergoglio nel 2014 per combattere la piaga degli abusi nella Chiesa – era finita così al centro dell’attenzione. Dopo le polemiche dei giorni scorsi (vedi il caso Peter Saunders), oggi è stato diffuso un nuovo comunicato a firma del cardinale presidente Sean O’Malley, in cui si afferma la “responsabilità morale ed etica” di denunciare “alle autorità civili” gli abusi compiuti da sacerdoti su minorenni.
Andando per ordine: la scorsa settimana la Commissione era stata indirettamente tirata in ballo dalla stampa anglofona che aveva dato risalto alle dichiarazioni di un esponente vaticano, secondo il quale non c’era alcun obbligo per i vescovi di denunciare i casi di abusi.
“I vescovi cattolici non sono obbligati a denunciare gli abusi del clero sui bambini, dice il Vaticano” titolava – in maniera del tutto fuorviante – il quotidiano The Guardian riportando alcune dichiarazioni di mons. Tony Anatrella, noto esperto in psichiatria e psicologia, che avevano lasciato supporre che fosse in preparazione un nuovo documento della Santa Sede sul tema di abusi e pedofilia.
La Commissione, allora, è dovuta intervenire con il seguente comunicato. “Come Papa Francesco ha così chiaramente affermato: ‘I crimini e i peccati degli abusi sessuali sui bambini non devono essere tenuti segreti mai più. Garantisco la zelante vigilanza della Chiesa per proteggere i bambini e la promessa della piena responsabilità per tutti’ (27 settembre 2015)”, si legge nelle prime righe del testo.
O’ Malley, a nome dei 16 membri della Commissione, afferma quindi “che i nostri obblighi ai sensi del diritto civile devono essere rispettati, certamente, ma anche al di là di tali vincoli, abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili che hanno il compito di proteggere la nostra società”.
“Negli Stati Uniti – prosegue la dichiarazione – la Charter dei nostri Vescovi afferma chiaramente l’obbligo per tutte le Diocesi/Eparchie e per tutto il personale di denunciare i sospetti abusi alle autorità pubbliche. Ogni anno presso la nostra riunione di novembre, in una sessione di formazione per i nuovi vescovi”. Tale obbligo è dunque “ribadito”, e “durante ogni mese di febbraio la seconda Conferenza propone un programma di formazione per i nuovi vescovi che ribadisce in modo chiaro ed esplicito questo obbligo.”
Pertanto, conclude la nota, “come Commissione consultiva del Santo Padre per la tutela dei minori, abbiamo recentemente condiviso con Papa Francesco una panoramica estesa delle iniziative di educazione della Commissione per le Chiese locali nel corso degli ultimi due anni, e ribadito la volontà dei Membri di fornire materiali per i corsi offerti in Roma, compreso tra gli altri il programma annuale di formazione per nuovi Vescovi e per gli uffici della Curia romana affinché possano utilizzarli nei loro sforzi per la protezione dei minori”.
Una smentita bella e buona, dunque. Sull’articolo del Guardian, era già intervenuto nei giorni scorsi padre Federico Lombardi che aveva spiegato come tutto si riferiva ad una relazione fatta da mons. Anatrella sul tema: ‘La relation pastorale, l’équilibre de la vie affective des pretres, et problèmes de déviances’. La relazione era stata pubblicata nel volume collettivo Testimoni del Risorto. Atti del corso annuale di formazione per i nuovi Vescovi, ovvero la trascrizione degli atti del Corso 2015 organizzato annualmente dalla Congregazione dei Vescovi.
“Non si tratta quindi – ha spiegato Lombardi – in alcun modo (come erroneamente qualcuno ha interpretato) di un nuovo documento vaticano o di una nuova istruzione o di nuove guidelines per i vescovi, ma di una conferenza di un esperto, pubblicata insieme a diverse altre su diversi argomenti. Anatrella non dice nulla di nuovo o di diverso da quanto detto finora dalle competenti istituzioni ecclesiastiche”.
Il comunicato di oggi è il secondo nel giro di un mese da parte della Commissione anti-abusi. Il primo, diffuso l’8 febbraio, si riferiva alla riunione di una settimana avvenuta nei primi giorni del mese a Roma, in cui i membri discutevano l’orientamento e gli scopi della Commissione stessa, presentando nuove iniziative e rimarcando la decisa e capillare collaborazione con i vescovi delle diverse diocesi.
Poco prima, sabato 6 febbraio, una stringatissima nota vaticana annunciava invece la ‘defenestrazione’ dalla Commissione di Peter Saunders, inglese ed ex vittima di abusi di un sacerdote. Nel testo si parlava di “un periodo di aspettativa dalla sua partecipazione come membro per riflettere come egli possa contribuire nel modo migliore al lavoro della Commissione”. Ma l’uomo si sfogava con i media inglesi affermando di essere stato licenziato in tronco, senza alcun preavviso. Dichiarazioni smentite ancora una volta da padre Lombardi che ha precisato che la fuoriuscita dell’uomo fosse frutto di “una decisione unanime dei membri della Commissione, con un solo astenuto”.
A far scalpore, indubbiamente, il fatto che Saunders, rispetto agli altri consultori, fosse quello mediaticamente più esposto. Non si dimenticano, infatti, le durissime accuse pronunciate in diretta tv, durante il programma australiano 60 Minutes, contro il cardinale George Pell accusato di “disprezzo” nei confronti delle vittime e di “sociopatia”. L’inglese chiedeva le dimissioni del porporato dagli “importanti incarichi in Vaticano” e, in altre occasioni, ebbe da ridire anche sulla troppa fiducia accordatagli dal Papa.
Dichiarazioni al vetriolo nettamente rigettate dalla Segreteria per l’Economia, di cui Pell è prefetto, e da cui anche la stessa Commissione prese le distanze. ‘Siano proprio queste il motivo del licenziamento?’, si domandavano alcuni. Chissà. L’unica per ora a rompere il silenzio è stata Mary Collins, irlandese, anche lei in passato vittima di abusi di un sacerdote, che in una nota scritta a titolo personale per il National Catholic Reporter spiegava come la questione fosse nata attorno alla “differenza di comprensione della missione e dei poteri” della Commissione.
Mossa dalla trasparenza per la quale combatte da anni nella Chiesa, la Collins si diceva “triste” per l’epilogo della vicenda del collega e rivelava di essere lei il commissario astenutosi dal voto che ha portato al congelamento della partecipazione di Saunders. Tuttavia affermava di comprendere bene il motivo per cui la maggioranza aveva votato per questa decisione (che non è “un voto di sfiducia”) e ribadiva la piena fiducia nei Confronti della Commissione e dei suoi membri.
Una fiducia che invece la Collins non nutre affatto “in coloro il cui compito all’interno del Vaticano è di lavorare con noi e mettere in pratica la nostra proposte approvate dal Papa”. Una critica, questa, acuita nell’intervista di ieri al The Irish Times, nella quale la donna accusa la Curia romana di ostacolare le decisioni della Commissione e dello stesso Papa Francesco.
“Sono personalmente frustrata – dice l’irlandese – per la mancanza di cooperazione da parte della Curia e per il fatto che ciò può essere dannoso per il lavoro della Commissione e per la protezione dei bambini in futuro”. “È davvero divenuto evidente – aggiunge – che in Curia ci sono coloro che ritengono il coinvolgimento della Commissione quasi una interferenza con il lavoro che si è sempre fatto”.
A questo punto conviene solo aspettare e vedere: porteranno queste parole a smuovere gli uffici di Curia ad una cooperazione o a rimuovere la donna dalla Commissione?