“La trasmissione della cultura nell’era digitale”

Il Censis e la Treccani tra “residenti digitali” e “tradizionalisti apocalittici”

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Giovedì 11 febbraio il Censis e l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani hanno presentato la ricerca intitolata “La trasmissione della cultura nell’era digitale” [1], ricerca che ha l’obiettivo di misurare l’evoluzione dei processi di formazione e trasmissione della conoscenza degli italiani nell’era digitale.
L’universo di riferimento sono stati gli italiani laureati con età superiore ai 25 anni e utenti di internet (numerosità campionaria di 3273 unità) ed ha avuto come risultato principale quello di verificare quali sono i mezzi utilizzati ai fini culturali per l’acquisizione di nozioni in discipline diverse.
Tra le tante informazioni contenute anche nella sintesi dei risultati disponibile sul sito del Censis (www.censis.it) in questa riflessione ci si concentra su tre aspetti: (i) l’affidabilità attribuita alle diverse fonti per la formazione delle conoscenze; (ii) i simboli contemporanei della cultura, sia come “luoghi” che come figure; (iii) i cinque profili tipologici della domanda di cultura.
In merito al primo aspetto, ovvero alla affidabilità, misurata tramite la percentuale di intervistati che dichiarano di averne molta, abbastanza, poca o per niente in relazione alle diverse fonti, si è manifestato: L’80,3 del campione ritiene i libri molto affidabili. All’estremo opposto vi sono i Social Network (Facebook, Twitter, Youtube, ecc) ritenuti dal 29,9 del campione per niente affidabili. In uno spazio intermedio, l’Enciclopedia, ritenuta molto affidabile dal 66,4 del campione; i siti web ritenuti abbastanza affidabili dal 69,1 mentre risultano poco affidabili radio e tv con un 44,2.
In relazione ai “luoghi” che oggi meglio simboleggiano la trasmissione e la conservazione del sapere, sempre espressi in percentuale, si ha in ordine, ai primi tre posti con valori molto vicini, Internet (27,6), la biblioteca (26,1), il liceo e l’università (25,8). Poi, molto distanziati, il museo (9,3); Wikipedia (4,7); il computer (3,2), il laboratorio (2,5) ed infine l’enciclopedia (0,7).
Per le “figure” che invece incarnano meglio il valore della cultura, percentualmente espresse e in ordine, si evidenziano: Lo scienziato (22,2) e l’intellettuale (19,3) ai primi due posti, mentre agli ultimi il poeta e l’editore (2,8), il giornalista e il blogger (rispettivamente 2,0 e 1,7) e infine il sacerdote (1,3) ed il politico (0,3).
Come sintesi conclusiva, sono state identificate cinque tipologie di profilo di italiano acculturato, così denominate: tradizionalisti apocalittici, opportunisti equilibrati, corpaccione disorientato, evoluzionisti, residenti digitali. In breve percentuali e caratteristiche.
Tradizionalisti apocalittici (17,4 del totale) – con uso intenso di media tradizionali (libri cartacei, enciclopedia) e forte diffidenza nei media digitali.
Opportunisti equilibrati (20,3) – che danno un primato al lavoro editoriale e dei libri ma con positivo atteggiamento di apertura verso le nuove tecnologie di produzione culturale.
Corpaccione disorientato (26,5, quindi con maggior peso demografico) – senza un convinto orientamento tra vecchie e nuove tecnologie.
Evoluzionisti (17,7) – che ritengono la rete il luogo per antonomasia della conoscenza, pur riconoscendovi alcuni limiti.
Residenti digitali (18,1) – il web come luogo della costruzione della cultura.
O, altrimenti detto, come ben esprime la ricerca: “(…) non si può rinunciare alla cultura codificata e strutturata data dai libri. Ma, allo stesso tempo, gli effetti positivi della disintermediazione digitale vengono rinvenuti nella possibilità di produrre una “cultura on demand” attraverso la costruzione di una bibliografia multimediale personalizzata”.
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NOTE
[1] Hanno partecipato, tra gli altri, Massimo Bray, Direttore Generale della Treccani e Riccardo Luna, Digital Champion.
 

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Antonio D'Angiò

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